La body neutrality invita i brand a un cambio di rotta (Pinterest docet)

Evoluzione più matura della body positivity, spinge ad alcune riflessioni. Pinterest, ad esempio, ha vietato gli annunci sulla perdita di peso

Quando si tratta di diversità e inclusione, con tutte le possibili sfaccettature del tema, ci stiamo ormai abituando a un pullulare di nuovi vocaboli e definizioni, per lo più inglesi, che ambiscono a fare ordine, plasmare il nuovo e ad offrire nuove possibilità di espressione. Il rischio è che, per lo meno per una parte dell'audience, tutti questi neologismi finiscano in un calderone che restituisce la sensazione di caos e porti come tale a risposte di scetticismo e resistenza, per non dire fastidio. Eppure, in mezzo a tanta vitalità linguistica è importante discernere i livelli del dibattito e cogliere, tanto come individui quanto come istituzioni e aziende, quelli che sono input significativi mandati dal basso: ne è un esempio il tema della body neutrality.
La body neutrality, semplificando, è una sorta di evoluzione e maturazione della body positivity. Se quest'ultima, infatti, si concentrava su un accettazione del corpo con positività, in modo talora un po' forzoso e rischioso (bene l'inclusione, ma celebrare l'obesità anziché trattarla per la malattia che è va a vantaggio solo del junk food, non delle persone), la body neutrality punta proprio a spostare l'attenzione da quella che è una focalizzazione eccessiva sul corpo, privilegiando ad esempio il benessere della mente. La generale insoddisfazione dilagante rispetto alla propria fisicità è infatti primariamente connessa a un eccesso di valore dato alla stessa, a una sorta di ossessione collettiva per il corpo che questa tendenza culturale punta a contrastare semplicemente privandolo dell'eccessivo risalto. Così, mentre il marketing e la comunicazione di marca si sono appropriati velocemente della body positivity, i consumatori/utenti come sempre cercano un nuovo livello di autenticità, guardando allo step successivo e superando il concetto. In questo caso, forse, meglio approfondendolo.

Certo, l'epoca degli schermi non consente di tornare troppo indietro, a un tempo in cui il corpo non aveva così tanti palcoscenici a immediata disposizione, ma il messaggio che si vuole mandare è chiaro: il focus sulla fisicità, non importa se magra, curvy, lontana dagli stereotipi dominanti e omaggiante il politically correct, ha comunque stancato di per sé stesso. Una tema sfidante e interessante per i brand e il mondo dell'advertising, che non possono fare a meno di investire sull'immagine. E non si tratta solo di fare nuove considerazioni sul fronte delle scelte stilistiche, narrative e di testimonial, ma si può arrivare a fare del tema una questione di csr e scelta di responsabilità. Lo ha fatto, ad esempio, Pinterest, che invece di "mascherarsi" dietro al concetto di neutralità rispetto a inserzionisti e contenuti pubblicati sulla propria piattaforma, una scelta che player affini ancora prediligono, a luglio 2021 ha vietato gli annunci che contengono testi o immagini relativi alla perdita di peso. Questa decisione, che si è aggiunta alle politiche volte a contrastare il body shaming, ha portato a un calo del 20% delle ricerche globali a tema "perdita di peso". E questo a luglio, ovvero in un mese tipicamente "caldo" per la tematica. Tra metà aprile e metà maggio 2022, invece, le ricerche per “pasti genuini e veloci” sono cresciute di 65 volte e quelle per “motivazione alimentazione sana” di 13 volte rispetto all'anno precedente.
"A distanza di un anno, stiamo assistendo a una risposta positiva da parte degli utenti, che dimostra l'impatto reale che una politica di questo tipo può avere sui comportamenti e sulle percezioni online. Continueremo a sostenere e proteggere i nostri utenti da informazioni o contenuti dannosi che non sono in linea con la nostra mission e i nostri valori.”, ha dichiarato Sarah Bromma, head of policy di Pinterest.
Il caso di Pinterest, pur nel suo piccolo, mostra pertanto molto chiaramente che la responsabilità di chi modera i contenuti e ovviamente anche di chi come i brand li propone, c'è a tutti gli effetti. I messaggi che si mandano (o in questo caso non si mandano) al proprio target, soprattutto giovane, hanno un impatto sociale più ampio. E il target stesso se ne sta accorgendo e rivolge direttamente le proprie istanze alle aziende. Ancora una volta si ripropone la questione, già trattata su queste pagine, del civismo di marca, del scegliere la natura profonda del proprio stare sul mercato nel lungo termine.

 

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