L’arte del branding evolve con il neuropositioning

Foto di John Hain da Pixabay
Dal mondo offline a quello online, le neuroscienze continuano ad offrire a retail e largo consumo un supporto a connessioni emotive più forti e mirate

Il mercato del neuromarketing e del neuropositioning è in costante ascesa, grazie all'interesse crescente da parte delle aziende a comprendere meglio i processi decisionali e le emozioni dei consumatori su basi più oggettive e misurabili (pure con tutti i limiti del caso, data la complessità del cervello umano). Secondo un rapporto di MarketsandMarkets, il mercato globale del neuromarketing è stato valutato a circa 21 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede che crescerà a un tasso di crescita annuale composto del 7-9% tra il 2023 e il 2028, arrivando fino a 30 miliardi di dollari entro il 2028.
L'integrazione delle tecniche neuroscientifiche nel marketing non è una novità e, guardando agli ultimi 15-20 anni, ci sono svariate case history interessanti sul tema, anche nel largo consumo, che vanno da Coca-Cola (il famoso test alla cieca con Pepsi) a Frito-Lay. Quest'ultima è nota per aver scoperto, attraverso questa metodologia, che le confezioni lucide e brillanti attivavano nel cervello aree associate alla colpa e alla disapprovazione. Un dato che ha portato l'azienda a cambiare il packaging con una finitura opaca, più neutrale e meno legata a sensazioni negative, con conseguente miglioramento delle vendite.

Oggi, la tecnologia e le metodologie utilizzate stanno migliorando costantemente e rendendo questa pratica più accessibile per diverse aziende, con risvolti che impattano su più fronti, dal packaging e design dei prodotti alla comunicazione digitale, passando in generale per tutti gli aspetti dell'esperienza utente. Da Google a Facebook, il neuromarketing è, ad esempio, attualmente applicato in campagne digitali e interattive, in cui i dati biometrici e comportamentali (come il movimento degli occhi o la risposta galvanica della pelle) vengono integrati con l'analisi dei big data per personalizzare l'esperienza del cliente in tempo reale. A investire in studi che utilizzano le neuroscienze non sono solo colossi del digitale o "tangibili" come P&G e Bmw, ma anche le stesse agenzie pubblicitarie. Ogilvy e Dentsu hanno creato divisioni dedicate alla ricerca neuroscientifica, ma anche realtà più piccole hanno virato in tal senso, a conferma di come la pratica si stia maggiormente diffondendo e democraticizzando. Vale per l'agenzia italiana Tecnostudi, fondata nel 1979 da Maria Rosa Piovani e oggi guidata dalla figlia Elena: un passaggio generazionale che è andato di pari passo con una specializzazione in ambito di neuropositioning. “Grazie alla nostra esperienza nel marketing e allo studio e applicazione delle neuroscienze - spiega Elena Sabattini, Ad dell’agenzia - abbiamo rilevato come la strategia di posizionamento del brand possa essere costruita su basi scientifiche. Attraverso le strumentazioni biometriche (eeg, eye tracker, etc.) si evince come è percepito il brand dal consumatore e quali sono le sue aspettative. Risultato che spesso si discosta da ciò che dichiara esplicitamente".

L'interesse collettivo e il relativo giro d'affari legato al neuromarketing e al neuropositioning è insomma in forte crescita e sta guadagnando slancio in numerosi settori, sia tradizionali che digitali, scendendo progressivamente nel suo utilizzo dai "piani alti". Il passo avanti rispetto al mero sondaggio rivolto direttamente al consumatore è evidente, ma è comunque bene evitare l'usuale effetto "cotta per il trend" (si veda la pagina "intelligenza artificiale"), mitigando le derivanti insight con senso critico e strumenti tradizionali. Da un lato, infatti, la nostra comprensione e la prevedibilità del comportamento umano avranno sempre dei limiti, dall'altro è necessario arginare quel tipico bias che tende a sottostimare l'incidenza del caso e a razionalizzarlo a posteriori con errate relazioni di causa-effetto (rimandiamo su questo punto alle migliori parole del filosofo empirico e ricercatore Nassim Nicholas Taleb nel libro Antifragile).

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