La carica di 101caffè si prepara allo sviluppo internazionale

Il franchising è il canale strategico per la crescita di questo marchio giovane che ha già 101 punti di vendita e ambizioni di ulteriore espansione anche al di fuori dei confini nazionali. Umberto Gonnella, fondatore di 101Caffè, racconta la sua azienda, dalle origini alle nuove prospettive di mercato nel food&beverage (da Mark Up n. 276)

Partito solo 6 anni fa con il primo punto di vendita pilota, 101Caffè è oggi una catena retail riconosciuta e in crescita su un mercato dominato da colossi come Nespresso (suo principale concorrente) e dalla grande distribuzione che sta puntando molto sulle capsule anche a proprio marchio. Umberto Gonnella, fondatore e amministratore delegato di 101Caffè, pensa in chiave globale: dopo le recenti aperture a Ginevra, Singapore e Marrakech, e l’imminente inaugurazione a Kuwait City, sono in programma nel 2019 anche gli store di Réunion, Armenia e Slovacchia. “Nel 2019 prevediamo almeno 22 nuove aperture nazionali -precisa Gonnella- ma vorremmo fare di più: se penso a colossi come Starbucks o Walgreens che nel pieno del loro corso espansivo aprivano al ritmo di uno store al giorno, mi sento quasi una tartaruga”. Gonnella, 51 anni, viene dall’informatica, settore nel quale ha ancora una sua azienda. 101Caffè è il frutto di una passione per il retail, oltre che un marchio e una catena che stanno crescendo in un settore, quello del caffè porzionato, molto dinamico e frammentato con grandi potenzialità di sviluppo.

Cominciamo dall’assetto societario.

La società rimane di mia proprietà, ma ho ceduto (contestualmente a un aumento di capitale di circa 2,5 milioni di euro) il 24,98% a un partner di Singapore, molto attivo sui mercati asiatici e in Russia, che sviluppa un fatturato di 300 milioni di dollari l’anno, ed è quotato alla Borsa di Singapore. Abbiamo scelto volutamente un partner industriale e non finanziario, perché preferiamo dialogare con logiche più imprenditoriali che opportunistico-speculative.

Il franchising è il canale di sviluppo retail più importante per voi.

Certamente. Dei nostri attuali 101 punti di vendita, 12 sono diretti, tutti gli altri in affiliazione. In questi anni abbiamo ottimizzato il modello, apportando migliorie sotto tutti gli aspetti del business. Abbiamo lavorato molto sull’innovazione dei processi: nella creazione del packaging, siamo gli unici ad aver sviluppato un sistema di stampa digitale delle confezioni che ci permette di aggiornarle con flessibilità e velocità.

L’investimento previsto per il potenziale franchisee è intorno ai 50.000 euro, ma dipende dal contesto urbano (città o centro commerciale) e dalla posizione. L’azienda prevede vari supporti per gli aspiranti franchisee, come i noleggi operativi che aiutano l’avvio dei locali. Per quanto riguarda i centri commerciali, siamo noi a trovare direttamente le posizioni, anche perché le proprietà preferiscono dialogare con la casa madre anziché con i singoli imprenditori.

Un altro filone di sviluppo è quello della somministrazione all’interno di negozi non-food: è una strada che presenta ampi spazi di crescita; sto lavorando da due anni su questo aspetto, considerando che ormai anche catene come Miss Sixty, Thun o Yamamay prevedono la caffetteria soprattutto all’interno dei loro flagship store.

Gli inizi di 101Caffè sono stati facili?

Direi proprio di no. Nessuno ci considerava seriamente: i grandi marchi del caffè mostravano indifferenza. D’altronde era comprensibile: abbiamo esordito quando colossi come Nespresso e Lavazza avevano già creato questo mercato. Mi piace dire che noi siamo una specie di Grom del caffè.

Adesso le cose sono cambiate, in meglio: Lavazza ci guarda con attenzione, Nestlé ci considera una lente di ingrandimento sul mercato del porzionato. Con Nespresso abbiamo firmato un accordo di collaborazione che fissa le regole per l’utilizzo del loro marchio sulla comunicazione di 101Caffè, incluse le confezioni dei nostri compatibili.

Siete in gdo?

No, e non vi siamo per scelta. La gdo è un mercato importante per volumi, ma i nostri negozi vendono caffè da torrefazioni artigianali selezionate, e lo sviluppo del brand è nel retail specializzato, dove gli acquisti sono solitamente assistiti e dove il cliente riceve spiegazioni e un buon servizio. Stiamo lavorando per creare e incrementare l’autorevolezza del marchio pian piano e per così dire dal basso. La qualità del prodotto per noi è fondamentale.

Oltre alla qualità, quali sono le altre leve di successo del retail fisico?

Sono due, secondo me: location e personale. Vorrei soffermarmi sul secondo fattore che è quello più critico. La crescita dell’eCommerce non si deve solo alla bravura di grandi player globali, ma anche agli autogol dei retailer. Personalmente ritengo che l’inadeguatezza del personale può contribuire alla chiusura di un negozio molto dell’eCommerce.

La mia esperienza di osservatore e di cliente mi dice chiaramente che uno dei maggiori problemi del retail fisico è l’impreparazione, anche umana e culturale, del personale. È colpa nostra (e per nostra intendo dei retailer), se non abbiamo saputo scegliere bene le persone giuste: nei negozi gli addetti alla vendita devono essere persone empatiche, motivate, capaci di vendere, ma prima ancora di relazionarsi con il pubblico.

Per questa ragione suggeriamo al nostro staff di vendita di mantenere una certa spontaneità nel comportamento, pur nelle regole dettate dal marchio: non sopporto i “behavioural code” da manichini o robot spesso applicati nel commercio al dettaglio. Il dress code -necessario per certi negozi di fascia alta e di lusso- non può limitare la spontaneità delle persone, sebbene vengano insegnate strategie e modalità di comunicazione.

Il futuro della ristorazione è la standardizzazione

A Buccinasco -un’uscita dopo Assago Milanofiori, sulla tangenziale ovest- 101Caffè ha la sua sede logistica, mentre quella produttiva è a Bologna. Gli headquarters si trovano nello stesso comprensorio di Domino’s Pizza, un’impresa multinazionale specializzata nel food delivery, che punta sulla tecnologia come fattore guida dello sviluppo. “Analizzare il modello di Domino’s Pizza -aggiunge Umberto Gonnella- permette di capire dove andrà la ristorazione commerciale nel futuro. Uno dei fattori vincenti di Domino’s e dei principali player multinazionali, come McDonald’s, è la riorganizzazione del personale: è un processo aiutato dall’innovazione industriale e tecnologica, che permette alle catene di ristorazione di utilizzare il personale con flessibilità su tutti i settori dell’offerta”. Destrutturando le risorse umane è possibile, per esempio, collocare in cucina un addetto che fino a poco prima lavorava alla logistica. Questa possibilità si deve alla tecnologia per la rigenerazione dei cibi che permette di preparare istantaneamente un piatto di qualità mantenendo costanti sia le caratteristiche organolettiche sia soprattutto quelle relative alla preparazione.

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