La complessità della realtà virtuale

La quantità di informazioni che il cervello umano è in grado di elaborare attraverso gli stimoli sensoriali è elaborabile solo dai computer di ultima generazione. Si aprono scenari evolutivi suggestivi (da Mark Up n. 257)

Le tecnologie attuali non sono ancora pronte a realizzare una sessione di realtà virtuale immersiva, in grado di sostituire in modo indistinguibile la “vera” realtà. Però possono ricreare situazioni utili per molteplici scopi. In particolare i modelli di simulazione sono estremamente efficaci nelle sessioni di training e formazione. Generalizzando, si può dire che lo scopo della Vr è simulare delle esperienze. E più queste sono vicine al reale, più sono attendibili rispetto agli effetti complessivi che generano. Gli esempi possono essere molteplici. Per esempio, quando le tecnologie saranno disponibili, sarà possibile creare un centro commerciale virtualmente e farlo vivere a dei tester per verificare la bontà del progetto. Come accennato, la Vr totale è di tipo immersivo. Quella oggi disponibile prevede l’utilizzo di un visore, di auricolari e guanti con sensori per stimolare opportunamente i sensi di vista, udito e tatto. Ma è un’immersività a bassa definizione soprattutto per il senso del tatto, quasi sempre limitato ad un arto; sono esclusi comunque gusto e olfatto. Per schematizzare in modo sintetico l’essenza della Vr si possono individuare tre domini compenetrati entro i quali avviene l’esperienza. Il primo è quello percettivo dei sensi (sensoriale) dove il sistema di Vr somministra alla persona le stimolazioni sensoriali. Il secondo dominio è lo spazio interattivo dove la persona a fronte degli stimoli sensoriali ricevuti, attua delle azioni che impattano sul divenire dell’esperienza (causale). Il terzo dominio è lo spazio delle relazioni dove il sistema di Vr elabora attraverso la sensoristica e i sistemi di Ai le azioni della persona e risponde con altri stimoli. Qui si concretizzano gli effetti della relazione. Tutto questo sistema non lineare (non vale la sovrapposizione degli effetti) genera risultati di tipo probabilistico su cause ed effetti, utili per trarne dati di sintesi. Lo sviluppo dei dispositivi per Vr attuale è maggiormente concentrato sul senso visivo. I moderni smartphone hanno un hardware sufficientemente potente per poterli utilizzare in modalità visore; inoltre con l’arrivo sul mercato dei display 4K su display da 5-6 pollici, la riproduzione diventa molto fedele in termini di dettagli. Le tecnologie per simulare la tridimensionalità sono in rapida crescita così come i sistemi a campo sonoro di sintesi possono determinare scene acustiche realistiche in stage delimitati. Questo significa che già oggi è possibile simulare con realismo l’esperienza di una persona davanti a uno scaffale di un supermercato. Grazie alla Vr si può ottenere un feedback attendibile sull’efficacia di un display di scaffale e sommariamente valutarne complessivamente il visual. Esistono già applicazioni di questo tipo e sono disponibili sul mercato. Una di queste è InVrsion è una startup milanese che ha sviluppato la realtà virtuale per simulare diversi ambienti tra cui l’esperienza in automobile, nell’ambiente domestico e nel retail. Quest’ultimo progetto ha dato vita a Shelfzone, un retail space simulator che riproduce l’interno di un supermercato con realismo. Il sistema prevede un simulatore, un sistema di
controllo che monitora le attività del consumatore rispetto alla realtà simulata e una vista di planogramma che rappresenta l’ambiente e lo scaffale virtuale. Il tester si trova all’interno di un ambiente che nella realtà non esiste ed interagisce con esso. Mentre il tester effettua l’esperienza di acquisto simulata, un pannello di controllo su monitor esterno raccoglie i dati di interazione. Tra questi le percezioni emotive, l’attenzione, il ritmo cardiaco e altro. Particolare interesse possono destare anche gli sviluppi della realtà aumentata. In questo caso la tecnologia non genera situazioni esperienziali virtuali ma aggiunge elementi aggiuntivi alla realtà “vera” che circonda le persone. Per fare un esempio, la persona che le indossa, fissando un prodotto su uno scaffale può richiederne tutte le informazioni attraverso una finestra fluttuante nel campo visivo dal proiettore posto nell’occhiale. Il progetto Google Glass, ormai di tre anni fa, non è stato immesso sul mercato ma inserito in un programma di sviluppo a più lunga scadenza per problemi tecnici. La Vr è un’applicazione molto profonda nell’impatto dell’esperienza utente. Per questi motivi, occorrerà valutarne applicazioni, limiti e criticità. Se la simulazione a livello di studio e trainging è un salto epocale, altri impieghi potrebbero determinare effetti collaterali non trascurabili. Sostituendo la realtà “vera” con una sintetica e più gratificante, il rischio di creare situazioni di alienazione non è remoto. Basti pensare al mondo del gaming che già oggi produce fenomeni anche di isolamento. L’esperienza prodotta dai Google Glass è stata procrastinata prevalentemente a causa della scarsa autonomia delle batterie e per il software affetto da bug; molti commentatori l’hanno definita come un flop tecnologico. Ma i limiti dichiarati, appaiono superabili. Invece sono emerse criticità con alcuni soggetti che, in alcuni casi, hanno dimostrato un’interazione con il dispositivo al limite della dipendenza.

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