Influencer marketing e i valori del brand: rischi e sviluppi della nuova economia digitale

Le collab houses come possibile intermediario che massimizza il ritorno per le aziende e che professionalizza il mondo degli influencer

La popolazione italiana, con un trend in costante crescita, è una popolazione connessa, digitale e social. Sono quasi 50 milioni gli utenti connessi a Internet nel 2020 con una penetrazione nella popolazione totale di circa l’82%. 35 milioni di utenti (58% di penetrazione sul totale degli Italiani) usano i social media con un tempo medio di navigazione su Internet di 6 ore al giorno e di 2 ore sui social. Il dato però che più fa riflettere è che quasi un terzo dei consumatori effettua transazioni sui social media.
Si sta dunque assistendo a una graduale migrazione delle transazioni da piattaforme statiche (tradizionali), il cui obiettivo è fornire al potenziale consumatore la più ampia gamma di prodotti possibili comparandone prezzo e qualità, a piattaforme più dinamiche, come i social media, che attraverso gli influencer o strategie di advertising mirato hanno l’obiettivo di stimolare l’engagement dei consumatori e non solo la mera intenzione di acquisto.

I social media, se da un lato concorrono ad incrementare quasi all’infinito lo spazio dello scaffale virtuale necessario per pubblicizzare i brand, dall’altro obbligano le aziende, per creare sempre più engagement con i consumatori, a delegare una parte del controllo sull’immagine, sui valori e sui messaggi veicolati a nuove figure in grado di suscitare appeal nel grande pubblico: gli influencer.

Infatti, se da un lato si fa affidamento a queste nuove strategie comunicative e di marketing, dall’altro si deve essere consapevoli che possono rappresentare un rischio per le aziende. Accomunando il brand all’influencer, l’azienda delega parte del controllo sulle strategie di marketing all’influencer stesso che, attraverso le sue azioni quotidiane, anche slegate dalla mera attività di promozione del prodotto stesso, influisce sull’immagine del brand e sulla sua autenticità. Ad esempio, un influencer può esprimere opinioni personali su temi di attualità ma il brand può non avere lo stesso punto di vista e quindi revocare la sponsorizzazione all’influencer.

Se da un lato l’autenticità del brand, composta da tutti quegli elementi intangibili e non dell’azienda quali i valori, la storia e il capitale umano, può rappresentare una fonte di differenziazione rispetto ai competitor e quindi un vantaggio competitivo, dall’altro questa migrazione verso le forme più social di promozione espone i brand a rischi difficilmente controllabili e potenzialmente molto dannosi per la brand equity.

Tuttavia, per mitigare l’incertezza di successo delle sponsorizzazioni e per massimizzare il ritorno che si può ottenere dall’influencer marketing, sono nati nuovi intermediari il cui obiettivo è di professionalizzare il mondo degli influencer. La nascita delle collab houses italiane, ricalcando le collab houses americane nate una decina di anni fa, è un esempio di come questi nuovi intermediari, insediati nella catena del valore del mercato degli influencer, cerchino di stabilire metriche certe nella creazione di contenuti. Questo ha un duplice effetto. Da un lato ne alza la qualità e favorisce una cross-contaminazione delle skills dei singoli influencer, permettendo di esercitare il controllo tecnico e qualitativo sulla creazione di contenuti, dall’altro permette, a questi nuovi intermediari, di massimizzare il ritorno sugli investimenti facendo leva su un maggior potere contrattuale. Infatti, il potere attrattivo di queste collab houses si basa sulla semplice equazione per cui la somma del valore creato dai singoli influencers è inferiore al valore creato dalle collab houses che, facendo leva su un numero di followers ineguagliabile dai singoli, su una qualità di contenuto mai vista prima e sulla professionalizzazione di un mestiere fino ad ora sconosciuto ai più, permette di vendere ai brand interazioni difficilmente raggiungibili dai singoli.

Questo trend appare avvalorato anche dal crescente numero di investitori professionali e fondi di private equity che entrano nel capitale di rischio di questi nuovi intermediari. Questo accade perché da un lato vedono l’opportunità di un ritorno sul capitale investito in un mercato “blue ocean” relativamente inesplorato e dall’altro si assicurano risorse scarse e difficilmente imitabili: la creatività degli influencer. Ne è un esempio l’investimento di The Hundred, media holding di partecipazioni fondata da Vincenzo Macrì, Marino Giocondi e da Leonardo Bongiorno, nella NewCo partecipata dall’influencer Tommaso Zorzi o l’aumento di capitale da 5 milioni di euro, sottoscritto dal Fondo Italia Venture II di CDP Venture Capital SGR, Vertis SGR e StarTIP (gruppo Tamburi Investment Partners) in Boozle, startup che opera nell’ambito dell’influencer marketing.

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Augusto Bargoni, Ph.D fellow presso il Dipartimento di Management, Università di Torino.
Chiara Giachino, Ph.D., Associate Professor in Marketing presso il Dipartimento di Management, Università di Torino.

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