La roadmap del futuro per il Food&Beverage

Arriva la sesta edizione del Forum Ambrosetti che analizza il comparto agroalimentare tracciando la linea del prossimo futuro

Prende il via a Bormio il 17 e 18 giugno la sesta edizione del forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” a cura di The European House – Ambrosetti. II forum è un’occasione per fare il punto della situazione sul settore agroalimentare. Un appuntamento, simbolicamente ospitato in Valtellina, che avrà come focus tre pilastri: alimentazione, salute e sport. Il Forum, grazie alla partecipazione dei più importanti stakeholder di settore, e alla presentazione del Position Paper 2022 di The European House - Ambrosetti dedicato al Food&Beverage, si candida a diventare punto di riferimento nazionale per il mondo agroalimentare.

Valerio De Molli, ceo The European House Ambrosetti ripercorre la strada intrapresa nel 2015 e guarda alle evoluzioni e le sfide di settore nei prossimi anni, annunciando per il Forum la presentazione del rapporto 2022. “Stiamo vivendo un momento unico -afferma De Molli- cinque fattori di rischio si sovrappongono, la pandemia che non è risolta, l’incremento dei costi dell’energia, la guerra in territorio europeo, l’inflazione, la disruption delle catene di approvvigionamento”. A ciò si aggiunge il tema dei consumi che saranno in tensione soprattutto nella fascia bassa. L’inflazione, stimata al 6%, sarà per i consumatori a reddito basso percepita pesantemente. Secondo l’analisi di The European House Ambrosetti, dividendo le fasce di reddito in 5 parti le persone in ultima fascia la percepiscono già oggi attorno all’8%, quelle di fascia più alta al 4,7%.

Se si osserva il consumo dei beni out of pocket (non necessari alla sussistenza) ci si accorge che il reddito disponibile è stato più che decimato.

“E tutto ciò si inserisce in un quadro complessivo in cui gli stipendi vanno in contrazione, al contrario di quello che sta avvenendo in tutti gli altri Paesi OCSE” evidenzia De Molli. Nel nostro Paese i consumi rappresentano il 60% del PIL per un volume di 403,8 miliardi di euro (anno 2021) .
Il ceo fa osservare che i consumi sono fondamentali per la crescita, perché determinano il PIL assieme alla spesa pubblica e agli investimenti, che sono fermi da anni. Quindi, l’unico fattore di crescita del PIL è, in questo momento, la Bilancia Commerciale.

L’attenzione oggi è, dunque, sul valore della filiera agroalimentare che è uno dei comparti più rappresentativi del Made in Italy nel mondo ed è un asset strategico per la ripartenza del Paese.

Rappresenta infatti 204,5 miliardi di fatturato di cui 143,8 miliardi nel comparto food & beverage e 60,7 miliardi del comparto agricolo. Occupa 1,4 milioni di persone -di cui 925.400 in agricoltura- e crea un Valore Aggiunto (inteso come contributo diretto al PIL) di 65 miliardi di Euro. La filiera agroalimentare è la prima in Italia per Valore Aggiunto generato tra i principali settori del Made in Italy, e quella italiana è la seconda economia europea, dopo la Spagna, per incidenza del Valore Aggiunto agrifood sul PIL (3,9%). L’export di settore arriva a 50,1 miliardi, un record raggiunto nel 2021 con una crescita del 10,8%. Un andamento che ha permesso alla Bilancia Commerciale della filiera agroalimentare di registrare un surplus positivo pari a 3,3 miliardi di euro, ribadendo un trend che prosegue dal 2019. Il vino è stato il primo prodotto del comparto per vendite all’estero, assorbendo il 14,3% dell’export totale agrifood e sviluppando un giro di affari pari a 7,1 miliardi di euro. Osservando l’itinerario geografico che seguono i prodotti italiani alimentari, la Germania rimane il primo bacino di approdo, con una market share pari al 22,4%, una crescita annuale del 6,6% e un fatturato di 8,4 mld di euro. Seguono Stati Uniti e Francia, vicini tra loro con una rispettiva quota del 15,1% e del 15%.

Tuttavia se guardiamo ai grandi esportatori Europei di prodotti agroalimentare abbiamo ancora un lungo cammino.

Infatti i Paesi Bassi esportano per più del doppio di noi in valore con 104,2 miliardi, seguiti dalla Germania con 77.1 miliardi.
Il potenziale di crescita maggiore attualmente è verso la Cina, dove altri Paesi, come la Spagna, sono al sesto posto tra gli esportatori agroalimentari mentre l’Italia che si trova ancora al sedicesimo. Tuttavia De Molli è fiducioso: “arriveremo nel 2030 a passare i 75 miliardi di export”. Pone l’accento sulla ristorazione italiana, vero testimonial del successo del food & beverage nel mondo. In qualsiasi grande città il numero dei ristoranti italiani supera quelli francesi e spagnoli di gran lunga. A New York ad esempio ci sono 1.105 ristoranti italiani contro i 277 Francesi e i 299 spagnoli, con una crescita che si attesta su un indice del 9,8% a differenza dei connazionali europei che segnano un +2.5% circa.
“Siamo primi per numero e per crescita in quasi tutte le città del mondo, pensate quale opportunità immensa” dichiara il ceo. Inoltre, la filiera agroalimentare coinvolge molte altre attività a monte e a valle. Ai 65 miliardi del settore agroalimentare vanno infatti aggiunti i 56 miliardi dell’intermediazione, della distribuzione dell’Ho.Re.Ca. The European House – Ambrosetti osserva che la filiera estesa vale 173 miliardi, con un valore aggiunto da 294 miliardi pari al 16,5% del Pil italiano. Si contano nell’analisi 30 filiere legate all’agroalimentare che vanno a monte dalla fabbricazione di articoli di cartone e vetro, fino, a valle, al marketing per l’attrazione del turismo.

Nello scenario del futuro naturalmente si guarda al conflitto russo ucraino con preoccupazione non tanto per l’export che rappresentava solo 1,5%, ma per le importazioni.

L’Ucraina era il primo fornitore italiano di olio di girasole e il secondo fornitore di mais, per cui ci troviamo con 3 milioni di tonnellate di mangimi in meno. Ma oltre la contingenza De Molli rileva un problema storico del nostro Paese: la frammentazione e il nanismo imprenditoriale. In Italia la piccola impresa rappresenta il 92,8% del totale di imprese attive. “le grandi dimensioni consentono di fare massa critica investendo maggiormente nel marchio, nelle reti distributive e in internazionalizzazione”. Dello stesso parere Armando De Nigris, presidente di De Nigris: “Abbiamo bisogno delle multinazionali per far conoscere il Made in Italy: 85% dell’export italiano è fatto de società al di sotto dei 15 dipendenti è un esercito che ha bisogno di essere convogliato”.

Si porta, a questo proposito, l’esempio della multinazionale Nestlé, un sistema integrato che crea in Italia 4 miliardi di valore tra ricadute dirette e indirette, al punto che ogni dipendente del gruppo contribuisce a creare 12 posti di lavoro nel nostro Paese con un’azienda che da sola rappresenta lo 0,24% del PIL nazionale.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome