La Cina riduce i dazi sull’import di beni di lusso. Che fare?

Dallo scorso 1° Giugno il governo cinese ha varato una riduzione dei dazi doganali per le importazioni di beni di lusso, con tagli che arrivano fino al 50% sulle tariffe vigenti. Il provvedimento riguarda soprattutto i settori dell’abbigliamento, calzature e cosmetici. Per esempio, su numerosi tipi di calzature il dazio si riduce dal 24% al 12%, sui capi di abbigliamento dal 14-17% (a seconda dei materiali) al 7-10%.

La misura è stata presa dal governo cinese per porre freno agli acquisti all'estero da parte dei cittadini cinesi, che nel 2014 hanno comprato beni di lusso oltreconfine per un valore di 62,1 miliardi di euro, pari al 55% del totale di beni di lusso acquistati dalla Cina (Il Sole 24 Ore, 27 maggio 2015).

Finora i prezzi elevati hanno scoraggiato gran parte dei cinesi, se non le classi più abbienti, dal comprare in patria beni di lusso, preferendo fare acquisti all'estero oppure commissionarli a figure di intermediari, i daigou, che si recano all'estero a fare acquisti su commissione, o ancora acquistando da siti web stranieri e pagando attraverso piattaforme come Alipay, in tutti i casi evitando la tassazione in entrata. Di fronte al rallentamento del mercato interno, la mossa del governo mira a sacrificare parte degli introiti doganali per stimolare gli acquisti in patria, anche se i crescenti flussi turistici in uscita non faranno che accrescere il fenomeno in atto. Inoltre, dovrebbe essere introdotta una tassa locale sul lusso per una spesa superiore a circa 4.500 euro, relativa quindi a gioielli, orologi e abiti preziosi. Nel complesso, quindi, l'effetto della riduzione dei dazi potrebbe essere contenuto.

In ogni caso per le imprese italiane di tratta comunque di un’opportunità importante, perché potrà dare impulso all'espansione della domanda proveniente dalla classe media cinese, soprattutto se le imprese sapranno sfruttare l'occasione. Per fare questo vale la pena rivedere le politiche distributive, a partire dai format finora utilizzati.

I negozi monomarca rappresentano una soluzione ad esito sempre incerto, in ogni caso con degli impegni finanziari che impongono azioni graduali e presenze tutt'altro che capillari. Gli stessi flagship stores hanno spesso rappresentato un costo considerevole giustificato solo dal ritorno di immagine, mentre il retail aeroportuale non può certamente esaurire l'esigenza di copertura distributiva del mercato, soprattutto se, appunto, si vuole andare oltre il solo segmento del lusso più esclusivo.

E' allora venuto il momento di sfruttare il fenomeno emergente di un sistema distributivo che nell'arco di poco più di dieci anni è passato da una condizione di grande arretratezza a una modernità pari ai Paesi più sviluppati. Il riferimento è agli outlet village, che sono ormai una realtà anche in Cina, la cui crescita è prevista intensa anche per i prossimi anni. Suzhou Village (http://www.suzhouvillage.com/), Shanghai Village (https://www.valueretail.com), Shanghai Mega Mills (http://www.megamills.cn/), sono solo alcuni degli esempi dei nuovi poli di attrazione commerciale capaci di alimentare un turismo interno proveniente dalle metropoli circostanti, con consumatori che si presentano provvisti di lista dei prodotti da acquistare di cui conoscono ogni caratteristica, e che sono alla ricerca solamente delle condizioni migliori di acquisto.

Il presidio di questa forma distributiva richiede una capacità di controllo del posizionamento che non può essere delegata a intermediari, essendo delicato l'equilibrio fra scelte di assortimentali, prezzi e immagine che deve essere salvaguardata. La sfida è rendere il lusso più accessibile senza impoverire il brand, con pochi errori ammessi. Su tali aspetti la Cina non è più terra di conquista, ed è necessario che le strategie distributive siano attentamente valutate e, soprattutto, affidate a manager capaci.

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