La soddisfazione dei dipendenti è un tema Csr chiave

Le aziende dovrebbero comprendere i fattori motivanti che trattengono i lavoratori e gli elementi demotivanti che li allontanano. Fonte: McKinsey
Per definirsi una impresa socialmente responsabile occorre anche mettere in atto azioni gratificanti per i lavoratori. In linea con il purpose aziendale

Negli ultimi anni le tematiche Esg (Environmental, Social, Governance) hanno assunto un ruolo sempre più importante tanto da spingere le imprese a perseguire strategie più sostenibili con azioni socialmente consapevoli e abbracciando valori e politiche responsabili. La soddisfazione dei dipendenti è un aspetto fondamentale: la cultura di una organizzazione e il trattamento dei collaboratori rappresenta, infatti, un punto di vista essenziale per definirsi una impresa responsabile. Ancor di più alla luce della pandemia che ha accelerato tre tendenze già in atto tra i lavoratori: la ricerca di un significato nel proprio lavoro, il desiderio di flessibilità e l’avanzare della trasformazione tecnologica, che non solo ha introdotto nuove modalità di lavoro virtuale e ibrido, ma sta modificando profondamente ruoli e competenze richiesti. La pandemia ha inoltre innescato il cosiddetto fenomeno della great attrition, che sembra non arrestarsi: la percentuale di lavoratori che intendono lasciare il proprio impiego rimane invariata dal 2021, al 40%. In altre parole, due dipendenti su cinque nel nostro campione globale hanno dichiarato che stanno pensando di dimettersi nei prossimi tre-sei mesi. Un dato che deve far riflettere, mettendo in discussione i modelli adottati finora per attrarre, far crescere e trattenere i talenti. Gli strumenti tradizionalmente impiegati dalle aziende per motivare i propri dipendenti, quali bonus e promozioni, continuano a costituire un incentivo importante per gran parte di questi. Tuttavia, una percentuale maggiore presenta aspettative e priorità differenti. Ricerche recenti hanno evidenziato una correlazione tra purpose, stipendi, impegno e fedeltà. Se le persone considerano quello che svolgono ogni giorno noioso o inutile, o se il posto di lavoro stesso non è ritenuto appagante, tutto il resto diventa irrilevante. Le aziende devono pertanto offrire, ora più che mai, un ambiente stimolante e un sistema di valori in cui le persone possono identificarsi. È importante quindi comprendere quali fattori motivano le proprie persone e quali, al contrario, possono portare all’allontanamento.

Strategie in aiuto

Sei strategie possono venire in aiuto in questo senso. Metterle in pratica non è certamente semplice, ma il risultato finale potrebbe rivelarsi gratificante per i lavoratori e per le aziende stesse. La prima strategia è quella che cambia l’approccio e fa passare dal “pedigree” al potenziale. Cosa significa? Le job description includono in genere specifici requisiti di istruzione ed esperienza. Ciò può dissuadere dal presentare la propria candidatura per quei profili che sarebbero in grado di svolgere quel lavoro, ma non soddisfano tutti i criteri menzionati. Per ampliare il proprio bacino di ricerca, le aziende potrebbero spostare l’attenzione dai titoli di studio conseguiti alle competenze acquisite e soprattutto acquisibili; questo non significa abbassare le barriere all’ingresso, ma modificarle. In McKinsey, per esempio, dal 2020 abbiamo raddoppiato il numero delle università a cui ci rivolgiamo per la ricerca dei nostri talenti nel mondo, e prevediamo di portarlo a oltre 5.000 nei prossimi anni. Abbiamo anche introdotto nuovi approcci alternativi alla risoluzione dei casi aziendali in fase di colloquio, per valutare le capacità di ragionamento dei candidati con meno esperienza in questo ambito. Nella pagina seguente sono elencate le altre cinque strategie, necessarie alle imprese per affrontare un mondo del lavoro in grande evoluzione, che rende ancora più complesso l’approccio per fare funzionare un’organizzazione, a partire dalle proprie persone. Anche prima della pandemia, il 90% delle imprese temeva di trovarsi di fronte a future carenze di competenze, ma solo il 16% pensava di essere in grado di colmarle. Secondo un rapporto del World Economic Forum, la maggior parte delle professioni più richieste, solo 5-10 anni fa non esisteva. In questo contesto, la battaglia per conquistare e trattenere i migliori talenti non farà che intensificarsi. È l’inizio di una nuova era.

AFFRONTARE IL MONDO DEL LAVORO OGGI

Da carriere predefinite a percorsi personalizzabili
Una volta portata a bordo la risorsa, è importante sostenere una crescita flessibile e su misura: una nostra ricerca ha evidenziato che quasi un terzo dei dimissionari ha lasciato il proprio lavoro alla ricerca di maggiore autonomia e per avviare un’attività in proprio. Complice anche la rapida evoluzione delle competenze richieste dal mondo del lavoro, le persone devono sentirsi responsabili del proprio sviluppo professionale.

Da una formazione a senso unico a una a doppio senso
Tradizionalmente la formazione viene intesa come il trasferimento di conoscenza ed esperienza da un soggetto più senior a uno più junior. Anche questo modello sembra aver perso di efficacia: oggi l’apprendimento e l’insegnamento devono fluire in entrambe le direzioni e in modo continuativo, soprattutto per quanto riguarda le competenze ad alto contenuto tecnologico. Le aziende che riconoscono valore nell’apprendimento così concepito sono anche quelle più capaci di attrarre i talenti giusti.

Dall’approccio lavorativo tradizionale al lavoro di squadra
Oggi le aziende hanno a disposizione un’ampia gamma di strumenti innovativi in grado di rivoluzionare i processi tramite tool digitali e intelligenza artificiale, creare sinergie, potenziare l’impatto dei progetti e supportare eventuali team in difficoltà. I metodi di lavoro agile consentono inoltre di creare team più flessibili e sempre più dipendenti possono ora scegliere con quali colleghi o colleghe lavorare.

Dall’anzianità di servizio all’impatto generato e alle competenze acquisite
Nei percorsi di carriera tradizionali, la valutazione della performance e la promozione erano fortemente correlate agli anni di servizio. Un modello poco efficace nel contesto odierno, in cui i lavoratori sono più esigenti e lasciano il proprio posto di lavoro con maggiore frequenza. L’abbandono, non la stabilità, è oggi la norma: secondo quanto emerso dal LinkedIn Learning Report 2022, la percentuale di intervistati che ha cambiato ruolo è aumentata del 25% tra ottobre 2019 e ottobre 2021.

Dall’idoneità alla cultura aziendale alla meritocrazia inclusiva
Cogliere i (tanti) vantaggi della diversità non significa assumere persone che possano adattarsi alla cultura aziendale esistente; si tratta di garantire che la cultura stessa sia sufficientemente inclusiva e adattabile da abbracciare tutte le tipologie di talento. Solo allora le aziende otterranno la creatività e l’innovazione che la diversità può portare. L’analisi dei dati applicata in questo ambito, o people analytics, offre strumenti utili a identificare segnali importanti anche in ottica preventiva.

(*) senior partner McKinsey & Company

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