La distribuzione italiana deve cambiare linguaggio

Editoriali – Per la prima volta si ha la sensazione che qualcosa stia cambiando

Ho assistito recentemente alla presentazione del rapporto sulla legislazione commerciale organizzata da Ancd a Milano, e per la prima volta ho avuto la sensazione che qualcosa stia cambiando.
Legacoop che fa i complimenti al rivale Conad, per la sua capacità di assorbire imprese distributive quasi defunte e rivitalizzarle, ha avuto un effetto novità nell'apertura del convegno, così come l'intervento finale di Ivano Ferrarini, direttore generale di Conad Centro Nord che ogni giorno si confronta con la schizofrenia di un sistema che non solo non evolve, ma si attorciglia sempre più su sé stesso, ha avuto l'effetto di una boccata di aria fresca, meno politichese e più chiarezza. Inoltre, la presenza in sala del vicepresidente di Federdistribuzione, Riccardo Francioni, un decano di questo settore, sicuramente è un segnale positivo. Siamo sulla buona strada per costruire un fronte comune, le istanze sono tante, liberalizzazioni, semplificazioni, applicazione delle regole senza ostruzionismi, l'elenco è lungo.

Ma questo è solo l'inizio. Non solo le richieste dovranno trovare nei media dei portavoce opportuni e Mark Up sicuramente è uno di questi, ma sarà necessario individuare il linguaggio giusto per “educare” un mondo, quello della politica, ai temi della distribuzione. Bersani e le sue lenzuolate, sono spesso ricordati nei salotti del commercio; ma sembra che l'uomo del PD sia stato l'unico ad afferrare che una concorrenza più sana avrebbe potuto essere lo strumento principe per riavviare l'economia.

La politica, si sa, è doverosamente sensibile ai movimenti popolari e, talvolta, anche a quelli populistici. Così appoggia le istanze ambientaliste e salutistiche cui oggi i cittadini sono particolarmente sensibili, e fintanto che la distribuzione, centri commerciali inclusi, viene vissuta come l'artefice principale della cementificazione del pianeta, è difficile che la politica si occupi o preoccupi di farle spazio. Stereotipi, forse, ma per cambiarli è necessario cambiare il linguaggio cominciando dagli indici di sviluppo: se la “salubrità” del comparto viene misurata in numero di aperture diventa difficile far passare il concetto di amici dell'ambiente che oggi piace tanto alla Gdo. Ma se, invece, si sottolineasse la necessità di misurare sempre più l'impatto dello sviluppo commerciale sulle esigenze territoriali e urbanistiche (per esempio, refurbishment di punti di vendita contestuale alla valorizzazione di aree ex industriali) allora si capovolgerebbe completamente il paradigma: da meri consumatori di territorio, i retailer ne diventerebbero i salvatori, in fondo Farinetti docet. E riguardo a questo un suggerimento: perché non affrontare il tema degli sgravi fiscali e delle premialità per coloro che al posto di costruire ex novo decidono di ricostruire e sviluppare in chiave green i loro punti di vendita?

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome