La seconda ondata pandemica, l’impresa e le cose che aiutano il futuro

L’impresa nel suo tipico approccio problem solving può contribuire con la sua forza creativa a rigenerare nella collettività la fiducia smarrita nel domani

Eccoci nel bel mezzo della seconda ondata pandemica da Covid 2019. Le diffuse illusioni estive di un rientro nella normalità si sono rapidamente dissolte come neve al sole. Eppure questa situazione era del tutto prevedibile. Invero, autorevoli esperti l’avevano preconizzata, perché vissuta in tante altre esperienze pandemiche succedutesi nel tempo, ma si sa, la storia difficilmente insegna. Ad evidenza, i piani sui quali intervenire sono due, quello sanitario e quello economico-sociale. Nella precedente ondata erano ben distinti, con una decisa scelta di campo collettiva per la salute, sostenuta da gradi di accettabile certezza in un rapido recupero dell’economia e nella capacità dei sussidi pubblici di sostenere la transizione.

Ora, di fronte ad un orizzonte non ben definito dei tempi della crisi e ad una sua sempre più pesante consistenza, i due piani tendono a sovrapporsi, con il risultato di accostare nella percezione delle persone le inquietudini economiche alle prioritarie inquietudini sanitarie. La confusione che si rileva nel caotico incrociarsi delle opzioni possibili a livello nazionale e locale accentua ulteriormente questa condizione, peraltro già aggravata dalla delusione patita di fronte ad una normalità apparentemente ritrovata nell’intermezzo estivo, ma subito perduta. Così si avverte un generalizzato indebolimento della capacità di pensare al futuro e di disegnarne una visione, a causa delle paure e delle ansie che avvolgono un presente al quale è dedicata l’attenzione tutta dei decisori.

Quasi che il futuro fosse un tempo che sfugge alle categorie logiche dell’oggi, chiusi, impauriti e concentrati a vivere in un presente incombente e dilatato nel quale ci si rifugia come sotto assedio. Eppure ben sappiamo che anche in questo momento il domani sta prendendo forma, indipendentemente dal fatto che decidiamo o meno di partecipare attivamente alla sua costruzione o, per dirla alla Gigi Proietti, indipendentemente dal fatto che ci impegniamo o meno per rendere il “futuro futuribile”.
Perché si possa rialzare lo sguardo verso il domani serve una dose di fiducia sufficiente a superare le condizioni di incertezza, disorientamento e smarrimento che inducono le persone a chiudersi nella difesa della propria individualità o a muoversi in un contesto conflittuale. Condizione questa che non è dato riscontrare allo stato attuale.

Questa situazione chiama prepotentemente in causa l’impresa nella sua veste di più creativa costruzione umana per la produzione di benessere e come tale di organismo costruttore di fiducia. Gianni Agnelli, intervistato da Enzo Biagi nell’occasione del suo ottantesimo compleanno alla domanda “come vede lei il futuro”, rispondeva senza esitazioni: “nel mio mestiere non lo posso che vedere con ottimismo”.
E’ a questo ottimismo della volontà, unito al pessimismo dell’intelligenza di gramsciana memoria, tipico della razionalità economica dell’imprenditore, che si può guardare per diffondere nel contesto ambientale dosi di fiducia sufficienti per riprendere a camminare sul pensiero del domani, alla luce di quello che la pandemia ci ha insegnato.

Ecco così che l’impresa nel suo tipico approccio problem solving può contribuire con la sua forza creativa a rigenerare nella collettività la fiducia smarrita nel domani, ottenendo a sua volta fiducia da parte di quella, in una sorta di dono reciproco. Non sono necessari grandi gesti, la fiducia si nutre anche di piccoli segnali. Così, di certo un contributo lo ha dato il pasticcere di Bologna che ha deciso di chiudere negli orari del mezzogiorno in cui aveva un grande afflusso per agevolare il lavoro dei ristoranti che affrontavano la chiusura alle 18. Come pure l’imprenditore veronese che ha continuato ad acquistare componenti da un fornitore anche di fronte alla stasi del mercato per sopperire alle carenze di liquidità del partner. Ma anche i tanti imprenditori che non si sono spesi solo nella giusta richiesta di sussidi per fronteggiare i danni causati dalla pandemia, ma hanno reinventato il loro lavoro nei settori del turismo e della ristorazione ravvivando e rilanciando i loro sogni.

Per non dire della sempre più diffusa trasformazione di imprese nella configurazione di Benefit Corporations, che muovono secondo puntuali principi di sostenibilità e centralità delle persone nelle loro vesti di lavoratori e acquirenti. Si tratta di scelte tutte ispirate a principi di solidarietà, rispetto e sostenibilità che aiutano a rendere visibile quell’invisibile che in modo sommesso pone le basi per ridisegnare le forme del sistema economico di mercato che siamo abituati a conoscere e che troppo spesso viene dato per immutabile. Sono piccole-grandi scelte che rappresentano pilastri sui quali poggiare un ruolo trascinante e generativo dell’impresa nella costruzione di un avvenire che veda la centralità delle persone e il benessere delle comunità organizzativa, imprenditoriale e territoriale come scopi ultimi condivisi dall’intero corpo sociale.

L’impresa può muovere in questa direzione agendo a livello micro nell’individualità della propria rete di relazioni, ma anche perseguendo coralmente un dialogo serrato e costruttivo con le parti sociali e le istituzioni, alla ricerca di un vitale ed evolutivo “patto progettuale per l’avvenire”. Patto che, nel solco di Next Generation EU, potrà avviare concretamente iniziative dirette a riorganizzare il settore sanitario, a fronteggiare la crisi climatica, a organizzare la manutenzione del territorio e a potenziare la digitalizzazione del Sistema-Paese, avendo però cura di non tralasciare che alla base deve trovarsi un modo rinnovato di intendere il proprio ruolo da parte dell’impresa.

(*) Università di Verona e Società Italiana di Management

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