La rivoluzione è già qui!

Il cambiamento spinto dai consumatori porta i brand a rinnovarsi, reinterpretando tutto attorno a due temi principali: tempo e attenzione. Per una nuova etica che mette al centro la persona (da Mark Up n. 282)

Dove vorranno stare le persone nei prossimi anni? Nel silenzio. I consumatori non vogliono più essere ricettori (o ricettacoli) di messaggi virali, frammentati, confusi, poco utili, invadenti. La continua connessione e la relativa esposizione ai contenuti, si sono rivelati, secondo diverse fonti neuroscientifiche, causa di stress e confusione. Si moltiplicano le app per restare disconnessi e fare il calcolo delle ore impiegate sui propri device. Amazon e Cisco sostengono il progetto Mindfull Technology. Anche i designer, artefici dell’architettura delle scelte, hanno creato quello che il report Trend, nato dalla collaborazione tra Fjord e Accenture, definisce un “giuramento di Ippocrate”, più correttamente si parla di un codice deontologico di rispetto per il benessere delle persone, ma anche di Calm Technology, un modello di design delle informazioni in cui la tecnologia diventa impercettibile perché completamente integrata. Ed è proprio l’aspetto della salute della mente un tema sempre più legato alla quantità di stimoli che ci arrivano. Se, come vedremo in un altro trend, è impossibile eliminare le connessioni digitali, è vero anche che nascono sempre più prodotti per evitare uno stato di dipendenza o soggezione a tecnologia e contenuti: dal Light Phone, che prevede un utilizzo quotidiano limitato, al Irl Glasses, occhiali che oscurano selettivamente Led e Lcd. Quindi se le persone stanno ritrovando i loro anticorpi al potere dell’intelligenza artificiale, gli oggetti tecnologici entrano in conflitto fra loro nella promessa di benessere o benvivere delle persone. Le aziende dovranno decidere da che parte stare: alleati del benessere o causa del sovraccarico di esperienze?

Se una gestione distratta dell’infosfera rischia di inquinare la mente, i nostri comportamenti poco ecologici hanno già portato la terra a conseguenze drammatiche. I consumatori iniziano a essere più sensibili e i loro comportamenti verranno progressivamente guidati verso buone pratiche dalle istituzioni. In tutto il mondo nascono iniziative di aggregazione per pulire spiagge, sentieri e altre aree comuni: cambiano quindi le scelte sull’impiego del proprio tempo libero e sul concetto di comunità. Il report di Fjord porta gli esempi di grandi marchi che stanno lavorando per migliorare la loro impronta verde: H&M, Ikea, Nike. Anche le piccole aziende si stanno muovendo in rete con istituzioni, scuole, associazioni attraverso iniziative che cercano di applicare concretamente e radicare a livello territoriale l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite; per la Liguria, ad esempio, si è firmato a maggio un protocollo di intesa di cui sono firmatarie anche Costa Crociere e Panarello.

Le nostre azioni sono sempre meno considerate un fatto privato e sempre più un contributo alla comunità. Tutto è più trasparente e pubblico, ma questo ha creato qualche problema di privacy. Il date minimalism, cioè la gestione attenta da parte delle imprese dei dati in loro possesso, è una strada obbligata dopo lo scandalo di Cambrydge Analytica. Le persone pretendono di essere ripagate dell’offerta di informazioni che cedono sui loro comportamenti, o con benefici reali in termini di servizi e personalizzazione, o con una vera e propria monetizzazione; su questo intervengono piattaforme di blockchain come CiberVein, o da aziende come Wibson o Ocean Protocol. Il consumatore selezionerà in base alla fiducia nel brand, e la fiducia sarà valutata sulla base della completezza e significatività delle informazioni. Potrebbe un domani succedere che anche le aziende costruiscano sistemi accessibili come NY Open Data, con risorse utilizzabili anche dal consumatore. L’entrata in vigore del Gdpr ha posto molti dubbi alle imprese sulla corretta gestione delle iniziative legate al pubblico. Occorrerà gestire con molta attenzione e cura l’immagine dei consumatori.

Un’altra domanda che i brand dovranno farsi è come si muoveranno i potenziali consumatori? La progressiva urbanizzazione pone il problema dell’affollamento delle persone e dei mezzi di trasporto. Nascono tendenze come la bicicletta elettrica e il monopattino, mentre si stanno cercando di integrare i mezzi di trasporto con soluzioni intermodali. Il viaggio del consumatore cambia, potrebbe diventare più frammentato e il suo nomadismo essere un tema di ricerca per variare i point of touch urbani. Basti pensare a come viaggiano i giovani, scegliendo le offerte online su voli low cost e Flixbus. Esiste ancora un vuoto di offerta per ottimizzare i collegamenti fra questi servizi e ci sono spazi per sponsorizzare i nuovi bisogni. Per i brand anche la scelta dei corrieri potrebbe essere un tema importante: alcuni, come Ups, Dhl e FedEX stanno allestendo flotte elettriche. Sempre in tema di mobilità sostenibili c’è chi si rivolge a chi ama le consegne in bicicletta, e in questa direzione vanno i corrieri Ubm. Anche i cieli potrebbero venire occupati da droni (Amazon sta già sperimentando) o da taxi volanti come quello testato da Vertical Aerospace.

Sull’organizzazione delle città si sta riflettendo: la connessione fra il cuore e il margine della città è un tema fondamentale di sviluppo. In questo senso esistono diversi progetti, il più importante è quello di rammendo del tavolo G124, guidato da Renzo Piano e che coinvolge quattro Università e un gruppo di giovani architetti coordinati da tutor e aiutati da altre figure professionali con l’obiettivo di trasformare un quartiere, anche il più degradato, in un lembo vivibile di città.

Il tema dell’inclusione è fondamentale. Le categorie tradizionali non hanno più molto senso, perché se le persone possono stare in più luoghi e hanno allargato le proprie possibilità di esperienza anche grazie alla tecnologia, il contesto sarà più importante della categoria. Il gruppo come strumento di protezione e il desiderio di appartenenza sta perdendo significato. Qui ritorna il tema del nomadismo e dell’identità fluida, che si adatta al contesto e non più all’appartenenza di genere, età, professione, e così via. In realtà, ricordandoci del primo trend, nel momento in cui le persone hanno scoperto di poter sconfinare, grazie ai social, dai propri gruppi tradizionali, trovando identità comune nelle opinioni e nelle conversazioni, piano piano scartano il rumore di fondo e cercano di disconnettersi dalla rete e riconnettersi al cuore della propria identità, a quelli che Farinetti definisce gli obiettivi poetici, il fulcro della propria esperienza autentica di vita. La psicologia dei comportamenti guadagna sempre più spazio e il dialogo rispettoso con il singolo consumatore sarà una delle strategie vincenti. Questo significa anche rivedere il proprio heritage, evitando che un’identità dai confini troppo rigidi del brand entri in conflitto con quella del consumatore; l’aspetto aspirazionale, nel momento in cui le persone si stanno autodeterminando e stanno scoprendo che la propria voce ha la stessa dignità di quella del brand, è superato. Il consumatore pretende di essere riconosciuto e rispettato nel contesto in cui vive o in cui è felice di fare esperienza. Serve uno scatto evolutivo del brand, che dopo aver attivato una propria bussola di valori e simboli grazie alla sua storia, può rischiare l’umiltà dell’ascolto e il coraggio di utilizzare diversi linguaggi. Se un brand fashion ha un preciso stile, lo può mantenere adattandolo alle specifiche esigenze di vita di una parte dei consumatori. La modest fashion, per esempio, progetta gli abiti nel rispetto di una cultura femminile fino ad oggi marginalizzata. Già nel 2017 Donna Karan New York Ramadan Collection ha fatto da apripista a collezioni mirate destinate al mercato legato allo stile di vita richiesto dalla religione mussulmana, firmate Tommy Hilfiger, Oscar De La Renta, Valentino, Prada, Victoria Beckham, Yohji Yamamoto e da brand pop come Zara, H&M, Mango, Uniqlo. L’inclusività non è quindi legata alla responsabilità sociale di impresa, ma alla consapevolezza sulla complessità del mondo e alla sua accettazione. Questo comporta la rinuncia a dirigere i consumi e il desiderio del brand di imparare a entrare negli stili di vita in un atteggiamento di relativismo culturale, dove il termine culturale non riguarda solo aspetti geografici o etnici. Un’altra forma di inclusione è quella di permettere diversi livelli di accesso ai servizi, come nel modello delle app: sono accessibili a tutti ma ognuno può personalizzare la propria esperienza attivando diversi upgrade. Hewlett-Packard ha affrontato il tema dell’inclusione con la campagna “Reinvent Mindsets” che mette in evidenza i pregiudizi inconsci ed è legata a scopi di employer branding. L’inclusività vera e propria fa però scomparire il concetto di diversità per far emergere quello di accessibilità.

Perdono i confini anche gli spazi fisici che acquisiscono profondità includendo il digitale. Online e offline si intrecciano nell’esperienza new retail di Alibaba, in cui i dati raccolti servono a pianificare i percorsi di consegna e a personalizzare i consigli di acquisto. Nike cerca di riproporre i principi di user experience dell’acquisto online nel suo nuovo flagship di New York, con percorso speed shop per risparmiare tempo e trovare velocemente un capo oltre a sapere come le scarpe sono state progettate. Amazon apre un negozio fisico in cui raduna i prodotti a quattro stelle. Il design degli spazi diventerà più olistico e diventerà difficile capire la differenza fra spazio permanente e pop up. Fra le tante innovazioni che collegano le pareti fisiche ai contenuti digitali c’è anche Scribit, un piccolo robot di scrittura intelligente che introduce un nuovo modo di presentare contenuti digitali e rende possibile riconfigurare e personalizzare istantaneamente un muro, che si tratti di una vetrina, di un negozio, di un ufficio. Un ristorante può pubblicare il menu del giorno sul suo muro, o si può riprodurre il wall social sulla parete del negozio in maniera immediata. Il progetto, dello studio Carlo Ratti Associati, è adatto anche agli uffici, anche questi spazi in rivoluzione per poter essere i nuovi templi del benessere aziendale, demiurghi di nuovi stili di lavoro e testimoni della modernità dell’azienda. Nel ripensare gli spazi intervengono architetti, sociologi, antropologi esperti di organizzazione del lavoro. Lavazza con la Nuvola, Fastweb con la nuova sede che ha riprogettato gli spazi di lavoro con il principio degli hot desk in funzione dello smart working. Se le aziende vogliono parlare con il cuore al consumatore lo possono fare presentandogli il luogo di lavoro, che racchiude la dimensione emotiva del brand.

Oggi la tecnologia è in grado di generare facce, corpi e oggetti in movimento da semplici disegni a contorni. Nascono influencer virtuali come Li Miquela, ma anche la voce di Alexa che promette di conversare in modo naturale. Il tema è come utilizzare questi strumenti: cercando di ingannare il consumatore o dichiarando l’artificio. La soluzione potrebbe essere quella di mostrare la tecnologia come un gioco, utile ma finto, in modo da dare il giusto valore alla realtà senza togliere il divertimento dell’irrealtà. In questo modo si toglierebbe l’ambiguità che confonde le decisioni e soprattutto si eviterebbero ritorsioni normative. Anche l’autorevolezza delle fotografie e dei video è sempre più confutabile: Adobe Research ha sviluppato uno strumento chiamato Project Cloak, che può rimuovere oggetti indesiderati dai video, alimentato da algoritmi di deep learning. La realtà sintetica può quindi spaventare o dare opportunità.

La più grande difficoltà per le aziende sarà mettere in regia in maniera coerente i sette trend che a oggi danno spazio a molte incongruenze fra loro. “Alcuni brand hanno già saputo integrare le diverse tendenze che abbiamo individuato con progetti originali. Spesso, nell’abbracciare un primo cambiamento, aprono le porte ad altre piccole rivoluzioni, legate all’insieme degli stimoli culturalmente rilevanti in quel momento -spiega Ashley Benigno, responsabile di Fjord in Italia-. Il trend legato al tema ambientale, ad esempio, in questi mesi ha confermato la sua forza, quello sugli spazi ha dimostrato di contenere e facilitare gli altri, permettendo loro di svilupparsi pienamente e di trovare un abito adatto ai nuovi modelli di vita”. Se cambiano le condizioni si cresce su quel cambiamento. Benigno ricorda diversi esperimenti di integrazione fra i trend: “Se Lavazza è sensibile da decenni al tema del climate change, nell’esperienza della Nuvola oggi lo completa in termini di Space Odyssey, o ancora, guardando al campus da qualche mese inaugurato da Huawei in Cina ritroviamo un esempio di come la rivoluzione degli spazi possa abbinarsi alla tendenza della realtà sintetica attraverso il gioco fake real, con la ricostruzione dei principali monumenti europei tra i quali i dipendenti possono vivere oltre che lavorare”. Ogni scenario permette di avere una vista più ampia e di attivare un radar sugli aspetti positivi e negativi di ogni mutazione tecnologica/culturale. Serviranno, per il futuro, scenari di precisione e una grande apertura a una visione economica integrata a quella sociale.

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