Inversione contabile: gdo e idm all’attacco

Sul numero di Mark Up di gennaio / febbraio 2015 un approfondito servizio sulla reverse charge.

L’opinione di..
Mario Gasbarrino - Unes
Riccardo Francioni - Selex
Giampietro Malusà - Coop
Eleonora Graffione - consorzio Coralis
Roberto Carlino - il Gigante
Francesco Pugliese - Conad
Valerio Di Natale - Mondelez Italia

La posizione di Federdistribuzione:
“Colpiti per la nostra virtuosità”

La posizione di Centromarca:
“Non è il proprio momento adatto”

A colloquio con Enrico Zanetti, sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze

La posizione di Auchan Italia: parla Franco Castagna, direttore finanziario

Penalizzati rispetto agli altri Paesi europei
Il nuovo regime sul reverse charge, introdotto con la Legge di Stabilità 2015, rischia di penalizzare la gdo. Con danni diretti sui fornitori


La Legge di Stabilità 2015 apre le porte della gdo al meccanismo fiscale dell’inversione contabile, il reverse charge. Con questo termine, si intende il trasferimento di una serie di obblighi relativi alle modalità di assolvimento dell’Iva dal cedente di beni o servizi all’acquirente (in deroga alla disciplina generale). L’acquirente risulta allo stesso tempo creditore e debitore del tributo: con questo sistema, chi generalmente beneficia di una cessione di beni o di una prestazione legata all’erogazione di servizi, se è soggetto passivo dello Stato, deve assolvere agli obblighi legati all’imposta in vece di colui il quale cede o presta il servizio. Gli obblighi di assolvimento dell’imposta vengono trasferiti dal cedente all’acquirente il quale, ricevuta dal fornitore la fattura senza applicazione dell’Iva e con l’indicazione che si tratta di un’operazione soggetta a inversione contabile, integra il documento, riportando l’aliquota e la relativa imposta, e annotandolo nel registro sia delle vendite sia degli acquisti.
L’emendamento L’introduzione di questo meccanismo fiscale è avvenuta tramite l’inserimento nel testo della Legge di Stabilità 2015 di un emendamento presentato dal Governo in Commissione Bilancio al Senato, il quale ha aggiunto la lettera d-quinquies al sesto comma dell’articolo 17 del Dpr 633/72, prevedendo l’applicazione del reverse charge per le cessioni di beni (sono esclusi i servizi) nei confronti di ipermercati, supermercati e discount alimentari.

Attesa per il parere Ue
Mentre nei settori edile, energetico ed in quello del commercio di pallet il via libera per il reverse charge è immediato, in quello delle forniture alla distribuzione moderna l’applicazione è subordinata al rilascio di apposita autorizzazione da parte dell’Unione europea in deroga alle comuni regole dell’Iva. Per tutti i settori toccati dalla nuova normativa l’applicazione dell’inversione contabile è prevista per un periodo di quattro anni (fino al 2018 compreso). Anche nel caso della previsione più discussa, quella che dispone l’applicazione dell’inversione contabile anche per le forniture di beni alle imprese della grande distribuzione, la norma è valevole fino al 2018 ma, come detto, necessita di una specifica deroga comunitaria ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112.
Lotta all’evasione o leva fiscale Ci si chiede qual sia la ratio sottesa all’applicazione di tale meccanismo fiscale alla gdo: si tratta di uno strumento realmente valido contro gli evasori Iva o di una misura conveniente per il gettito fiscale? Ha senso la sua introduzione in un settore ove gli operatori sono numericamente pochi, facilmente individuabili e ben strutturati, quindi a basso rischio evasione? Per il Governo, il regime dell’inversione contabile dovrebbe essere un’efficace arma per combattere l’elusione fiscale, spostando l’onere dell’adempimento dal piccolo imprenditore alla grande distribuzione. Pare anche essere una misura conveniente sotto il profilo del gettito fiscale: il Governo “scommette” di incassare circa 730 milioni, da utilizzare nel 2015 per contribuire a ridurre il deficit strutturale di 4,5 miliardi, come chiesto dalla Commissione Ue. L’amministrazione finanziaria del Governo, quindi, punterebbe a recuperare ampi spazi di evasione applicando il nuovo regime a tutte le operazioni B2B tra retailer e piccoli fornitori. In questo modo si sposterebbe l’obbligo di versamento dell’imposta sul valore aggiunto dalle piccole partite Iva alle catene commerciali. L’attenzione ed eventuali verifiche si concentrebbero solo sui soggetti più facilmente individuabili e controllabili; allo stesso tempo, si ridurrebbero i passaggi della filiera nella fatturazione dell’Iva, soprattutto le possibilità per mettere in atto frodi o mancati versamenti dell’imposta.

Clausola di salvaguardia Trattandosi di un’operazione vincolata al parere preventivo della Commissione Europea, l’applicazione del reverse charge alla grande distribuzione è stata legata ad una clausola di salvaguardia che prevede il possibile aumento della benzina, tale da assicurare maggiori entrate per altrettanti 730 mio. Se la Ue non dovesse approvare la proposta, scatterà un nuovo aumento sulle accise per i carburanti (ndr: quelle delle birre sono già aumentate). Siamo di fronte al cosiddetto split payment, nuova modalità di assolvimento dell’Iva, inserito anch’esso nella Legge di Stabilità (art. 17-ter del Dpr n. 633/1972 e vincolato a una clausola di aumento della benzina, stimata in circa 988 milioni di euro). Siamo di fronte a una particolare modalità di pagamento dell’Iva relativa a operazioni nei confronti della Pubblica Amministrazione: con questa norma le PA acquirenti di beni e servizi pagano direttamente all’Erario l’Iva addebitata loro dai fornitori. Va ricordato che alcune categorie di fornitori della PA sono esclusi dall’applicazione dello split payment: i soggetti a ritenuta alla fonte sulle prestazioni (i professionisti) e coloro che già applicano il reverse charge (che prevale sullo split payment).

Peggio dell’art. 62 Il reverse charge potrebbe costare caro alla gdo. Non erano bastate le novità introdotte nel 2012 con l’art. 62 a mettere in ginocchio la gdo. L’introduzione del regime di inversione contabile potrebbe avere un forte impatto sulla liquidità dei retailer, valutato, in prima stima, in maniera anche tre volte superiore a quello originato dall’art. 62. Una minaccia reale alla sopravvivenza di molte aziende. I retailer dovrebbero così assolvere l’obbligo Iva sui prodotti acquistati che però poi cedono al netto dell’imposta ai loro negozi. Ciò si tradurrebbe in un accumulo di crediti Iva che solitamente lo Stato rimborsa in tempi lunghi (circa un anno e mezzo). Già l’articolo 62 aveva avuto un forte impatto sulla liquidità delle aziende del settore (circa 3 mld e), ma con il reverse charge si stimano conseguenze tre volte maggiori. Si rischia un effetto paradossale: quello di una misura poco utile a contrastare fenomeni di frode (in un settore a basso rischio) e molto pericolosa per la stabilità delle imprese, grandi e piccole. Ai retailer non resta che trovare un punto di incontro con il Governo e confidare nel buonsenso della Commissione Europea.

Infografica-RC

 

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