Lavazza, storia secolare al servizio dell’export

Affermazione del proprio brand e integrazione del portfolio con altre marche specialiste: per un consumo a tutto tondo a base di caffè. La parola a Flavio Ferretti, direttore della business unit Italia. Da Mark Up n.244

L’italianità dell’espresso consente all’impresa torinese di sedersi al tavolo della partita globale del caffè. Là dove osano soltanto i grandi nomi.lavazza_Ferretti Sono relativamente poche le grandi imprese alimentari italiane che approcciano organicamente i mercati internazionali con tutto il loro carico di sfide. Lavazza è una di queste. Ne parliamo con Flavio Ferretti (in foto), direttore della business unit Italia ai margini del 9° Consumer & Retail Summit.

Con quali stategie di brand Lavazza affronta l’internazionalizzazione?
Sono 120 anni che Lavazza fa e ha fatto questo lavoro. Lavorare per un periodo così lungo ha reso possibile che il marchio della casa si sviluppasse non solo in Italia ma anche in altri Paesi. Sostanzialmente, nella nostra volontà di crescere sia in Italia sia all’estero, abbiamo avuto a nostro favore il fatto che il caffè italiano ha una sua motivazione ovunque.

Tutto semplice, dunque?
Chiaramente in alcuni mercati occorre lavorare molto nella sensibilizzazione del consumatore, perché le metodologie di preparazione e le modalità con le quali il consumatore locale approccia il consumo del caffè sono sotanzialmente diverse da quelle italiane. Basti pensare, per esempio, agli Stati Uniti dove normalmente il caffè viene bevuto in un bicchiere molto grande da 18 once. Bisogna approcciare l’interpretazione,  il significato locale del caffè che può essere molto differente dall’espresso. La volontà di Lavazza è quella di crescere ancora, sostanzialmente in due modi: con la crescita organica, sfruttando appunto la possibilità di esprimere con il nostro brand il prodotto italiano anche in altri mercati. E in alcuni altri casi con acquisizioni. Si tratta di analizzare in quali altri Paesi possano esserci delle interessanti opportunità di sviluppo anche utilizzando altre marche, che magari sono maggiormente specializzate in determinate preparazioni di consumo che risultano diverse da quelle dell’espresso.

In un brand portfolio di questo genere come si creano le sinergie?
In alcuni casi le sinergie ci possono essere e in altri casi meno, proprio perché il brand ha un valore intreseco che è espressione del legame che il consumatore ha con quella marca. Le sinergie possono realmente essere sfruttate quando, per esempio, ci troviamo in presenza di segmenti all’interno dei quali possiamo sviluppare sia un filtro sia un espresso e i due differenti marchi possono aiutarci a essere meglio e più correttamente percepiti dal consumatore. In altre situazioni questo modo di agire diventa più difficile: a quel punto occorre scegliere di lavorare con una sorta di endorsement del brand acquisito, cercando però di dare una maggiore italianità e un maggiore supporto del vissuto “espresso” a quello che è senz’altro un consumo di diversa natura.lavazza

Quanto possono aiutare le catene di caffetterie/bar monomarca nell’affermazione di un brand all’estero?
Sui pubblici esercizi, noi abbiamo fatto esperienze diversificate, anche con acquisizioni in Portogallo, Spagna e Bulgaria di catene di esercizi. È un lavoro estremamente complesso che deve essere seguito molto da vicino, secondo le modalità di gestione tipiche di quel business. Addirittura bisognerebbe essere presenti all’interno di ogni singolo punto di vendita per far sì che il prodotto erogato sia esattamente quello che si vuole. Quando si riesce a ottenere questo risultato allora, assolutamente sì, l’integrazione a valle è una grande opportunità di sviluppo e diventa una piattaforma, una possibilità di fare branding all’interno del Paese. Su catene con negozi numerosi diventa più complesso ottenere questa standardizzazione del prodotto qualitativamente adeguata a quello che noi intendiamo proporre al consumatore. In quel caso è meglio lasciar fare il lavoro a operatori specializzati, che riescono più di noi a essere capillari, magari trovando delle modalità con le quali comunque brandizzare il locale ed erogare il nostro prodotto, soltanto somministrato da professionisti del settore.

Per l’export l’efficenza produttiva è un must. Lavazza ha affrontato recentemente alcuni passaggi in questa direzione. Soddisfatti?
Siamo certamente soddisfatti del livello di efficienza raggiunto nei nostri stabilimenti. Il tema dell’efficienza produttiva è del resto uno snodo fondamentale, soprattutto per un prodotto dove la materia prima ha un’incidenza così importante. Avevamo quattro stabilimenti in Italia con differenti contratti, che portavano con sé differenti livelli di flessibilità e diverse modalità di gestione. Siamo riusciti nel processo di uniformazione, passaggio che va nella direzione di non avere più soltanto stabilimenti specializzati nel fare una tipologia di produzione (Lavazza produceva storicamente a Gattinara le capsule, a Settimo il roast & ground -macinato per espresso-, a Verres prevalentemente i grani e a Isernia il decaffeinato). Una rivoluzione gestionale della produzione ha fatto sì che ora si possano avere differenti lavorazioni in differenti stabilimenti, anche per dare maggiore sicurezza all’azienda. E con lei tutte le famiglie che nell’azienda lavorano.

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