La gdo, l’industria e Amazon: ménage à trois?

Gli opinionisti di MArk Up (da Mark Up n. 283)

L’arrivo di Amazon nel mondo food è stato annunciato come uno tsunami, ad oggi al massimo lo possiamo considerare come un’onda che ha bagnato la spiaggia.
Eppure in tanti avevano previsto che sarebbe stata una vera minaccia per la gdo, un canale alternativo, focalizzato su un’utenza urbana, un target che ha più denaro da spendere che tempo da investire nel fare la spesa. Ma a quattro anni dall’arrivo, il paesaggio non
è stato sconvolto. L’industria, dal canto suo, da subito ha visto una nuova opportunità di business: espandere i canali distributivi e ridurre così la dipendenza da quello fisico. La situazione attuale sta però cambiando a grande velocità. Amazon sta mettendo a punto un progetto di brand esclusive (144 private label e 622 brand esclusive), che diventano il vero protagonista delle categorie. L’online può infatti sfoderare un’arma letale: il controllo della visibilità. Nel canale fisico, la share dei leader nello scaffale rappresenta, più o meno, la loro percentuale di mercato. Il consumatore distingue facilmente la sua bottiglia di cola, sia essa rossa o blu. Ma sull’online, prevale un sistema che è alla base delle relazioni all’Onu: un paese equivale a un voto, un prodotto a una foto. La perdita di visibilità si fa molto concreta se la ricerca del prodotto avviene attraverso la categoria e non tramite il brand. Online un qualsiasi prodotto si può ritrovare relegato a pagina 3 o 4, ossia in un deserto. Se, come scrive Luciano de Crescenzo, “In ogni relazione amorosa, c’è sempre uno che soffre e l’altro che si annoia”, l’industria dovrà sostenere un costo alto nella relazione con l’eCommerce. Il rischio concreto è di trovarsi a soffrire invece che annoiarsi.

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