La transizione dei centri commerciali secondo Svicom

Con Fabio Porreca, presidente di Svicom, facciamo il punto della situazione a più di un anno dallo scoppio della pandemia. Come usciranno i centri commerciali da questo periodo difficile? In futuro gli shopping center dovranno essere sempre più sostenibili, digitali, sociali, locali, unici

I centri commerciali sono nel pieno di un processo di transizione. Fabio Porreca presidente di Svicom, è convinto che non verrà meno il ruolo di riferimento sociale dei centri nel territorio di riferimento, anzi le conseguenze dell’epidemia renderanno più urgente la rivalutazione dell’offerta tradizionale in nuovi spazi da dedicare al cittadino: vedi i poli vaccinali, vedi le iniziative sempre più orientate al supporto e alla beneficenza. Svicom è una realtà importante di questo settore: una delle poche società italiane rimaste di una certa dimensione in un mercato dominato da colossi multinazionali.

Quali sono stati per Svicom i cambiamenti più importanti per l’industria dei centri commerciali in Italia in questo anno di pandemia, a parte l’evidente (dal 20 al 30% in media) calo dei fatturati e il crollo dei footfall dovuto alle chiusure?
Difficile intravedere dinamiche di cambiamento strutturali in una condizione di emergenza così drammatica e straordinaria, che speriamo di non dovere rivivere in futuro. Alcuni fenomeni sono stati del tutto contingenti come, ad esempio, l’andamento così differenziato tra le diverse categorie merceologiche presenti nei centri commerciali. Alcune, la ristorazione e l’abbigliamento, hanno subito consistenti perdite di fatturato, altre hanno registrato contrazioni rilevanti come il comparto cura della persona, servizi, cultura e tempo libero; per altre ancora, come gli articoli per la casa e l’elettronica, sono state più contenute. È da segnalare, inoltre, che nel 2020 abbiamo avuto il 26% di giorni di chiusura (ad eccezione delle attività essenziali) e nel primo trimestre 2021 circa il 45%.
Analizzando, invece, il comparto alimentare, sempre nel 2020, le vendite sono cresciute del 5%, di cui l’1% attribuibile all’online. I vari format hanno crescite differenziate: il discount +8,7%, il supermercato il +6,8%. I retailer attivi con i propri canali online sono riusciti a sostenere le vendite con l’eCommerce utilizzando i punti vendita, anche presenti nei centri commerciali, come basi logistiche per la consegna dei prodotti.
Altre tendenze sono più strutturali. La crescita dell’eCommerce e del delivery stanno modificando l’equilibrio generale del commercio. Nel 2020 le vendite online sono cresciute del 26% rispetto all’anno precedente. Le difficoltà di alcune forme distributive (es. department store e ipermercati), entrate nella fase di maturità o di declino, necessitano di un ripensamento del modello: basti pesare ai tanti retailer entrati in crisi (es. JC Penney, Camaieu, Conbipel) o agli importanti player che hanno avviato processi di ristrutturazione e razionalizzazione della rete fisica: Auchan ha lasciato l’Italia, H&M e Inditex hanno annunciato la chiusura di un certo numero di punti vendita; stessa cosa dicasi per Douglas, Debenhams, Macy’s, M&S e molti altri. Sono tendenze che la pandemia non ha certo causato, ma probabilmente sta accelerando. I centri commerciali, e più in generale i luoghi fisici del commercio, sono nel pieno di un processo di trasformazione, ma lo sono da tempo, da ben prima dell’arrivo della pandemia.
In questo nuovo scenario non sono mancate le iniezioni di fiducia grazie alle nuove aperture, sia di centri commerciali (vedi Maximo a Roma, il nostro parco commerciale Santa Caterina e l’ampliamento di Lingotto a Torino), sia di retailer, soprattutto nei settori chiave. Abbiamo alcuni esempi interessanti nei nostri Centri: Mondo Convenienza, con nuovo format da 300 mq; Mondo Camerette Point con 70 mq; Pepco, abbigliamento e prodotti per la casa; Fit Active per le palestre e nuove formule di ristorazione, a completamento di food court, come al centro commerciali di Pavia nello scorso dicembre.
Non da ultimo, come segnale positivo per la valenza degli shopping mall, la pianificazione da parte di Primark di 7 nuove aperture nei prossimi due anni nei centri commerciali.

Com’è cambiata e come sta cambiando l’attività di Svicom (gestione, commercializzazione)?
Da 25 anni il nostro core business è gestire centri e parchi commerciali. Alla loro valorizzazione dedichiamo tutte le nostre energie. Questo impegno e questa passione non sono mai cambiati e non cambieranno. Ciò che cambia, in una logica di naturale evoluzione, sono le competenze, gli strumenti e i modelli che devono essere rinnovati e in taluni casi ripensati soprattutto in un settore in transizione come il nostro. In questi mesi di emergenza, la sicurezza e la salute - tanto dei clienti quanto dei lavoratori - hanno assunto un’importanza cruciale. Ritengo che questo resterà un tema centrale e strategico anche dopo il superamento dell’emergenza. L’altro ambito che ci ha visto particolarmente impegnati è quello della gestione dei rapporti tra tenant e landlord. Aiutarli a raggiungere accordi equilibrati e sostenibili, per superare insieme questo periodo critico, è stata per noi una missione. Quando l’emergenza sarà passata, forse, avremo imparato che il rapporto strategico e sinergico tra tenant e landlord è una condizione essenziale per il successo dei centri commerciali. In questo tempo, è anche cresciuta la consapevolezza di dover spingere ancora di più sull’innovazione. Per questo abbiamo investito nei nostri sistemi informativi, con lo sviluppo e l’implementazione, di un nuovo programma gestionale e di piattaforme di Business Intelligence e Crm.
Per riprogrammare il futuro stiamo investendo su una maggiore specializzazione dei servizi offerti in ambiti come digital, marketing e servizi tecnici, oltre a un focus maggiore sulle sfide legate alla sostenibilità ambientale e alla trasformazione digitale di tutto il comparto. Ne è un esempio l’implementazione di nuovi applicativi e tool come il Bim (Building information modeling) per una gestione più efficiente degli immobili.

Per una real estate company come la vostra, quali aree di attività sono più o meno colpite dagli effetti della pandemia e dei lockdown?
È stato, ed è ancora, un periodo di forte pressione. Direi che tutta l’organizzazione è stata sotto stress. Come property manager i due ambiti di maggiore attenzione sono stati la sicurezza e le relazioni con i tenant. Le direzioni, e l’intera divisione di centre management, sono state particolarmente impegnate nel garantire il rispetto rigoroso dei protocolli di sicurezza e l’adeguamento in tempo reale alle disposizioni del Governo e delle Regioni, che cambiavano quasi quotidianamente. I dipartimenti Property e Agency si sono fortemente concentrati nella gestione degli accordi di rinegoziazione dei canoni tra tenant e landlord con l’obiettivo di mantenere i rapporti solidi e costruttivi e farsi trovare pronti al momento della ripartenza. Sul fronte ricavi, naturalmente, la temporanea riduzione dei canoni d’affitto ha generato una perdita per i property manager con riferimento all’attività di rent collection. Ugualmente il rallentamento e la sospensione dei programmi di sviluppo da parte dei retailer hanno avuto conseguenze sull’attività di leasing. Raccoglieremo i frutti di questo lavoro quando questo terribile momento sarà passato.

Come vedete il futuro dei centri commerciali?
I centri commerciali sono in una fase di transizione. Negare la delicatezza del momento sarebbe un esercizio di scarsa intelligenza e utilità. Potremmo assistere nel breve periodo a un aumento delle vacancy, a una riduzione dei valori medi dei canoni d’affitto. I centri commerciali di grandi dimensioni e leader nel proprio mercato con un’offerta ampia articolata e integrata riusciranno a mantenere una presenza forte e anche ad aumentare le proprie quote di mercato. Allo stesso tempo resisteranno bene i centri commerciali di comunità e di vicinato con un forte bacino d’utenza primario e un solido radicamento nel proprio territorio. Per questi asset, anche di dimensioni contenute, la connotazione urbana e la raggiungibilità anche a piedi, rappresenteranno importanti fattori di successo. I centri che si trovano in mezzo al guado avranno maggiori problemi a raggiungere l’equilibrio e dovranno modificare le proprie strategie con piani di radicale ridefinizione, ristrutturazione e in casi estremi di riconversione.
Vedo prospettive positive per i parchi commerciali che beneficiano di minori costi d’investimento, di una struttura di costi di gestione più leggera, di una migliore accessibilità dell’offerta e di processi d’acquisto più veloci. Sono format anche adatti all’integrazione tra il commercio fisico e il digitale con la possibilità di utilizzare il punto vendita anche per il click and collect e come base logistica per le consegne degli acquisti online.
L’integrazione digitale e la multicanalità saranno leve essenziali nella costruzione del nuovo modello di centro commerciale. I centri dovranno essere meno standardizzati, più originali, unici, territoriali; continueranno a esistere, ma dovranno cambiare. Come in tutte le situazioni di profondo mutamento, si presentano minacce e rischi, ma allo stesso tempo opportunità per chi saprà coglierle. Bisognerà rivedere i contenuti, rimodulare e riqualificare gli spazi, più in generale ripensare il modello. E sarà necessario un intenso e complesso lavoro di pensiero e di azione. Uno scenario a cui noi guardiamo con grande curiosità, entusiasmo e voglia di fare.

Nel rapporto con i tenant come si prospetta il 2021? Ci sarà, per esempio, un prolungamento nella richiesta/concessione di agevolazioni sui canoni?
Certamente sì. Le restrizioni ancora in essere in questo primo semestre del 2021 hanno certamente reso necessario un ulteriore intervento sui canoni da parte delle proprietà a beneficio dei tenant. L’incertezza sull’articolazione e sull’entità definitive delle misure di sostegno da parte del Governo ha comportato una dilazione delle decisioni in merito agli accordi di riduzione temporanea degli affitti. Resta, come priorità, l’obiettivo di trovare un punto d’incontro e di equilibrio tra le istanze e gli interessi dei tenant e quelli delle proprietà allo scopo di condividere le difficoltà, consolidare i rapporti e costruire insieme la ripresa.

Se diminuisce per forza di cose il traffico nei mall, non viene meno il loro ruolo di interazione con il territorio, insomma la loro funzione sociale: penso ai vaccini, ai tamponi. Come vi muoverete in questo senso?
Proprio ora sta emergendo con forza come la dimensione sociale rappresenti per i centri commerciali un elemento caratterizzante, un fattore distintivo e sia forse la leva principale per disegnare il futuro del settore. Proprio nel pieno del primo lockdown, quando i centri erano di fatto chiusi (ad eccezione degli ipermercati), ci hanno anche sorpreso i commenti di molte persone sui social che esprimevano sentimenti di senso d’appartenenza, di mancanza, di connessione emotiva con i centri commerciali. A dimostrazione che sono diventati per tante persone luoghi familiari, spazi di vita quotidiana.
Inoltre, proprio il fatto che la componente commerciale possa risultare ridimensionata a seguito delle trasformazioni in corso, si rende necessario un ripensamento del ruolo nella propria comunità. In questi giorni abbiamo attivato in un nostro centro uno spazio, La Bussola, in cui in collaborazione con associazioni e realtà del territorio, sono offerti tanti servizi gratuiti a misura di cittadino: assistenza psicologica, legale, fiscale, orientamento al lavoro. I centri commerciali posso avere sempre più un ruolo attivo nelle iniziative sociali e nelle campagne di sensibilizzazione a livello nazionale e locale, come dimostra la realizzazione di hub vaccinali in tante gallerie italiane (Svicom ne ha già attivati in collaborazione con Comuni, Asl e Regioni). Credo che dopo questa pandemia sarà definitivamente tramontato lo stereotipo dei centri commerciali come non luoghi. Sono in realtà dei veri luoghi, non solo con una loro dimensione fisica, ma anche con una loro storia e con delle radici ben piantate nel proprio territorio. Sono spazi di relazioni, di esperienze, di ricordi e di emozioni. Ed è proprio questa forte dimensione sociale che distingue il commercio fisico da quello digitale. Le persone hanno e avranno sempre voglia e bisogno di socializzare e di costruire relazioni vere e dirette con gli altri.

Come l’eCommerce può cambiare i centri commerciali, è un’opportunità per i consumatori? Possono diventare un hub produttivo e innovativo per i negozi della Galleria?
Non c’è chi non veda come l’eCommerce abbia rappresentato e rappresenti ancora la principale minaccia per il commercio fisico e per i centri commerciali. Tuttavia il digitale, e in generale l’innovazione tecnologica, rappresenta anche un’area di grande opportunità per la modernizzazione del commercio e degli spazi commerciali. È ormai opinione diffusa e consolidata che la dimensione fisica e quella digitale debbano convivere in una logica di multicanalità. Non è un caso che il principale operatore del commercio online, Amazon, è entrato nel commercio fisico con l’acquisizione di Whole Foods e con l’apertura degli Amazon Go. Allo stesso tempo i retailer fisici utilizzano il digitale per incrementare le vendite e migliorare il livello di servizio alla clientela. Lo sviluppo di servizi di delivery e click and collect dovrà essere una pratica sempre più abituale per i centri commerciali. Ma non ci si può fermare lì, i centri commerciali stessi devono assumere una dimensione digitale sempre più consistente con cui fornire servizi, informazioni ed esperienze ai propri clienti. La tecnologia sarà un fattore chiave per rendere i centri più attrattivi, per aumentare il livello di servizio, per migliorare l’esperienza d’acquisto, per incrementare il legame con i consumatori digitali.  D’altronde, il consumatore si è evoluto e adotta con consapevolezza un approccio fluido nell’acquisto, integrando fisico e digitale, seguendo indistintamente sia una logica di tipo pull, che porta i clienti che hanno acquistato in rete al Centro attraverso i vari servizi di collection, il drive thru, il pick up e i locker, sia una logica di tipo push che spinge, invece, all’acquisto direttamente dalle vetrine digitali dei punti di vendita presenti in galleria: con consegna a domicilio, acquirente personale virtuale (virtual personal shopper) e visita del punto di vendita (store visit). L’elettronica, ad esempio, nel primo trimestre 2021 mostra un +26% di vendite totali rispetto all’anno precedente, di cui +64% come vendita online e 18% come vendita canale fisico, anche grazie al click&collect.

Come vede il futuro dei centri storici e urbani dal punto di vista della ripresa? Sarà più facile e veloce rispetto a quella dei centri commerciali? O viceversa?
Non vedo grandi differenze di prospettive tra centri commerciali e centri urbani. Entrambe le realtà devono affrontare l’impatto concorrenziale crescente dell’eCommerce, devono rinnovare il proprio modello, oltre che raccogliere la sfida della digitalizzazione. Piuttosto che tra commercio urbano ed extraurbano, oggi la distinzione è tra commercio fisico e commercio online. Credo che i centri commerciali dovranno somigliare sempre più ai centri urbani e acquisire una sempre maggiore connotazione di autenticità, di vitalità, di varietà. Nel processo di digitalizzazione il commercio urbano, in particolare la ristorazione e l’alimentare, è un po’ più avanti rispetto ai centri commerciali essendosi avvantaggiato dallo sviluppo dei servizi di delivery. In ogni caso, che siano ubicati nel tessuto urbano o in centri commerciali, a vincere la sfida saranno quei retailer che sapranno integrarsi digitalmente e rafforzare la relazione con i propri clienti offrendo loro valore in termini di prodotto, prezzo, servizio, relazioni ed emozioni.

Negli ultimi anni i centri commerciali hanno scoperto nuovi business: smart clinic, pet store, co-working e ne scoprirà molti altri.
Aggiungere nuovi contenuti e nuove funzioni sarà un obiettivo fondamentale per i centri commerciali. Rinnovare l’offerta e il mix, sia introducendo nuovi format e brand del commercio e della ristorazione, sia attivando nuovi servizi e sviluppando nuove formule risulterà essenziale. I centri saranno sempre più luoghi mixed use in cui non solo fare shopping, ma anche vivere, lavorare, curarsi, divertirsi, vivere. Oltre ai negozi i centri potranno ospitare spazi di coworking, cliniche e studi medici, student house, palestre e centri sportivi, scuole e spazi e per la formazione, spazi culturali, uffici pubblici, servizi.

Centri commerciali e ipermercato come sta cambiando la relazione (Arese con ingresso autonomo, iper a Fiordaliso ha l’accesso autonomo).
Negli anni ’80 e ’90, nel momento della nascita e dello sviluppo dei centri commerciali in Italia, il modello prevalente fu quello francese dell’ipermercato integrato dalle Gallerie di negozi. Negli ultimi dieci anni questa formula è entrata nella fase di maturità e oggi presenta forti segnali di sofferenza. In particolare, il ruolo attrattivo degli ipermercati si è progressivamente indebolito fino a indurre i principali player a processi di ristrutturazione della rete: dalla semplice riduzione della superficie alla ridefinizione del modello.  In questo contesto vanno lette anche le decisioni di Auchan di uscire dal Paese o di Carrefour e di Coop di optare per il franchising in alcune zone del Paese o quella di Finiper di sposare l’iper dall’interno del centro ad uno stand alone esterno. A riguardo credo che il processo di cambiamento nella relazione tra iper e Galleria sia ancora nel pieno e che un modello vincente non sia ancora stato trovato. I maggiori operatori sono ancora alla ricerca del format o dei format più validi. Certamente nei prossimi mesi ci sarà molto da lavorare sulla trasformazione degli ipermercati e sulla valorizzazione economica e commerciale delle superfici provenienti dalla loro riduzione. La logica standardizzata del muro di divisione e dell’affitto dello spazio (media superficie) a terzi non è adeguata e sufficiente. Le superfici possono e devono essere utilizzate per arricchire l’offerta delle gallerie e per conferire vitalità ai centri. L’esigenza di rimodulare gli spazi degli ipermercati, con soluzioni personalizzate, sarà crescente nei prossimi mesi.  Sarà importante la collaborazione e il lavoro sinergico tra le proprietà dell’ipermercato e della galleria per la definizione di soluzioni che valorizzino al meglio gli spazi, trasformando una criticità in un’opportunità di miglioramento dell’assetto complessivo del centro commerciale. L’esempio del Fiordaliso potrà fare scuola. In ogni caso tutto rientra nel processo di transizione dei centri commerciali. 

Che cosa chiedereste al Governo se poteste aprire un tavolo diretto di discussione e che cosa offrireste dal punto di vista dei servizi a valore aggiunto?
In realtà un canale di comunicazione c’è e le richieste del nostro settore sono chiare e precise. Mi riferisco all’azione della nostra associazione di riferimento, il Cncc (Consiglio nazionale dei centri commerciali), di cui sono componente nell’ambito della Giunta Esecutiva. Innanzitutto abbiamo chiesto e rivendicato maggiore attenzione per un comparto che conta circa 1.200 centri commerciali, 36.000 punti di vendita e 780.000 occupati (indotto compreso) e che dà un contributo rilevante al Pil del Paese. La richiesta principale è la riapertura. Siamo di fatto in semi lockdown da novembre con tutti i week end chiusi (ad eccezione delle attività consentite) e diverse settimane in zona rossa fino a non molti giorni fa. Una situazione drammatica da cui dobbiamo uscire al più presto se non vogliamo che le conseguenze, già molto pesanti, diventino irreversibili. La nostra richiesta di riapertura è sempre stata accompagnata dall’impegno all’adozione di rigorosi protocolli (il Cncc ha prodotto delle Linee Guida molto dettagliate) di contenimento del rischio che fanno dei centri commerciali luoghi decisamente sicuri. L’altra richiesta riguarda le misure di sostegno alle aziende, presenti nei centri commerciali, che hanno subito pesanti perdite nel corso della pandemia. I ristori sono stati del tutto insufficienti e irrilevanti, per alcune aziende nulli. Occorre che gli ulteriori provvedimenti relativi al credito d’imposta sugli affitti e ai contributi a fondo perduto a copertura dei costi fissi consentano alle aziende di ricevere risorse sufficienti a garantirne la sopravvivenza. C’è di più, i centri commerciali, in quanto luoghi del commercio moderno e realtà organizzate e gestite professionalmente, possono dare un contributo importante e decisivo anche su alcuni programmi nazionali strategici. In particolare, sul tema della transizione ecologica e della digitalizzazione, tanto i landlord quanto i retailer sono attivi e pronti a investire. C’è forte consapevolezza che investimenti responsabili nella riqualificazione degli immobili, in primis quella energetica, e delle attività in una logica di sostenibilità e innovazione tecnologica rappresentino un dovere sociale e allo stesso tempo un’opportunità di crescita del settore. Anche in tema di mobilità sostenibile i centri commerciali dovrebbero essere considerati soggetti d’interesse. Rendere accessibili i luoghi del commercio e del tempo libero con tutti i mezzi (es. bici e auto elettriche) attraverso la realizzazione di infrastrutture idonee (piste ciclabili, postazioni di ricarica) contribuirebbe sensibilmente allo sviluppo della mobilità sostenibile nel Paese. A riguardo sarà importante che nell’ambito del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) le risorse del Next Generation EU siano destinate anche alla modernizzazione del commercio. Pensiamo all’estensione degli ecobonus agli immobili strumentali a destinazione commerciale. Allo stesso tempo sarà fondamentale una forte semplificazione normativa e burocratica per sprigionare l’ingente massa d’investimenti che potrebbero imprimere un notevole sviluppo al comparto e al Paese.

Chi è SVICOM

Da 25 anni Svicom offre un servizio di consulenza completo e integrato nell’ambito della valorizzazione di immobili commerciali, affermandosi come una delle aziende leader nel retail real estate italiano. La società vanta un portfolio di 100 asset, per una Gla superiore a 1,3 milioni di mq, che include centri e parchi commerciali, stand alone e high street, food hall, immobili logistici e direzionali. Alle attività di property, centre management e leasing, si affiancano servizi come: servizi tecnici, consulenza (Advisory), servizi legali e strategie digitali. Svicom guarda sempre oltre gli schemi e punta sull’innovazione, nelle sue differenti sfaccettature, per accrescere l’efficacia del suo lavoro e garantire sempre standard qualitativi elevati. Un’azienda in continua evoluzione, in cui passione e pragmatismo sono gli elementi chiave che ne definiscono l’impronta distintiva.

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