L’anno che verrà dovrebbe rafforzare la piccola ripresa

Federdistribuzione Cobolli Gigli

Il 2015 rappresenta un punto di svolta nella dinamica economica del Paese: l’Italia ha cessato di avere tutti indicatori “in rosso” e ha ricominciato a crescere, prima con un po’ di timidezza ed ora in maniera più significativa. È un fatto importante, perché significa che il peggio dovrebbe essere passato e che si può guardare al futuro con più ottimismo. Dobbiamo, però, essere prudenti, perché se è vero che siamo di fronte a variazioni positive di tutti i principali fattori di sviluppo, è altrettanto vero che per ciascuno di essi dobbiamo constatare crescite comprese tra lo zero e l’uno per cento e che le ferite della più grave crisi dal dopoguerra ad oggi dovranno essere curate per molto tempo. Ciò detto, bisogna rilevare che la ripresa poggia ora su basi nuove rispetto al passato, che potranno sostenere questo cammino così faticosamente avviato: la conferma strutturale degli 80 euro in busta paga, il Jobs Act, le minori tasse sulle imprese, una Legge di Stabilità che, se approvata nei termini attuali, si presenta come espansiva nel 2016 per famiglie e imprese (anche se non bisogna dimenticare la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia per il 2017 e 2018). Il primo obiettivo per il 2016 è, quindi, quello di consolidare e irrobustire i segnali positivi del 2015, spingendo famiglie e imprese a superare timori e cautele ancora presenti. Ad esempio stimolando le prime a convertire i maggiori risparmi accumulati in spesa produttiva (consumi). O sostenendo gli investimenti delle imprese: il retail ogni anno rinnova tra il 5 e l’8% della sua rete commerciale e, nonostante la crisi, continua a impegnare risorse in nuove aperture; una politica di incentivo fiscale verso queste attività avrebbe un effetto propulsivo, aumentando gli investimenti complessivi con effetti positivi su occupazione e indotto. Il 2016 rappresenta una tappa fondamentale nel cammino di ripresa del Paese, l’anno nel quale si potrebbe decidere la nostra capacità di avviarci verso una crescita sostenuta o bloccarci, come è accaduto in passato, su uno sviluppo dello “zero virgola”. Diventa essenziale affrontare, una volta per tutte, i pesanti deficit strutturali dei quali soffre l’Italia: costi dell’energia più alti della media europea del 40/50%; una macchina amministrativa e burocratica troppo pesante; una legislazione complessa sulla quale stenta un efficace percorso di semplificazione; mercati nei quali concorrenza e merito, insieme all’equità sociale, non sono ancora presenti come dovrebbero; una giustizia lenta e senza certezze; un federalismo fonte di costi, lentezze e disomogeneità invece che di efficienza; un’evasione che, insieme ai fenomeni della contraffazione e dell’abusivismo, rappresenta una piaga che crea concorrenza sleale.

Il tema del Mezzogiorno è un altro degli elementi chiave affinché sia recuperato sul piano economico e sociale per uno sviluppo più equilibrato del Paese. Affrontare o meno la questione del Mezzogiorno è una cartina di tornasole, significa prendere posizione su che tipo di Paese vogliamo: uno nel quale ci si muove per promuovere regole, legalità, trasparenza, concorrenza, etica e sostenibilità al posto di uno nel quale prevalgano sistemi non in linea con l’Italia del futuro. Emblematico è anche come viene trattato ideologicamente il tema del consumo del suolo. Non vi è alcuna obiezione sul fatto che si debba arrivare nei tempi e nei termini stabiliti dalla Ue a realizzare obiettivi condivisi, ma quanto oggi contenuto nel Disegno di Legge in fase di approvazione alla Camera porterebbe a una drastica penalizzazione (moratoria di 3 anni) per gli operatori che hanno intrapreso la lunga strada per ottenere le necessarie autorizzazioni di investimento. È arrivato, dunque, il momento di cambiare rotta, di spingere sull’acceleratore del cambiamento. Da questo punto di vista, va dato merito al Governo di aver intrapreso con determinazione questa strada, affrontando fattori cruciali. Un atteggiamento di responsabilità che invece fatichiamo a vedere nelle Organizzazioni Sindacali nell’ambito della negoziazione per il primo Ccnl della Distribuzione Moderna Organizzata.

Il mondo del commercio è profondamente cambiato rispetto al passato, le differenze tra le formule distributive si sono accentuate e hanno dato luogo a strutture d’impresa estremamente diverse tra loro. In questo quadro Federdistribuzione sta cercando da quasi due anni un accordo con i Sindacati per la stipulazione di uno specifico contratto, che meglio si adatti alle peculiari esigenze delle proprie imprese associate. Imprese che hanno organizzazioni complesse, più vicine a quelle industriali che non a quelle del dettaglio tradizionale, e logiche distintive, come investimenti in formazione e sicurezza, legalità e rigorosa applicazione dei Ccnl, tutela dell’occupazione. Una richiesta finora rifiutata dalle controparti, che vorrebbero invece imporre i contenuti dell’accordo siglato con Confcommercio (l’unico al momento sottoscritto: anche le trattative di Confesercenti e della Cooperazione sono interrotte). Oltre a quella sul lavoro, altre sfide attendono il retail, a partire dal 2016. Alcune appaiono prioritarie e hanno connotazioni strutturali: il consumatore è molto diverso rispetto a quello degli anni pre-crisi. L’eCommerce continua a crescere rapidamente e negli acquisti via internet la quota di beni e prodotti è ormai del tutto paragonabile a quella dei servizi; riuscire a equilibrare, in modo efficace per il cliente e produttivo per l’impresa, il canale online con quello fisico costituisce un asse di sviluppo indispensabile. La Responsabilità Sociale d’Impresa permea le strategie aziendali; la costruzione del mondo di domani vede le imprese protagoniste e la distribuzione non può sottrarsi a questo compito: la tutela degli interessi di tutti gli stakeholders diventa la base per uno sviluppo sostenibile.

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