L’affiliazione può contribuire a consolidare gli intangibili

Franchising – Il valore del brand nel retail in contesti caratterizzati dal franchising. (Da MARK UP 189)

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1. La capillarità di copertura territoriale
va esaltata con la comunicazione

2. Un basso ricambio dei franchisee è indicatore di buona salute

3. Il patrimonio immobiliare può restare nelle cassaforti della casa madre

L'attenzione verso il brand rispecchia l'importanza del suo stesso ruolo nella complessità dell'odierno contesto economico: cambiano i processi d'acquisto e di consumo, evolvono gli scenari, aumenta e muta la natura della pressione competitiva. Dare una definizione puntuale di brand significa, tuttavia, perdersi in un labirinto, anche e soprattutto dal momento che questo termine, con gli anni e con l'uso, ha acquisito molteplici significati. Esso è, piuttosto, assimilabile a una variabile multidimensionale verso cui convergono non solo gli aspetti distintivi della marca, ma anche elementi quali la storia dell'impresa, l'esperienza che i consumatori hanno maturato verso il brand stesso, il livello di notorietà, le aspettative dei potenziali nuovi clienti. Affinché una marca svolga le sue funzioni di business developer, tuttavia, è necessario considerarla nella sua complessità: il brand ha un ciclo di vita propria, nasce, si evolve e ha bisogno di continue attenzioni.

Come si rafforza
nel retail

L'imprenditore che decida di investire in un progetto retail deve tenere in considerazione le peculiarità del contesto competitivo italiano, in cui il nucleo centrale del sistema distributivo è, ancora oggi, composto prevalentemente da negozi al dettaglio di tipo indipendente, con un assetto proprietario di tipo familiare e con un mercato di riferimento limitato. La scelta strategica del canale di sviluppo sarà, dunque, un primo strumento per la valorizzazione dell'insegna.

Senza entrare nel merito delle aziende interessate, si è da poco assistito alla cessione di due importanti catene del settore della gioielleria: la prima caratterizzata dal netto predominio di punti di vendita in franchising, la seconda composta esclusivamente da punti di vendita direzionali.

Quest'ultima, benché vantasse un numero considerevolmente inferiore di attività commerciali, è riuscita a ottenere una valorizzazione maggiore per negozio aperto di circa il 60% rispetto alla concorrente.
Tuttavia, considerare il fattore patrimoniale strettamente legato alla catena, come elemento unico del processo di valorizzazione della stessa, sarebbe certamente limitativo: concept, senso del posizionamento e insegna sono fattori imprescindibili nel processo di valorizzazione.

Cosa fare
nel franchising?

Anche nella misura in cui una catena presenti predominanza di punti di vendita in affiliazione, infatti, l'imprenditore dispone di diversi strumenti per creare o accrescere il valore della propria impresa nel tempo, quali:

- la notorietà del marchio, raggiungibile incrociando un'elevata capillarità di negozi sul territorio con un piano di comunicazione mirato e ben strutturato;

- la leva immobiliare, ovvero attraverso l'acquisizione di immobili da parte della casa madre e sottoscrizione con l'affiliato di contratto di affitto di ramo d'azienda. Questo strumento consente all'azienda un forte accrescimento del proprio valore; d'altro canto, l'azienda deve essere in grado di sostenere l'esposizione finanziaria necessaria ad attuarlo. In alternativa, può impostare un sistema di sviluppo spurio che prevede la sottoscrizione dei contratti di locazione o affitto di ramo d'azienda da parte della casa madre con fideiussioni a garanzia e cessione di ramo d'azienda all'affiliato costituito da cessione contratto location, godimento insegna e sistema informatico;

- la fedeltà dell'affiliato. Strumento, quest'ultimo, fortemente intangibile, il cui valore è difficilmente quantificabile, ma che può essere stimato a partire da alcuni indicatori, quali: le caratteristiche e la caratura del contratto di affiliazione commerciale, quindi non solo nei contenuti, sia nel rispetto della normativa sul franchising sia nella completezza della casistica, ma anche nell'effettivo rispetto da parte degli affiliati; un basso turnover degli affiliati; la presenza, all'interno della catena, di multi affiliati (anche se tale fenomeno può rivelarsi un limite nel caso in cui l'incidenza del numero di multi affiliati all'interno della stessa catena sia molto elevata, dal momento che acquisirebbero maggior potere); una bassa chiusura delle attività; il rispetto, nella sostanza, dell'obbligo di acquisto in esclusiva di prodotti.

La valorizzazione contabile

A livello contabile, il marchio d'insegna per essere tutelato giuridicamente deve essere registrato. Condizione necessaria per iscrivere un marchio in bilancio quale immobilizzazione immateriale è che sia identificabile nel patrimonio aziendale, ovvero che abbia un'individualità tale da poterlo distinguere dal resto dell'azienda. La regola generale (espressa dall'art. 2426 n.1 Codice Civile) prevede come criterio di contabilizzazione il criterio di costo di acquisto o di produzione, inclusivo di oneri accessori per la valutazione del marchio. Nel caso di marchio acquisito esternamente, il valore originario è identificabile nel corso di acquisto, mentre nel caso di marchio sviluppato internamente all'azienda è identificabile nel costo di produzione. Nel primo caso il costo è rappresentato dal prezzo pagato e dagli altri oneri accessori, quali i costi di registrazione del contratto, di trasferimento e di consulenza per la redazione del contratto stesso. Nel secondo caso, invece, il costo è formato dalle spese direttamente imputabili allo sviluppo del marchio, come il costo del personale dipendente addetto allo studio, i costi di eventuali consulenti esterni e le spese indirette ragionevolmente imputabili allo sviluppo del marchio stesso.

Gli investimenti

Ne deriva, quindi, che, nel rispetto dei principi contabili nazionali, un imprenditore che in fase di start up della propria azienda o nel corso della vita della stessa abbia la volontà di creare valore per il proprio marchio dispone di un solo strumento: destinare nel corso del tempo parte dei propri investimenti in costi di produzione imputabili al marchio. Purtroppo, per quanto significativa tale quota non avrà mai la consistenza reale dei costi visibili e invisibili effettivamente sostenuti dall'imprenditore nel realizzare una politica di sviluppo importante nel retail.
L'aspetto critico della valorizzazione di un marchio nel retail consiste nell'incremento del proprio valore in modo dinamico nel tempo, non vincolato in modo proporzionale ai reali investimenti, ma caratterizzato da una componente immateriale legata alla diffusione dei negozi per la loro reale percezione da parte del consumatore.

*Sf&ra Retail,
con Studio Lumini

I vantaggi a disposizione

La concretizzazione nell'attivo patrimoniale di questa posta resa significativa produrrebbe, oltre a una maggiore gratificazione e motivazione per l'imprenditore, effetti positivi nell'accesso al credito per lo sviluppo diretto e, probabilmente, anche per lo sviluppo in franchising; inoltre, il valore complessivo dell'azienda retail sarebbe incrementato per una parte indipendente dall'Ebitda dei singoli punti di vendita. Per quanto riguarda l'accesso al credito, gli istituti finanziari potrebbero valutare gli investimenti relativi alle nuove aperture dirette non solo in relazione alla redditività del singolo negozio ma anche in funzione dell'aumentato valore patrimoniale dell'azienda. Infine, in questo contesto, gli stessi nuovi affiliati soci di compagini neo costituite avrebbero minori ostacoli per l'approvazione di finanziamenti relativi a progetti retail ben valorizzati a livello di marchio.

Le criticità da affrontare
Criticità e anomalie con cui, nel nostro paese, l'imprenditore è chiamato a confrontarsi:
- di tipo finanziario, di accesso al credito per finanziare lo sviluppo;
- di tipo logistico, in quanto la maggioranza delle aziende di produzione, per poter mantenere la propria competitività, si trova quasi obbligata a trasferire le linee di produzione in far east;
- di formazione, dovute a una generale carenza culturale: la formazione, sia a livello imprenditoriale sia a livello di personale di punto di vendita, non viene vista come elemento strategico di crescita e di incremento delle vendite.

Diretto, franchising oppure misto?
Nella fase di start up di un progetto retail, l'imprenditore molto difficilmente si pone fin dall'inizio l'interrogativo, nella creazione del valore per la propria azienda, della scelta strategica tra i diversi possibili canali di sviluppo, quali:
- sviluppo diretto, che se da un lato consente un controllo maggiore e una maggior valorizzazione, dall'altro implica un incremento dei costi fissi e un appesantimento della struttura;
- sviluppo in affiliazione, che generalmente consente un'accelerazione dello sviluppo, una più capillare distribuzione sul territorio e una maggiore conoscenza del brand, senza tuttavia appesantire i costi fissi; può però rivelarsi un'arma a doppio taglio in quanto è necessario creare una struttura di supporto che cresca proporzionalmente allo sviluppo della rete;
- sviluppo misto, che comprende sia aperture dirette sia in franchis­ing.

Allegati

189-MKLAB-Franchising
di Guido Caufin * / giugno 2010

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