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Da circa un decennio stiamo assistendo al progressivo impoverimento delle famiglie, con consumi stagnanti o in pericolosa caduta in molte categorie merceologiche. Il ridotto potere d'acquisto costringe a intervenire sulle proprie abitudini di consumo dando vita a nuovi modelli. Il consumo nell'era della crisi -ma meglio sarebbe definirla della "post-crescita"- assume una nuova fisionomia e si trasforma sempre più in uno strumento di espressione dell'individuo che si storicizza, che riflette cioè il mutare dei valori e del sentire di quest'ultimo.
La definizione
"Se in passato, l'identità sociale dell'individuo veniva definita dal lavoro -spiega Maria Angela Polesana, docente di Strategie e politica delle aziende di marca al corso di laurea in Marketing, consumi e comunicazione dell'Università Iulm di Milano- che per secoli è stato il principale ambito in cui si sviluppavano le relazioni sociali, negli ultimi decenni è il consumo a costruirla. Nel senso che il soggetto, attraverso la scelta di merci sempre più smaterializzate, che assommano cioè al semplice valore d'uso una forte componente simbolica, non solo esprime la propria identità, ma grazie a esse entra in relazione con gli altri e con il mondo. La dimensione simbolica delle merci, il loro significato costituisce di fatto un linguaggio, il linguaggio, appunto, del consumo. Così, se vogliamo comprendere il consumo, "agire sociale dotato di senso", non possiamo prescindere dalla comprensione e dall'analisi dei nuovi valori che si stanno imponendo in questi anni e che si traducono in altrettante nuove scelte di consumo".
Ma la pubblicità cambia?
"Va da sé che la pubblicità -risponde Polesana- offre sempre e comunque rappresentazioni, nel senso che i testi si riferiscono alla realtà sociale senza rispecchiarla completamente. E che non può abdicare al suo obiettivo, che è quello di stimolare il goodwill dei soggetti nei confronti dei prodotti che propone. Tuttavia si tratta di una di una forma di comunicazione che non può prescindere dalla realtà sociale che rappresenta e a cui si rivolge. Infatti può mutare nelle modalità in cui assolve a questo compito selezionando temi diversi. Un processo che è già iniziato, come dimostra l'analisi di vari spot di aziende/prodotti appartenenti a diversi settori merceologici (on air da metà 2012 a inizio 2013, ndr) che evidenziano un graduale processo di assorbimento, e quindi di rielaborazione, dei mutamenti che hanno investito la sfera economica, politica, la vita civile e il costume sociale".
Aderenza alla realtà
"La pubblicità sta cambiando -conclude Polesana-, è in larga parte cambiata perché è cambiato il suo interlocutore, il cittadino e la società tutta: nessun testo infatti esiste senza il suo lettore. Ed è segno di rispetto nei confronti di quest'ultimo non insistere in una mitologia, quella rinvenibile nell'equazione consumo=felicità, ma fare il proprio lavoro con intelligenza, al passo con i tempi: i tempi della società post-crescita".
Così la pubblicità si fa più attenta agli aspetti tangibili, funzionali dei prodotti, che debbono però rispondere anche a esigenze di tipo etico e ambientale: ne va della reputazione delle aziende. E il prezzo conveniente non è più solo un modo per catturare il consumatore, ma è soprattutto una forma di rispetto per la diminuita disponibilità economica. L'obiettivo è comunicare una sorta di solidarietà della marca nei confronti del portafoglio del consumatore e un suo essere in sintonia con un sentire sempre più generalizzato all'insegna del rispetto per l'ambiente, della valorizzazione delle emozioni, delle relazioni nelle varie declinazioni, in altre parole dei nuovi valori che sono assunti o percepiti dal consumatore contemporaneo.
Adattamento, non rivoluzione
"Tutto questo certo non significa -precisa Polesana- che la pubblicità abbia rinunciato alle sue tante e ricche possibilità espressive in nome di un'adesione esclusiva al realismo, e gli spot che passano tra i vari programmi televisivi ce lo confermano: basti pensare al sequel del Mulino Bianco Barilla. Non lo vorrebbero nemmeno i consumatori, che da tempo la considerano una sorta di genere televisivo, al punto da farla oggetto di fabulazione nella loro quotidianità se sa intrattenerli con una liberatoria comicità o con una intelligente ironia". Quello che la pubblicità invece non può fare è parlare di una realtà, di valori che non esistono più o che, peggio, sono oggetto di biasimo.