Le previsioni sismologiche alla stregua di quelle macroeconomiche?

Esperti – Le previsioni macroeconomiche non sono incontrovertibili. Eppure, a differenza dell'allarme sui terremoti, non devono sottostare alla prova dei fatti. (Da MARK UP 177).

1.
Le previsioni Ocse spiegano le dinamiche economiche pur essendo impossibile una loro verifica

2.
Chi fa previsioni economiche, però,
non sbaglia mai

Due giorni a digiuno e febbre alta per un problema alimentare e poi, il 1° aprile, lo stress del lungo volo dal Chiapas verso casa. La mia coscienza alterata evoca i foschi accadimenti del sole nero del 21 dicembre 2012, con cui si concluderà il quarto ciclo del calendario Maya: eventi che fanno parte dei racconti uditi nei giorni precedenti. Sono semplici storielle di un pensiero primitivo ma, per un attimo, mi angosciano forse al pari dei sacerdoti che si autodissanguavano e assumevano il peyote per allargare le porte della loro percezione. Mi sveglio. Bevo il caffè e leggo sul Corriere che l'Ocse ha tagliato le stime del Pil 2009 da -1% a -4,3% e che un tal Giampaolo Giuliani ha diffuso “con tono quasi profetico” la notizia di un terremoto disastroso tra L'Aquila e Sulmona, beccandosi una denuncia e la qualifica di imbecille. Tre previsioni, tre prove dell'incoercibile bisogno dell'uomo di scrutare il futuro. La loro credibilità? Discutiamone!

Il senso irreversibile della storia
Ponendole sul piano epistemologico notiamo che quella dei Maya è una previsione matematicamente sofisticata, ma priva di una teoria convincente del perché il Sole dovrebbe spegnersi fra 3 anni, fatto salva la variabile “esogena” del volere malevolo degli dei. La bontà previsiva del metodo Giuliani, invece, è difficile da giudicare: se anticipasse un terremoto su tre sarebbe utile? E uno su cinque? Comunque si basa su una teoria, resa, in termini giornalistici molto semplificati, in questo modo: i movimenti tettonici provocherebbero l'emissione di radon prima dei terremoti. Ha una sua logica sostenuta da una base di dati e il tutto è aperto alla critica degli scienziati. Le previsioni dell'Ocse nascono da equazioni (simultanee?) sconosciute al grande pubblico, equazioni che, come ha scritto Donald McCloskey, sono soltanto metafore utili a spiegare le dinamiche dei sistemi economici. Questi modelli si “nutrono” dei dati degli istituti nazionali di statistica, ma una reale verifica empirica della bontà del loro “what if” è impossibile. La storia procede in un unico senso irreversibile. Non si possono dunque utilizzare i modelli econometrici per eseguire “esperimenti controllati”. Chi fa previsioni economiche, però, non sbaglia mai. Se le autorità allertate dagli esperti non seguono i loro consigli sono loro ad assumersi la colpa delle recessioni. Viceversa se le crisi non si verificano sono stati gli allarmi dei consiglieri ad averle evitate. Io sono capace di costruire con il mio pc un piccolo modello dell'economia italiana e di simularne l'andamento (piccolo perché quelli grandi sono ancora più instabili e condizionabili dai giudizi soggettivi di chi li elabora). Quindi so due cose fondamentali: a) che se non si introduce informazione nuova e rilevante, le proiezioni del modello non possono cambiare; b) che, data la loro natura lineare, i modelli non sono mai stati in grado di prevedere (da soli) le svolte cicliche delle variabili macroeconomiche. Orbene, marzo è il mese più povero di nuove informazioni. Quel che è successo a inizio anno si saprà a fine aprile o in maggio. Mi chiedo allora cosa abbia giustificato la stima rivista per il 2009 dall'Ocse, visto che certamente le sue equazioni non sono cambiate? Suppongo e spero non in base allo stato delle “aspettative” peggiorate, perché sarebbe come nella nota barzelletta dello sciamano indiano che fa accumulare legna per l'inverno. Se invece fossero proprio le aspettative dei consumatori e delle imprese a far peggiorare lo scenario, ne discenderebbe che davvero, ancor più degli interventi di politica economica, diverrebbe fondamentale rafforzare l'esecrabile ottimismo delle autorità di governo!

Riassumendo
L'esempio di tre previsioni così distanti tra loro svela la loro comune natura di “opere aperte”, per dirla con Umbero Eco. Uno ci mette le ipotesi. Gli altri (i destinatari) conferiscono (o negano loro) credibilità. Ne discende che quando si dice che la “crisi è soprattutto psicologica” si intende dire che in un paese in cui l'annuncio dell'influenza aviaria, pur senza l'evidenza di un solo caso patologico, fa dimezzare il mercato del pollame, tutto è verosimile. Tuttavia, se l'onere di una prova inoppugnabile delle relazioni causa-effetto alla base di una previsione per la sismologia è così importante, perché non dovrebbe essere un obbligo anche per i vari opinion maker? Chi lavora seriamente nelle aziende e deve prendere quotidianamente decisioni rilevanti per le comunità che vi ruotano attorno ne avrebbe tutti i diritti.

Cosa costa di più?

Nel caso della “fusione fredda”, dell'“effetto serra” e di altre teorie controverse il principio basilare è che messi in chiaro i dati rilevati, deve essere possibile a chiunque rifare i calcoli e ripetere l'esperimento. Solo allora saranno considerati veri contributi scientifici. In economia questo non vale. Si fanno i titoli sui giornali, ma chi e soprattutto come è arrivato a certe conclusioni non è mai esplicito. Vale l'argumentum ad autoritas senza che esso sia supportato da una verifica statistica della reale attendibilità delle precedenti previsioni. Ma sul piano macroeconomico costa di più il falso allarme per un mancato terremoto o l'annuncio di un anno di recessione disastrosa, rimbalzato su tutti i media?

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