Interessanti i crediti deteriorati delle aziende!

Esiste un mercato dei Non Performing Loans a livello corporate? I nodi da risolvere e le risposte di banche ed investitori.

E' ormai da qualche mese che si parla solamente di crediti deteriorati, del possibile loro impatto sui bilanci bancari, di varie soluzioni - come la c.d. ”bad bank” - dei soggetti economici potenzialmente interessati ad entrare nel mercato dei Non Performing Loans (NPLs). Forse occorre un po’ di chiarezza per comprendere meglio di quale mercato e di quali numeri stiamo parlando.

Il mercato complessivo dei crediti deteriorati al fine 2015 vale circa 345 MD corrispondenti al 18% del totale dei prestiti erogati, con sofferenze lorde per 201 MD e incagli per 111 MD.

Un mercato sicuramente interessante, ma con alcuni distinguo.

Un primo aspetto riguarda la distinzione tra il mercato dei NPLs “retail”, ovvero i crediti in capo ai singoli individui (tipicamente i mutui delle famiglie) e quello “corporate”, comprendente i crediti delle imprese: si tratta di due segmenti con modalità di gestione e grado di rischio completamente diversi (basti pensare alla frammentazione del primo ed alla concentrazione del secondo).

Una seconda distinzione concerne le dimensioni complessive dei due segmenti, non sempre facili da identificare e diversamente articolati (per numero di imprese, livelli di debito e distribuzione territoriale).

L’analisi qui proposta riguarda il mercato dei NPLs “corporate” che a sua volta è necessario segmentare per gradi di “qualità del credito” che la normativa attuale (anche se in corso di cambiamento) distingue per Sofferenze, Incagli, e Crediti Ristrutturati. Le soluzioni che si possono proporre sono infatti assai diverse: accanto al mercato delle Sofferenze “corporate” (che vale circa 135 MD e sarà probabile oggetto delle classiche tecniche di cartolarizzazione, eventualmente integrate dai recenti interventi normativi) ne esiste un altro molto interessante per l’economia del Paese, quello degli Incagli “corporate” che ammonta a circa 84 MD. Tra i due segmenti il più interessante è sicuramente quello degli Incagli, dove si trovano crediti di imprese che, adeguatamente ristrutturate, possono essere risanate e riprendere la strada della continuità aziendale.

Con questi numeri può nascere un vero mercato dei NPLs? Qual è il sentiment degli operatori al riguardo? Per favorire l’incontro tra domanda (fondi potenziali compratori) ed offerta (banche potenziali venditrici) una recente ricerca condotta dal Laboratorio Private Equity&Finanza per la Crescita della SDA Bocconi ha intervistato 83 fondi di investimento e le principali banche italiane. In sintesi ecco cosa emerge.

Un terzo del campione dei fondi potenziali investitori:

  • si è dichiarato interessato a operare nel mercato dei NPLs Corporate con un ammontare complessivo sino a 50 ML, esprimendo preferenze per le aziende di taglio medio-grandi attive nel manufacturing;
  • è disponibile non solo a comprare il debito bancario al giusto prezzo, ma anche a iniettare nuova finanza con un ammontare medio tra 0-10 ML finalizzato a ristrutturare l’azienda;
  • si aspetta ritorni sull’investimento intorno al 15-20% l’anno.

 

Mentre le banche rispondenti:

  • confermano di avere già eseguito operazioni di cessione NPLs, inerenti principalmente portafogli retail e immobiliari;
  • si dichiarano molto interessate ad effettuare operazioni nel mercato NPLs Corporate;
  • tra le operazioni portate a termine, specialmente nei crediti ristrutturati, confermano che hanno avuto successo quelle che hanno messo in atto un cambio di governance .

 

Al fine di “chiudere” il gap tra domanda e offerta, il Governo sta studiando le modalità che possano rendere meno aleatorie le aspettative di recupero e soprattutto anticipare i tempi di recupero dei crediti dubbi anche con l’introduzione delle GACS, ovvero le garanzie sui crediti in sofferenza.

La discussione sui pro ed i contro delle varie proposte è ancora in atto, ma sulla sfondo resta uno snodo cruciale: meglio affidare la gestione del portafoglio NPLs a strutture esterne (le bad bank attraverso specifici veicoli), oppure lasciare che siano le stesse banche ad organizzarsi internamente?

Se la prima ipotesi comporta necessariamente lo scontro nel differenziale bid-ask tra chi compra e chi vende (la ricerca dimostra ancora distanze notevoli), la seconda ipotesi (che il 60% delle banche rispondenti sembra preferire) presuppone un cambiamento sostanziale (o meglio un salto di qualità) delle competenze interne alle banche attualmente disponibili: sogno realizzabile o mera illusione?

 

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