La questione delle disoccupazioni si risolve con interventi specifici

Esperti – Età, genere, settore e latitudine sono fattori da cui non si può prescindere per valutare misure migliorative (da MARK UP 200)

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Le ragioni della disoccupazione sono molteplici e complesse. Non ci sono ricette, la teoria è controversa e le evidenze empiriche raramente conclusive. Quelli che raccontano di avere la soluzione sono dei millantatori. Qualche volta, addirittura, chi parla di disoccupazione ignora l'esatto perimetro del fenomeno: per esempio, è pericoloso vantarsi di avere un basso tasso di disoccupazione se quelli che si offrono sul mercato del lavoro sono una frazione ridotta della popolazione che può lavorare. La disoccupazione non è un fenomeno generale che si possa affrontare in modo generico. Sono necessari interventi specifici: per genere, fascia di età, area geografica. Vi sono divergenze specifiche così profonde che la questione delle “disoccupazioni” va affrontata prima che possa minare seriamente la coesione sociale, voce di costo economico, meno misurabile ma non poco rilevante. Senza pretesa di esaustività e senza alcun intento di spiegare i fenomeni, ci si limita qui a indicare, con il supporto di alcuni dati, gli aspetti più critici del mercato del lavoro in Italia.
C'è ampio accordo, per contro, sugli elevati costi della disoccupazione. Sono costi economici diretti e immediati, per esempio in termini di perdita di Pil aggregato o di consumi. Una recente stima dell'Ufficio Studi Confcommercio indica in un terzo della riduzione dei consumi del 2009 la quota ascrivibile alla condizione di nuova disoccupazione, cioè -0,6% rispetto alla contrazione complessiva dell'1,8%. Vi sono anche costi che avvertiremo nel più lungo termine, cioè quando verrà a mancare dal prodotto potenziale del paese il contributo di quei lavoratori che, essendo stati disoccupati a lungo, hanno perso abilità e competenze, a prescindere dal fatto che successivamente abbiano trovato un'occupazione, eventualità la cui probabilità di verificarsi decresce rapidamente con l'aumentare del periodo di disoccupazione.

Tema Sud
Il problema più grave, però, riguarda i parametri di disoccupazione e partecipazione nel Mezzogiorno del paese (vedi tabella qui a sinistra). La frazione di chi, potendo lavorare, vuole lavorare o lavora - il tasso di attività - cresce in tutte le macroripartizioni geografiche salvo che nel Mezzogiorno, dove scende di 4 punti percentuali negli ultimi 10 anni. È un dato sconcertante: esso viene ben prima del tasso di disoccupazione e di questo è molto più grave (non pensate al lavoro nero: esso è già incluso, cioè chi lavora in nero è già nelle forze di lavoro che costituiscono il numeratore del tasso di attività 15-64). Le ragioni del fatto che al sud partecipa meno di un lavoratore potenziale su due riguardano un generale scoraggiamento,
la scarsa convenienza a lavorare dati i bassi salari, l'emigrazione verso il nord.

Tasso di attività % (15-64 anni)    
2000 2008 2010
Nord-ovest 64,6 69,2 68,8
Nord-est 67 70,3 69,8
Centro 62,1 66,9 66,6
Sud 54,8 52,4 50,8
ITALIA 61 63 62,2
Trentino-Alto Adige 68,3 70,6 71
Emilia Romagna 69,3 72,6 71,6
Campania 53,8 48,7 46,4
Calabria 52,2 50,2 47,9
Fonte: Istat - forze di lavoro

Tema Giovani
C'è un problema di disoccupazione giovanile (vedi tabella sopra). Non solo gli scarti fra i tassi totali e quelli calcolati sulla popolazione 15-24 sono cospicui ma, soprattutto, cosa un po' trascurata dai principali opinionisti e dai responsabili politici, mentre il mercato del lavoro è capace, in generale, di creare e distruggere posti di lavoro, sul segmento giovanile si verifica una grave asimmetria. Il processo distruttivo prevale e, mentre tra il 2004 e il marzo 2011 la disoccupazione complessiva oscilla attorno al 7-7,5%, quella giovanile è incapace di scendere sotto il 20% e si avvicina al 30% alla fine del periodo, risultando di oltre 5 punti percentuali superiore al valore del 2004.

Tema Donne

Squilibri di mercato del lavoro

Allegati

200-MKUP-Bella

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