Soprattutto se si parla di giovani. Questa una delle evidenze emerse dall'Osservatorio sulla Felicità. Ecco come si sentono gli italiani oggi

Che avere dipendenti soddisfatti e sereni sia una chiave imprescindibile per un business di successo nel lungo termine ormai dovrebbe essere chiaro anche alle più restie pmi. Si tratta sia di una questione di produttività, sia di advocacy verso l'esterno, sia di capacità di attrarre talenti: i dati che ce lo confermano, ma anche gli esempi virtuosi di aziende come Mars e Mondelez, non mancano.

Ma quanto sono felici gli italiani oggi rispetto alla loro vita e al loro lavoro? Prova a fare il punto della situazione l'Osservatorio sulla Felicità presentato dalla neonata Associazione “Ricerca Felicità”. La ricerca ha coinvolto 1.314 persone, suddivise tra lavoratori dipendenti (72,3%) e liberi professionisti  (27,7%), suddivisi per sesso con una media ponderata di 42.3% di donne e il 57,7% di uomini, appartenenti alle 4 generazioni (baby boomers, generazione X, millennial e generazione Z) in rappresentanza della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro.

Due le tendenze principali che emergono: la pandemia e le notizie di cronaca relative alla crisi del mercato del lavoro, e della disoccupazione di molti, portano a vedere con maggiore ottimismo la situazione da parte di chi non è toccato da questi problemi. L'altra evidenza importante, però, è che in media vi è una mancanza di allineamento valoriale tra lavoratori e imprese, soprattutto quando si tratta di giovani. Proprio come quando parliamo dell'atto di consumo e di come oggi si scelga sempre più spesso un marchio per i valori che rappresenta, lo stesso sembra valere sempre di più anche per la scelta del proprio datore di lavoro.

Il 15,3% ritiene ad esempio che, rispetto alla propria azienda, l’affermazione “ha un impatto positivo per il mondo” sia assolutamente falsa e alla domanda se il proprio lavoro faccia "la differenza” solo il 7,6% crede che sia assolutamente vero, contro un 13,5% di assolutamente falso. Le frasi "soddisfa tutti i miei bisogni” e "ho una carriera piena di significato” rispettivamente per il 27% e il 24% non sono ritenute per nulla riscontrabili nel proprio ambito lavorativo. Questo prendendo esclusivamente in considerazione l'assoluto negativo e non l'insoddisfazione moderata.

Sandro Formica, vicepresidente e direttore scientifico dell’associazione Ricerca Felicità, evidenzia che "in ogni azienda ci dovrebbe essere un piano di sviluppo dei bisogni perché il benessere aziendale si traduce in performance migliori. Questa è scienza e una ricerca di Ernst & Young realizzata assieme all'Università di Harvard, ha dimostrato che le aziende che lavorano perché tutti i propositi siano allineati, rendono agli investitori fino a dieci volte di più".

Parlando di meritocrazia e differenze generazionali, è interessante notare come tra i baby boomers sia significativamente più elevato il peso di coloro che ritengono riconosciuti in modo assolutamente adeguato i loro meriti rispetto alle altre generazioni: 31% contro una media, piuttosto bassa, del 20/21%. Un divario che facilmente si vedrà poi riversato in mancanza di integrazione e sinergia tra figure junior e senior all'interno dell'azienda. Non è  un caso che, anche a seguito di quanto sopra, i giovani talenti oggi siano più predisposti che mai a buttarsi nell'apertura di start-up o più in generale al lavoro autonomo, anziché sottostare a dinamiche aziendali cui si sentono poco affini.

Come sottolinea in proposito Elga Corricelli co-founder dell’associazione Ricerca Felicità:

I dati che riguardano la percezione che ha la generazione Z sulla felicità, ci devono far riflettere perché costituiscono una sorta di monito e di direzione importante da dare agli imprenditori italiani. Ci troviamo di fronte a una generazione che non accetterà di considerarsi “felice” solo per il fatto di avere un lavoro - come pare di leggere dai dati - ma chiede allineamento culturale e sceglierà di lavorare con le aziende che rispettano i propri valori. I disagi esposti devono fungere da monito e riteniamo fondamentale lavorare sulla componente emotiva e sul potenziale che talvolta sembra rimanere inespresso.

Anche guardando alla felicità in ambito privato emerge una certa differenza generazionale. Tra i rappresentanti della generazione Z, ad esempio, solo il 19% si trova concorde nel ritenere che la propria vita sia vicina al proprio ideale, contro il 28% dei baby boomer. Anche la dimensione di solitudine/isolamento è maggiormente sentita dai giovani/giovanissimi rispetto agli adulti, si passa infatti dal 21% fino al 10% (dai più giovani ai più anziani) di coloro che sentono questi problemi e dal 42% al 57% di coloro che non si sentono particolarmente toccati dalla questione. Certo, la questione è almeno in parte legata alle circostanze dell'attualità pandemica, dato che la socialità dei giovani è basata soprattutto sulle relazioni esterne più che sul nucleo familiare, a differenza di genitori e coppie.

 

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