Le dinamiche mature del mercato del riso in Italia

La produzione risicola oggi punta ad avere sempre più maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente. La sfida del biologico

Come è la salute del riso italiano? In termini generali è un mercato maturo. I consumi interni sono risultati in crescita per diversi anni, con un +30% dal 2009 al 2018. Lo scorso anno c’è stata una stabilizzazione. Per i risi colorati ed etnici la crescita è ancora a due cifre: + 11.8% a volume e +12,1% a valore. In controtendenza (e sul punto andrebbe fatta una riflessione su quali siano i fattori ostativi, se comunicativi pratici o di gusto) i risi del benessere, integrali e ricchi di fibre: -5.1% a volume e -8,1% a valore. Il 2020 sembra molto più favorevole, visto che la pandemia Coronavirus ha premiato i beni di prima necessità con aumenti della domanda da parte della gdo anche a doppia cifra.

I risi colorati beneficiano dell’appeal healthy. Sapise Sardo Piemontese Sementi, cooperativa agricola nata nel 1978, per prima ha lanciato il riso Venere, simbolo della rivoluzione colorata dei risi. “Il Riso Venere, è stato il primo riso pigmentato ad essere iscritto al catalogo vegetale -fa notare il direttore generale Carlo Minoia-. Oggi, con grande soddisfazione di tutti i soci della Cooperativa che ci hanno creduto, è il riso Nero aromatico più conosciuto in Europa. Certo vi sono molte imitazioni. Venere ha una sua filiera certificata SGS e un marchio che lo contraddistingue e prevede l’utilizzo di severi disciplinari di produzione low input”.

La produzione risicola oggi punta ad avere sempre più maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente, a limitare le procedure impattanti e gli sprechi. C’è chi avanza l’ipotesi che il riso biologico (oggi circa il 5% del totale) possa essere la nuova carta di distinzione dell’Italia, la chiave di volta per rispondere alle invasioni di risi orientali a basso costo che spingono ogni anno a una contrazione della superficie.  Ma garantire nel contempo produttività e sostenibilità non è sempre facile. “L’Italia, oltre ad essere il primo Paese europeo in termini di superficie coltivata a riso, è quello in cui vige una delle regolamentazione più rigorosa, che ammette un numero di principi attivi autorizzati su riso in campo davvero limitata. I nostri produttori hanno a disposizione un numero esiguo di mezzi tecnici per il controllo di erbe infestanti e di attacchi fungini”.

Sul tema non si può dire che ci sia la stessa attenzione dal Sud est asiatico, che può mettere sul mercato riso a basso costo. La Commissione Ue ha deciso di mantenere le importazioni agevolate di riso dalla Cambogia mentre il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo all’accordo di libero scambio tra Ue e Vietnam che comporterà l’ingresso a dazio zero di 80mila tonnellate di riso. Dalla Cambogia nell’ultimo anno -secondo Coldiretti- sono arrivati in Italia oltre 8 milioni di kg mentre le importazioni dal Vietnam sono stimate in oltre 7,5 milioni di kg, con una crescita record di 18 volte in quantità nel corso dell’anno.  “La clausola di salvaguardia sul riso lavorato di tipo Indica importato dalla Cambogia e dal Myanmar (temporanea fino al 2022, con dazi a scalare, ndr) sta producendo gli effetti sperati  -precisa però Paolo Carrà, presidente dell’Ente Risi- in quanto le importazioni nell’Ue da questi due Paesi risultano in calo di circa il 40%, anche se stanno aumentando le importazioni di riso lavorato di tipo Japonica dal Myanmar che non sono coperte dalla clausola”.

 

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