In un mondo di trend, indicazioni su come passare dalle parole ai fatti

PREVISIONI 2011 – Gea: condizioni, concause e attori principali che consentono a una tendenza di materializzarsi. (Da MARK UP 195)

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1. Ortofrutta, distribuzione moderna & consumer centricity: per fare un caso concreto
2. Le tendenze raggruppate in tre insiemi

Annualmente i forum si popolano di trend. Macro, micro, di settore o per target; ogni anno i forum si popolano di trend e noi, da sempre interessati al tema, andiamo cercando come un’idea, un’intuizione sul nostro futuro di consumatori si trasformerà in realtà. Quali saranno le condizioni, le concause e gli attori principali che consentiranno a un trend di materializzarsi? Quale sarà il valore di ciascun trend e quindi quali le differenze tra chi se ne farà portavoce e chi sbadatamente non se né avvedrà?
Sono queste alcune delle domande di fondo che ci poniamo con imprenditori e manager ogni qual volta che insieme valutiamo il cammino fatto dalle loro aziende e i sentieri possibili per il loro futuro. Sì perché, onde evitare sedute catartiche di adrenalinica creatività apparecchiate in forma di workshop, dalle quali si esce spesso con la convinzione che si diventerà padroni del mondo (con un pugno di mosche), noi ci sporchiamo un po’ le mani e andiamo a capire, oltre al valore dei singoli trend, anche il perché non è stato colto all’interno delle aziende in precedenza e cosa dovrà cambiare nella loro cultura, nell’organizzazione e nei processi dell’azienda, affinché da domani si possa passare dalle parole ai fatti.

Non solo trend uguali
Semplicisticamente noi distinguiamo i trend in tre gruppi. Al primo gruppo appartengono quelli che orientano le scelte del consumatore come per esempio quello della “semplicità”. A ogni azienda valutare criticamente il valore che questo trend può creare e valutare come catturarlo attraverso la semplificazione della sua struttura d’offerta, del suo packaging, dei suoi contenuti di prodotto (leggi ingredienti nell’alimentare), nella sua comunicazione e via dicendo.
Al secondo gruppo appartengono i trend che orientano le scelte delle aziende di un settore specifico, come per esempio lo sviluppo dello “store brand-private label” nel Retail. A ogni azienda del settore fare i conti con questo fenomeno che sostanzialmente segue logiche di competizione verticale (retailer vs marche dei produttori) e orizzontale (retailer vs retailer), più che la volontà di soddisfare un’esigenza o un desiderio dei propri consumatori.
Al terzo gruppo appartengono invece quei trend che noi chiamiamo di sistema come per esempio la “consumer centricity” ovvero mettere il consumatore al centro della propria strategia di mercato. Per essere considerato tale, un trend deve avere specifiche caratteristiche: essere di lunga durata, creare evidente valore per le aziende che lo fanno proprio, prescindere dai settori e richiedere cambiamenti strutturali.
Passando dal primo al terzo gruppo di trend cambiano le logiche di applicazione, ma soprattutto le difficoltà esecutive. Il primo gruppo di trend trova tipicamente applicazione nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi ed è relativamente facile materializzarne le opportunità implicite. Con il secondo gruppo crescono le difficoltà esecutive e trovano tipicamente ambito nelle logiche competitive di settore. Nel terzo gruppo, noi ci mettiamo invece i trend che richiedono cambiamenti di sistema e quindi complessi, ma negarne l’opportunità per manifesta difficoltà operativa vuol dire negarsi la possibilità di giocare in champion league o anche solo in serie A nel lungo termine.
Fatti questi distinguo, ci preme mettere in evidenza che troppo spesso noi tutti ci riempiamo la bocca di trend, ma le tasche rimangono vuote, e questo, perché sottostimiamo gli aspetti esecutivi o saltiamo a conclusioni affrettate e parziali. Facciamo un esempio.

Un caso concreto applicato all'ortofrutta
Che cosa centra la consumer centricity con l’ortofrutta, chiederete voi. Nulla, per l’appunto e questo è il problema, rispondiamo noi. Partiamo da alcuni semplici fatti.
All’ortofrutta fresca corrispondono circa il 13% dei consumi alimentari a valore (vedi graf. 1). A volume il dato non è confrontabile, ma si tenga conto che frutta e verdure sono le categorie alimentari (con il pane) consumate con maggiore frequenza sulle tavole degli italiani con oltre 5 pranzi e 5 cene su 7 alla settimana. Per dare un termine di paragone la pasta si attesta sui 4,5 pranzi e sulle 2,5 cene a settimana.
Per ribadire ulteriormente l’importanza della categoria ci ricordiamo che l’ortofrutta fresca è all’incrocio di alcuni trend di consumo importanti, quali per esempio: “salute e benessere”, “intrinsecamente nutriente”, “servizio” (con IV e V gamma), …Potremmo anche aggiungere che l’ortofrutta di qualità fa la differenza (e grossa) in cucina, ma finiremmo per dilungarci troppo con disquisizioni che lasciamo agli chef di talento.
E come performa la distribuzione moderna con riferimento a questa categoria? Maluccio. Sì, perché mentre gli alimentari nel loro complesso vengono acquistati per il 69% attraverso il canale moderno, quando facciamo riferimento all’ortofrutta fresca, solo il 46% transita attraverso questo canale. Potremmo essere indotti a pensare che la distribuzione moderna “nasconda” l’ortofrutta all’interno dei propri negozi, ma non è così: nei super e nelle superette, l’ortofrutta è la prima categoria in cui ci si imbatte entrando nel punto di vendita e quindi dovrebbe avere tassi di chiusura più alti rispetto a tutte le altre categorie. Ma non è così. Come mai? Probabilmente perché il consumatore trova negli altri canali quello che realmente cerca, in barba a tutti i Crm e le carte fedeltà proposte dalla distribuzione moderna. Sì perché questo mondo è pieno di professionisti che spaccano il capello in quattro per segmentare l’offerta con super tecnologie di Crm (spacciandole per consumer centricity), ma intanto i buoi escono dal cancello lasciato aperto.
Consumer centricity vuol dire molte cose, la prima senz’altro è partire dalla conoscenza del processo d’acquisto dei consumatori. Da una nostra indagine portata avanti a livello europeo con i nostri partner in Ace-Allied Consultant Europe emerge che le qualità organolettiche del prodotto più che il prezzo sono ciò che il cliente va cercando (vedi graf. 1). E con riferimento alle prime, è il gusto che il consumatore va cercando, laddove la sicurezza e l’igiene del prodotto sono sì importanti, ma sono dati per scontati e creano problemi quando non ci sono, più che creare valore quando ci sono. Su questi pochi elementi si gioca sostanzialmente la capacità competitiva di ambulanti e negozi tradizionali verso la grande distribuzione. Questi ultimi infatti battono ai punti la distribuzione moderna su quasi tutti gli elementi chiave dell’offerta con eccezione per la pulizia e per l’ordine con cui è tenuto il negozio (cose da “mistery shopper”).
La distribuzione moderna è perfettamente consapevole di questi fatti da anni e alcuni retailer hanno lavorato su ipotesi e idee diverse, ma spesso parziali, senza quindi mai riuscire a dare soluzione al problema. Forse è mancata la volontà e l’ambizione di portare il lavoro fino in fondo, più probabilmente non si è lavorato a una soluzione sistemica che tocchi, nel caso specifico, contemporaneamente e coerentemente: la conoscenza del proprio consumatore e la strategia di categoria, l’architettura dell’offerta, i criteri espositivi e il visual, la catena della fornitura e la logistica e in fine la cultura di chi gestisce la categoria.

Che fare?
Con riferimento a un trend di sistema o in generale a un trend di difficile esecuzione il processo di valutazione e sviluppo (vedi graf. 2) dello stesso prevede alcuni passaggi chiave peculiari. Il primo è la valutazione della fattibilità organizzativa, di processo e culturale: perché non si è ancora riuscito a metterlo in atto? Il secondo è la valutazione sulla sostenibilità: abbiamo le risorse e le competenze per adottare i prevedibili cambiamenti necessari? Il terzo elemento distintivo, quando sia evidente che per fattibilità e sostenibilità il lavoro non sarà affatto semplice, è passare alla fase di sviluppo con un approccio da laboratorio, su una parte circoscritta del perimetro di lavoro, partendo da zero. Quello che chiamiamo “a prato verde”. Sì, perché molto spesso le difficoltà nel cogliere nuove opportunità e dirigersi verso nuove frontiere derivano dalla difficoltà di lasciare il passato (la zona di conforto) e di dover giustificare le scelte fatte e reiterate negli anni. Un approccio da laboratorio e che parta da zero per creare qualcosa di nuovo, aiuta a spianare la strada e a contenere le resistenze al cambiamento.
Ritornando alla nostra beneamata consumer centricity nella distribuzione moderna dell’ortofrutta, cogliere l’opportunità specifica si sostanzia, dopo aver ricordato la dimensione dell’opportunità e aver fatto le analisi di fattibilità passate e di sostenibilità future, nello sviluppare in laboratorio e testare un nuovo concept di reparto del tutto nuovo in tutti i suoi aspetti, dall’architettura di gamma, al servizio nel punto di vendita fino alla catena della fornitura. Senza un approccio concreto di laboratorio, che tocchi tutte le leve operative, organizzative e culturali di un’azienda un trend fondamentale come la consumer centricity rischierebbe di rimanere un “mantra” passeggero, l’infatuazione di un amministratore delegato che presto si dissiperebbe nell’oblio dell’operatività quotidiana. Si che dunque, ci auguriamo sempre più, il vero trend per i prossimi anni divenga capire come passare dalle parole ai fatti sui trend di valore e di lungo periodo.

*Gea - Consulenti Associati

Allegati

195-MKUP-Gea
di Andrea Carrara / dicembre 2010

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