La ‘qualità locale’ degli alimenti parte dall’esperienza dei clienti del territorio

La localness di un prodotto va comunicata tenendo conto, fra le altre cose, dell’immaginario dei consumatori locali rispetto alla loro area geografica

È sempre più importante, per prodotti alimentari e i rispettivi brand, essere percepiti come locali agli occhi dei consumatori. Tuttavia, l’attributo della ‘localness’ è soggettivo, culturalmente variabile e apparentemente indefinibile a livello operativo. La sua comunicazione deve prendere in considerazione il territorio in ogni suo aspetto, reale e immaginario, affinché possa creare valore aggiunto e differenziarsi dai competitor a livello globale.
Si consideri la qualità di un prodotto alimentare di essere considerato come ‘locale’ e, quindi, la sua ‘qualità-locale’ (o localness). Secondo un recente studio condotto sui consumatori italiani da Nomisma (2021), quello della localness è considerato l’attributo più importante al momento dell’acquisto. Dunque, capire come la percezione della qualità-locale si leghi all’offerta di un prodotto alimentare è utile a quei piccoli produttori che operano nel proprio mercato domestico, in primo luogo, per creare valore aggiunto e, in secondo luogo, per differenziarsi dai grandi player che operano su larga scala.

Come si definisce, tuttavia, la qualità locale o localness di una marca o prodotto? Secondo un report dello European Parliamentary Research Service (EPRS, 2016), la definizione di prodotto alimentare ‘locale’ dipende dalle politiche di sviluppo rurale di uno Stato membro. Più in particolare, il riferimento più popolare è quello che viene fatto al concetto di filiera corta o local food system, su cui la politica denominata Farm-to-Fork Strategy – uno dei capisaldi dell’attuale European Green Deal (EU Commission, 2020) – si fonda in modo sostanziale. Così, un prodotto alimentare può definirsi come ‘locale’ a seconda dell’effettiva possibilità di circoscrivere la filiera che lo commercializza – dal recupero delle materie prime al punto vendita del prodotto finito – entro una precisa area geografica di riferimento (che può rientrare entro un raggio tra i 20 e i 100km di distanza– EPRS, 2016).

Tuttavia, la qualità locale di un prodotto o marca, agli occhi del consumatore, è per sua natura soggettiva. Perciò, seguire una definizione dall’alto, derivante, per esempio, unicamente dalle politiche socio-economiche o dall’informazione ‘oggettiva’ della distanza percorsa, può portare a risultati divergenti, ossia, portare il consumatore a orientarsi verso l’acquisto di altre tipologie di prodotto. Dunque, la costruzione della localness di un prodotto/brand alimentare deve derivare dall’interpretazione del marketing manager di una vasta rete di processi che riguardano l’esperienza di vita dei consumatori del territorio; il linguaggio mediale (spesso simbolico) attraverso cui altre marche e rivenditori locali concettualizzano la propria ‘qualità-locale’; e le sovrastrutture socio-politiche e storico-culturali legate al territorio o mercato di riferimento, che costruiscono un certo immaginario collettivo.
Infatti, mentre appare ovvio che un prodotto alimentare ‘locale’ induca i consumatori a dedurre un legame tra questo e il luogo (geografico) d’origine, nella realtà, come emerge da una ricerca condotta da Graciotti e Gistri (2021) dell’Università di Macerata, tale associazione può assumere contorni molto meno netti. Il luogo d’origine assume più forme contemporaneamente e, quindi, si manifesta agli occhi del consumatore su più piani tra loro sovrapposti al momento dell’acquisto, i quali devono essere recepiti e interpretati correttamente.

Per esempio, un prodotto alimentare o marca sono considerati dai consumatori come ‘locali’ se possono essere tracciati entro i confini comunali, provinciali, regionali, o addirittura nazionali (rispetto alla loro residenza). Inoltre, un prodotto alimentare viene considerato locale se manifesta i seguenti attributi intangibili: freschezza, stagionalità, salubrità, sicurezza, sostenibilità ambientale (che il consumatore può dedurre dall’impatto che filiera produttiva, confezionamento e trasporto possano aver avuto su terreno, animali e atmosfera). Non solo, ma anche una o più tradizioni locali, legate a una certa eredità culturale, devono essere esplicitate nella comunicazione del prodotto o della marca affinché il consumatore possa ‘attivare’ la propria identità ‘locale’ in relazione a loro e, quindi, percepirli come autenticamente ‘locali’ rispetto ad altri.

I prodotti alimentari ‘locali’ sono percepiti come tali a seconda dei molteplici processi che sono vissuti e che vivono attraverso i consumatori di un territorio o mercato di riferimento. Per questo motivo, la comunicazione di un prodotto alimentare o marca che voglia far leva sulla qualità locale della propria produzione deve rendere conto dell’esperienza e dell’immaginario che i consumatori di un territorio o mercato di riferimento abbiano non solo rispetto alla loro area geografica di residenza (così come appare su una mappa), ma anche rispetto al paesaggio attraverso cui la filiera stessa dichiara di estendersi, la quale deve inoltre riflettere – coerentemente con lo sviluppo urbano o rurale del territorio o mercato di riferimento – la scelta del canale di marketing preferito. Con ciò si intende sottolineare come la qualità locale di un prodotto o marca nel dominio agrifood riguardi non soltanto gli attributi intrinseci del prodotto o il metodo di produzione utilizzato – come magari i regimi di qualità Ue (Dop, Igp, Tsg) lasciano intendere – ma anche e soprattutto il terroir; le condizioni atmosferiche tipiche; il paesaggio; gli animali e la vegetazione che lo popolano; e il livello di ruralità o industrializzazione associato a un dato contesto geografico e culturale così come percepito nell’immaginario popolare che lo abita.

* Università degli Studi di Macerata

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