La farmacia del wellbeing tra tecnologia, online e servizi

Si affermano nuove tipologie di consumatore-paziente che credono nell’integrazione tra online e offline. Un approccio sempre più basato sulle competenze del farmacista e la sua capacità di relazione (da Mark Up n. 286)

La sanità diventerà sempre più digitale grazie a nuove tecnologie che daranno impulso all’efficienza e all’efficacia delle cure sanitarie. In questo scenario ricco di opportunità e incertezze, quale il ruolo della farmacia? Risponde Annamaria Di Ruscio, Ad di NetConsulting3, società di consulenza e analisi di mercato.

Cosa rappresenta la farmacia, oggi?

È molte cose diverse tutte insieme: dispensa farmaci per la cura anche di malattie croniche, un mercato che da solo cuba circa l’80% della spesa sanitaria, e in questo senso il farmacista è un consulente; si inserisce nel trend del wellbeing con un contenuto più retail in base al quale può assumere tutte le caratteristiche accessibili per intercettare il paziente-cliente dal digitale alle tecnologie, come app o beacon. Rimane nel suo ruolo tradizionale di snodo primario per medici.

In futuro, cosa cambierà? E come?

Probabilmente non compreremo più in farmacia prodotti disponibili anche online e sugli eCommerce delle case produttrici, ma le farmacie prenderanno in carico nuovi servizi basati sul trasferimento di informazioni. Oggi 16 milioni di italiani acquistano online prodotti farmaceutici e legati alla salute, per un valore pari a circa 800 milioni di euro, in gran parte di integratori alimentari e farmaci da banco. Il 49% di questi acquisti avviene su siti di farmacie pure player, che operano esclusivamente online, mentre il rimanente in strutture omnicanale, che integrano fisico e digitale. La funzione più “retail” della farmacia è già passata online.

Anche i medici stanno diventando sempre più digitali?

Il 93% dei dottori accede al web quotidianamente per ricevere notizie e informazioni, il 50% comunica con i propri pazienti via email, whatsapp e sms. Il fatto più rilevante è che il 73% dei medici di medicina generale e l’81% degli specialisti usa app specifiche per interagire con i pazienti. Inoltre, il 50% di chi esercita la medicina usa i social network per rimanere in contatto con colleghi e associazioni scientifiche.

Un’evoluzione che coinvolge i pazienti?

Sì, anche se va detto, usando il linguaggio del marketing, che i pazienti si possono dividere in tre categorie: locator, explorer e dreamer. Il locator è il paziente con la prescrizione medica che entra in una farmacia qualunque ed esce con il farmaco. L’explorer, invece, ha un problema da risolvere e cerca un consiglio in farmacia; il dreamer, infine, cerca ispirazione e vuole essere stimolato. Per explorer e dreamer la farmacia può essere un luogo fisico e anche digitale che, soprattutto nel caso del dreamer, deve aprirsi a nuovi servizi e proposte. Oltre il 30% della popolazione italiana sarà presto over 65, dunque il ruolo della farmacia in senso tradizionale rimarrà ancora forte, ma, aggiungendo servizi di gestione della salute o legati al benessere, grazie alla triangolazione tra farmaci con sensoristica e oggetti wearable, l’assistenza all’anziano e al paziente cronico ne trarrebbe giovamento.

È la conferma del concetto di hub?

Si sta riflettendo su un servizio di farmacia basato, da una parte, sulle competenze del farmacista, professionista laureato; dall’altra sulla fiducia creata dalla prossimità, quindi dalla conoscenza diretta delle persone-pazienti, alla cui base c’è la tecnologia: i servizi sono generati dalla possibilità di raccogliere dati, con la telemedicina o la telefarmacologia, in modo da coinvolgere, allo stesso tempo, il farmacista, il medico e il paziente. Un farmacista sempre più consulente del wellbeing, oltre che venditore di farmaci.

Non si corrono, però, rischi dal punto di vista della privacy?

Basterà firmare una liberatoria. Già ora gli esempi non mancano: pensiamo a Babylon Health in Irlanda, che usa l’Ai per monitorare la salute, mentre in Usa con l’analisi dei biomarcatori viene assegnato un farmacista-coach che, sulla base del profilo individuale, suggerisce pacchetti personalizzati di integratori (non di farmaci), in linea con la tendenza di prendersi cura di sé e prevenire.

Come si muovono attualmente le istituzioni?

Il Gruppo farmaceutico dell’Unione Europea (Pgeu) insiste sul coinvolgimento dei farmacisti, sulla condivisione dei dati e sull’utilizzo di strumenti come l’intelligenza artificiale per l’assistenza sanitaria, per aumentare in maniera sensibile i servizi di monitoraggio e consulenza ai pazienti, con l’obiettivo di definire un fascicolo sanitario unico.

La tecnologia c’è e anche le piattaforme che i propri servizi: Apple con l’Apple Watch, Microsoft con Walgreens Boots Alliance, Amazon, di fatto farmacia online, con dimensioni sempre più importanti. I dati, però, dicono che le persone preferiscono ancora le farmacie tradizionali con eCommerce: una questione di trust e fiducia nel rapporto con i pazienti.

A questo scopo, vede la necessità di un coordinamento superiore?

Credo che dovrebbe esserci un forte indirizzo, per esempio, dalle associazioni di categoria, perché le farmacie non sono tutte a carattere pubblico.

Oppure potrebbe essere sottoscritto un accordo tra produttori di farmaci, farmacie e farmacisti e Regioni, lo Stato e la istituzioni europee. Gli imprenditori devono essere al corrente delle potenzialità, devono essere formati nella cultura digitale e devono trovare un contesto che li abiliti ad operare in maniera efficiente.

Anche l’industria farmaceutica potrebbe aiutare. Personalmente, auspico un tavolo di confronto sano, che utilizzi le opportunità effettive, verso l’affermazione di una grande farmacia specializzata, un settore come è oggi la gdo, in grado di integrare tutti i vantaggi che viviamo già quotidianamente nel mondo retail.

 

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