Intervista a Giuliano Poletti: una riforma aiuterà il mercato

Lavoro – Uno degli obiettivi del Ministro è realizzare un codice unico e semplificato per ridurre l’elevato contenzioso in materia

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Lavoro che non c'è: un'emergenza per i giovani. Il lavoro che non c'è più: un incubo per chi è maturo e ha perso il posto; un incubo che oggi non fa spesso differenze tra chi è assunto a tempo indeterminato e chi invece è precario. I numeri sono da bollettino di guerra: lavora solo 1 italiano su 2, la disoccupazione giovanile supera il 40% (siamo ai livelli del 1977), oltre 2 milioni di giovani vivono nel limbo, più o meno beato, dei neet (acronomico di “not in employement, education, training”). Sono proprio i giovani che preoccupano di più il ministro Giuliano Poletti, classe 1951, nativo di Imola, e per anni alla Lega delle Cooperative. L'obiettivo generale di Poletti sembra quello - a prima vista difficilissimo da raggiungere - di armonizzare la legislazione sul lavoro con le esigenze del mercato e delle imprese. Poletti sembra preferire lo sviluppo di politiche attive piuttosto che passive. Ossia: no a sussidi di mero sostegno, sì a incentivi al rientro o all'ingresso.

Ministro, proviamo a sintetizzare i principali provvedimenti del Governo sul lavoro.

Sul tema del lavoro abbiamo proposto un decreto che riguarda il tema dei contratti a termine e dell'apprendistato, e che prevede la semplificazione delle procedure per la prorogabilità dei contratti in modo tale che la persona possa essere riconfermata nel limite massimo dei 36 mesi. La semplificazione delle procedure dà un segnale di tranquillità alle imprese che possono così assumere più facilmente, soprattutto nelle fasi di crisi economica.
Dal 1° maggio è attivo il programma “garanzia giovani”: tutti i giovani dai 15 ai 29 anni, che non lavorano e non studiano, potranno registrarsi presso il portale nazionale e regionale e saranno chiamati dalle agenzie con centri per l'impiego con un pacchetto di proposte che va dallo stage all'apprendistato, dal servizio civile ad altre forme di collaborazione più o meno durature. È la prima volta che succede in Italia: chiediamo alle aziende di mettersi a disposizione perché potranno avere nei prossimi anni giovani disposti a fare stage/apprendistato. È un investimento importante, con risorse di 1,5 miliardi, valido per il 2014-2015. Lo considero un prototipo delle politiche attive. Prima della crisi i ragazzi tra 15 e 24 anni che cercavano occupazione erano circa 400.000; nel 2013 sono saliti a 655.000; e quindi ci sono 250.000 giovani in più che tentano di entrare nel mercato del lavoro.

Le imprese chiedono liberalizzazioni, sgravi fiscali, flessibilità e semplificazione burocratica, anche nei contratti di lavoro. Come conciliare queste esigenze con l'attuale congiuntura occupazionale?

Se non si cambia l'assetto normativo in una direzione di maggior semplificazione continueremo ad avere un mercato del lavoro ingessato, che fatica ad assorbire gli effetti della ripresa.
Con la legge delega ci poniamo un obiettivo ambizioso e complesso: cambiare alla radice la regolazione storica del lavoro: vogliamo lavorare su un codice semplificato del lavoro per ridurre la quantità abnorme di contenzioso con molte norme in conflitto; vogliamo cambiare la logica degli interventi dalla tutela passiva alla creazione di politiche del lavoro. Dobbiamo costruire una rete che oggi non abbiamo: finora in Italia si sono affrontate le crisi con gli ammortizzatori sociali, ma dobbiamo avere uno strumento unico, condiviso, nazionale e sinergico, di tutela per chi perde il lavoro.

In quali settori vede più possibilità di ripresa economica in Italia?

Ci sono bacini molto chiari: turismo, cultura, enogastronomia, made in Italy, e poi la grande area di espansione dei servizi alla persona: l'allungamento della vita media ci proporrà esigenze sempre più pressanti di assistenza di servizio. Poi c'è l'innovazione tecnologia legata ai poli di ricerca scientifica, le reti dei sistemi, bisogna cominciare a pianificare lo sviluppo, e puntare sulle infrastrutture che sono ancora insufficienti per le esigenze delle nostre imprese.

Lei crede molto nell'autoimprenditorialità, ma anche nell'economia sociale.

È vero. È una delle ragioni che ho detto prima: i servizi per le persone saranno sempre più necessari. Bisogna costruire il futuro del Paese sull'economia sociale e solidale, puntando su imprese cooperative, imprese sociali, cooperative di comunità, e ogni altra forma di economia sociale e associativa che metta al centro non la finanza, ma la persona, non la remunerazione del capitale, ma i bisogni dei soci e della comunità.

Siete partiti bene incassando l'apprezzamento di buona parte del mondo dell'impresa. Come rispondete, però, alle critiche del mondo sindacale?

I numeri ci dicono che le norme hanno di fatto prodotto esiti diversi da quelli per cui erano state scritte. Le norme riescono a vietare, non a imporre una direzione ai mercati. Se le leggi non corrispondono alle esigenze delle imprese il mercato non funzionerà mai.
Prima della nostra proposta sulla prorogabilità del contratto a tempo determinato, le aziende tendevano a far ruotare persone diverse, anziché confermarne una più volte entro i 36 mesi. Ma io chiedo ai sindacati: non è più probabile che venga assunta una persona che è stata confermata più volte piuttosto che l'azienda ne prenda un'altra che non conosce?

Il tema del welfare aziendale si lega anche alle esigenze delle donne e delle famiglie sul lavoro.

Nella delega abbiamo introdotto maggiori tutele per la maternità. Un altro tema urgente riguarda lo sviluppo di servizi welfare nelle aziende: molte hanno cominciato a organizzare servizi interni per venire incontro alle esigenze quotidiane di lavoratori e lavoratrici.
Uno dei nostri obiettivi è proprio la collaborazione tra welfare e aziende per trovare forme di assistenza che integrino quello che già si fa a livello pubblico.

L'occupazione si crea anche con l'apertura alla concorrenza di settori tradizionalmente chiusi. Insomma, liberalizzando.

Questa materia compete più al Ministero dello sviluppo economico. A mio avviso, i mercati migliorano in trasparenza ed efficienza nella misura in cui aumenta la concorrenza. Tutti i percorsi che portano a stimolare la competizione sono validi. La gdo ha di fatto un ruolo determinante nel miglioramento e nella semplificazione della domanda e dell'offerta. La resistenza alle innovazioni si rivela sempre perdente. La tecnologia con gli effetti innovativi che porta sui mercati e sugli stili di vita, e l'apertura alla concorrenza aumentano il servizio ai consumatori. L'Italia ha un serio problema di piccole e grandi rendite diffuse, di scarsa concorrenza. Se non usciamo da questi schemi e da questi vincoli, l'Italia non riuscirà a tornare competitiva

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