La coscienza del ruolo

L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 266)

Abbiamo spesso scritto che oggi ci si aspetta che le aziende, le imprese, si prendano nuove responsabilità più legate al sociale, al territorio, che in parte possano coprire le carenze di uno stato talvolta oberato, talvolta maldestro, spesso assente. Perché lo devono fare? Perché è parte del loro essere imprese, perché ogni attività umana deve andare oltre il procacciarsi cibo, denaro, vestiti: è quella che noi chiamiamo civiltà. Ma non saremmo stati coerenti se non avessimo rivolto a noi stessi la medesima domanda: qual è la nostra “responsabilità”? Qual è il compito di un giornale? Informare certo, con accuratezza e (oggi più che mai) con velocità.
Nel nostro caso, all’informazione si aggiunge la selezione delle notizie da trasformarsi in insight per i nostri lettori, indicazioni sulle “cose che verranno”.  Oggi, però, è tempo di dare di più, di esporsi e per farlo bisogna prendere posizioni. E quindi, fedeli a ciò che siamo, prendiamo la strada delle “buone notizie”, per raccontare di quelle imprese che hanno infuso nel loro dna la responsabilità e la coscienza di essere attori sociali: è per questo che abbiamo iniziato le serie #takeaction e #markupalfemminile.
Sarà la nostra azione di “civiltà” per raccontare le storie delle imprese che hanno saputo
muoversi al di fuori della loro operatività. Aziende piccole e grandi che hanno fatto del loro essere sul territorio un motivo di orgoglio e partecipazione alle attività della comunità, diventandone attori senzienti e non semplici osservatori. Il loro successo, anche economico, è la dimostrazione che oggi essere responsabili paga, crea profitto, apre nuove strade.
Va, in questa direzione, anche #markupalfemminile che racconta di donne che lavorano in aziende talvolta illuminate, talvolta “normali”, donne che hanno faticato per arrivare in cima, che fanno lavori “da uomo” e le racconteremo fintantoché non ci sarà più questa dicitura: non esisteranno più lavori “da uomo”, ma “da persona”, ognuno con la propria storia, ognuno con la propria peculiarità, ognuno, in quanto non omologato a “quel che
si è sempre fatto” o a “ciò che è sempre stato” e che ha saputo portare valore all’impresa. Ma c’è di più, vogliamo raccontare il valore della diversità andando oltre quella dell’eterna diatriba Marte e Venere, vogliamo parlare della ricchezza dell’inclusione, dell’opportunità (anche economica) dell’avere a disposizioni opinioni diverse che scaturiscono da esperienze generazionali, di etnia, genere, religione, orientamento sessuale ...
La diversità fa paura, così come il cambiamento, ma affrontandola si scopre il nuovo, si trova la strada per l’innovazione così cara oggi alle aziende e così fortemente voluta dal mercato.

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