Quali sono le aree di impatto a livello ambientale, dove si generano quelle negative e quali le principali azioni migliorative per le categorie che compongono il largo consumo? A questa domanda ha risposto un progetto promosso da Gs1 Italy, in ambito Ecr Italia, presentato a Milano in occasione del Salone della Csr e dell’innovazione sociale. Un programma basato sul metodo scientifico, con un approccio innovativo (la sostenibilità nelle categorie di prodotto), confluito in una pubblicazione che ne raccoglie i risultati (Sostenibilità nelle categorie. L’approccio scientifico al centro del dialogo tra industria, distribuzione e consumatore) e mette a disposizione un set di strumenti con i quali portare la sostenibilità alla filiera.
Il coinvolgimento diretto dei manager delle principali aziende del largo consumo ha permesso d’indirizzare l’analisi e validare i risultati degli studi Lca.
Fare qualcosa per l’ambiente non significa che è utile
Il frutto di un articolato percorso condotto con rigore metodologico grazie alla collaborazione con l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed Ergo, lo spin off della Scuola; Antonella Altavilla, owner Adf Consulting e consulente category management per l’Academy di Gs1 Italy; e le aziende riunite nel gruppo di lavoro creato da Ecr Italia: dodici di produzione (Auricchio, Barilla, Cameo, Eridania Italia, Ferrero, Heineken, Mondelez Italia, Parmalat-Gruppo Lactalis, Procter & Gamble Italia, Red Bull, SC Johnson, Sperlari) e otto di distribuzione (Bennet-Gruppo Végé, Carrefour, Conad, Coop Italia, Crai, Esselunga, Italbrix-Gruppo Selex, Metro). “Molte aziende investono soldi per miglioramenti ambientali ma poi si rilevano inutili -ha raccontato Fabio Iraldo, coordinatore scientifico della ricerca, professore ordinario di management alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e parte del comitato scientifico di Ergo-. La chiave è chiedersi se stiano facendo qualcosa di utile o solo perché poi possono dire che fanno qualcosa per l’ambiente (tema che non fa ormai più la differenza)”.
Partendo dalle conoscenze disponibili (studi di letteratura e settoriali, banche dati, progetti di ricerca, dati primari di aziende del settore), il progetto le ha razionalizzate usando, pertanto, il metodo scientifico dell’Lca (Life Cycle Assessment), arrivando così a individuare per ogni categoria merceologica i fattori che generano i maggiori impatti ambientali nelle diverse fasi del ciclo di vita (approvvigionamento di materie prime, progettazione e produzione del packaging, produzione, trasporto e logistica, distribuzione, gestione rifiuti). “Abbiamo raggruppato quello che c’era per 29 categorie (alimentari e non alimentari, dalle bevande all’ortofrutta, dalla cura persona al pet care, rappresentative del 91,5% del totale a valore del largo consumo, ndr). Abbiamo identificato gli impatti ambientali più significativi, incrociati con le fasi del ciclo di vita e siamo andati a vedere dove stanno le priorità, proponendo esempi di miglioramento calcolati in termini numerici. Abbiamo, così, scoperto che c’è molta più differenza tra una categoria merceologica e l’altra di quanto non ci sia tra aziende dello stesso comparto, anche molto lontane tra di loro. Per le piccole e medie imprese, in particolare, è importante l’approccio per categoria merceologica per affrontare quello ambientale, perché raggruppa problematiche simili e comuni da consentire leve efficaci su quegli aspetti”.
Metodo adottato
Qualche numero dei risultati, messi nero su bianco nella pubblicazione, rende l’idea dell’utilità di partire da una fotografia che misuri la situazione degli impatti.
“Un esempio sono le bevande zuccherate in vetro: abbiamo visto che la materia prima utilizzata per il packaging è molto impattante e le iniziative di riuso incidono per esempio per la metà sull’utilizzo dell’acqua (52,8%) e delle risorse come minerali e metalli (51,5%). Anche gli impianti produttivi danno un contributo importante, cosa che ci ha sorpreso. Per il cioccolato spalmabile, per esempio, l’impatto ambientale sul cambiamento climatico nella fase di produzione incide per il 38% ed è superiore alla media di categoria. L’iniziativa di utilizzare energia proveniente al 100% da fonti rinnovabili, rispetto allo scenario di base, riduce del 14% l’impatto dell’intero ciclo di vita del prodotto sul cambiamento climatico. Sui prodotti di detergenza per la lavatrice, e qui può contribuire molto il consumatore, se si utilizza un lavaggio a bassa temperatura, la riduzione della CO2 è del 47% misurata sull’intero ciclo di vita del prodotto”. Il volume analizza in maniera certosina tutte le categorie e propone una serie di interventi mirati con risultati quantificabili. Un aiuto per chi deve stilare report di sostenibilità, ma l’interesse è ormai sempre più lungo tutta la supply chain coinvolta direttamente o indirettamente negli obiettivi di riduzione degli impatti in base alle nuove direttive dell’Ue.
È importante avere la conoscenza del quadro normativo di riferimento per la corretta comunicazione ambientale, comune tra gdo e industria, su cosa si può dire e non si può dire per tutelare il consumatore finale
Giro di vite sui green claim
Come trasformare i risultati tecnici degli studi Lca in messaggi comprensibili per il consumatore finale ha riguardato la seconda parte della presentazione. La filosofia del dato numerico permea, e lo farà sempre di più, la comunicazione ambientale che deve essere specifica e non più generica, in base alla direttiva 2024/825, quella sul greenwashing, che modifica le direttive esistenti relative alle pratiche commerciali sleali (2005/29) e ai diritti dei consumatori (2011/83), cui gli Stati membri dovranno conformarsi e applicando le disposizioni (rispettivamente entro il 27 marzo e 27 settembre 2026). Senza dimenticare che c’è una proposta di direttiva sulla fondatezza e la comunicazione delle dichiarazioni ambientali esplicite (Explicit Green Claims) contenuta nella COM (2023) 166, ancora in fase di approvazione. “Abbiamo fatto un lavoro di analisi e di confronto, prendendo come riferimento i dati dell’Osservatorio Immagino di Gs1 Italy per capire nelle varie categorie merceologiche come stanno comunicando, che tipo di claim utilizzano e se c’è coerenza con le evidenze degli studi Lca -ha ricordato Roberta Iovino, ricercatrice presso l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa-”. La normativa in evoluzione, che pone sempre più attenzione al greenwashing e ai green claim, si traduce in un ulteriore impegno per le aziende, che dovranno uniformarsi al nuovo approccio che punta a far sparire claim generici, come green, eco-friendly, ecologico e mette fuori gioco marchi di sostenibilità non basati su sistemi di certificazione validati da enti terzi. Basti dire che secondo uno studio condotto dalla Commissione europea nel 2020, rispetto ai principi della direttiva sulle pratiche commerciale sleali, il 53% delle indicazioni ambientali fornisce informazioni vaghe, fuorvianti o infondate sulle caratteristiche ambientali dei prodotti in tutta l’Ue e in un’ampia gamma di categorie di prodotti. “Teoricamente anche il termine sostenibile andrebbe evitato perché generico”. Ma come trasformare poi questo studio sulla sostenibilità nel largo consumo in qualcosa che arrivi al consumatore finale? La figura chiave è quella del category management, base dello scambio tra industria e distribuzione. “La sostenibilità va inserita tra gli elementi portanti delle relazioni di filiera tra industria, distribuzione e consumatore finale -ha spiegato Antonella Altavilla, owner Adf Consulting e consulente category management per l’Academy di Gs1 Italy-. Normalmente il category nasce come win-win per industria, distribuzione e consumatore: ci abbiamo aggiunto un quarto vincitore, l’ambiente”. Nella prima fase di shopper insight diventa chiave comprendere il “profilo green” delle proprie categorie di clienti. Per poi concretizzare le indicazioni nella progettazione delle iniziative. “Abbiamo lavorato sulle leve d’azione. E quelle del retail mix, vanno usate tutte: comunicazione, display, assortimento, promozioni, layout e pricing”.
Gli esempi virtuosi di Coop, Carrefour, Procter & Gamble, Gruppo Lactalis e Ferrero
Carrefour, Coop, Ferrero, Gruppo Lactalis e Procter & Gamble, partecipanti al gruppo di lavoro creato da Ecr Italia, hanno portato la loro testimonianza durante il convegno.
Esempi dal mercato
“Lo scenario sta cambiando -ha raccontato Chiara Faenza, responsabile sostenibilità Coop Italia-. C’è una pletora di normative sempre più complesse, con parecchie aree di sovrapposizione e non sempre è stato tutto definito. Il tema del coinvolgimento dei co-packer sarà sempre più complesso e bisognerà trovare modalità per arrivare a un risultato efficace per coinvolgerli. Noi abbiamo 7 mila referenze a marchio Coop, oltre 700 fornitori, dal piccolo alla multinazionale. Il coinvolgimento dei co-packer fa parte del nostro approccio cooperativo, che è multisfaccettato: informativo, policy, linee guida per campagne di comunicazione, attività formative”. Impegni che si traducono poi nei progetti di impegno per l’economia circolare, come Toh! Chi si rivede o di premio per le azioni virtuose dei propri fornitori, come Coop for Future. A Procter & Gamble si deve l’attività pionieristica in questa direzione: ha per prima sviluppato, nel 2020, un progetto di category management sostenibile basato sul metodo Lca, coinvolgendo la Scuola Superiore Sant’Anna, Sda Bocconi, Wwf ed Eiis (European institute for innovation and sustainability), e una prima iniziativa di successo nel settore si è realizzata con il retailer Crai. “La nostra prima esperienza concreta di collaborazione con Crai per la gestione operativa e sostenibile della categoria detergenti per il bucato, con i prodotti del nostro marchio Dash, era fondata su 3 pilastri -ha sottolineato Mario Galietti, senior director Procter & Gamble-: l’approccio scientifico alla sostenibilità, la coniugazione di obiettivi di business e sostenibilità e l’educazione degli stakeholder per la promozione di scelte di acquisto e consumo più consapevoli. Il lavoro di Gs1 Italy è un giusto punto di partenza, un lavoro unico nel panorama internazionale e copre la quasi totalità delle categorie con un linguaggio accessibile a tutti”. Un approccio autonomo sull’utilizzo del metodo Lca è stato quello di Parmalat con la bottiglia Latte Puro Blu, lanciata nel 2019, con il 50% di R-pet. “Un prodotto che ci ha permesso di comunicare in modo efficace all’esterno, con paragoni di equivalenza che permettono concretamente di essere comprensibili al consumatore e ha poi ha ispirato iniziative future -ha ricordato Gianmarco Tammaro, corporate communcation & sustainability manager Gruppo Lactalis-. Paragonando la vecchia bottiglia con la nuova si hanno informazioni non più legate solo al cambiamento climatico, alle emissioni, ma per esempio anche al consumo di acqua e permette di decidere quali kpi comunicare”. Oggi tanti player dell’industria e della distribuzione utilizzano la sostenibilità come elemento distintivo. “Noi abbiamo sempre fatto dell’agire in maniera corretta una sorta di prerequisito: ma non raccontarlo mette in una posizione di svantaggio, come percezione -ha rimarcato Marco Brambilla, corporate communication & pr manager Ferrero-. Abbiamo cercato così di inserire le iniziative di sostenibilità in maniera più strutturata, in un dialogo aperto con la distribuzione. Alla base c’è però una dimensione scientifica, che ci consente di proporre argomentazioni consistenti. E ci permette così di capire se possiamo sviluppare attività in partnership per costruire valore insieme”. La missione di Carrefour come Gruppo è guidare la transizione alimentare per tutti grazie a un programma, Act for Food, per un’alimentazione sostenibile a prezzi accessibili. Tanto da aver modificato lo statuto per trasformarsi in Società Benefit, il primo player della gdo a farlo. “Abbiamo siglato un Patto per la transizione alimentare con 67 partner, con cui abbiamo un’accelerazione su temi come ambiente, nutrizione, packaging, inclusione -ha ricordato Josephine Ducatteau responsabile Csr merci Carrefour-. Tra le iniziative che sosteniamo, la lotta allo spreco alimentare (lavoriamo con il Banco Alimentare), la sensibilizzazione e valorizzazione dei prodotti vicini alla scadenza, con la collaborazione con Too Good to Go (oltre un milione di pasti salvati), iniziative nel packaging sostenibile, economia circolare, riduzione della plastica, promozione di contenitori riutilizzabili, valorizzazione delle proteine plant-based con la marca privata e dei partner”.