Le regioni rivendicano autonomia in materia di programmazione

Esperti – Una vera e propria guerra istituzionale si è aperta tra antitrust e regioni. (Da MARK UP 185)

1. La liberalizzazione
della Bersani riguarda anche le grandi superfici di vendita

2. Il quadro regionale non è monolitico, anche se prevale una tendenza restrittiva

Con una recente ordinanza (n. 3804 del 23/7/09) il consiglio di Stato ha aperto un nuovo scenario nell'ambito della disciplina della programmazione commerciale, in particolare di quella relativa alla grande distribuzione. E lo ha fatto affermando l'applicabilità della legge 248/2006 (la famosa lenzuolata Bersani) anche alle grandi strutture di vendita. Vi erano già stati pronunciamenti giurisprudenziali a proposito di altre attività, pubblici esercizi e artigianato di servizio, ora non più soggette a vincoli numerici o di contingente. Adesso il Consiglio di Stato conferma che tali criteri di liberalizzazione riguardano tutto il commercio, compreso quello su grandi superfici. Secondo la 248/2006 le attività commerciali, come individuate dal Dlgs 114/98, vanno svolte senza il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale. Per le regioni questo significa programmare nuove aperture, trasferimenti e ampliamenti senza far ricorso a limiti numerici o di superficie, cioè ai contingenti. Le disposizioni contrarie decadevano con effetto immediato, se di livello statale, mentre quelle regionali e locali avrebbero dovuto adeguarsi entro la fine del 2006.

Intervento dell'Antitrust

La maggior parte delle regioni dimenticò questo termine e poi, nel 2007, con modifica del titolo V della costituzione, le cose si complicarono con l'attribuzione alle regioni della competenza esclusiva in materia di commercio.

La partita si è poi riaperta anche grazie ad alcuni pronunciamenti dell'antitrust tesi a rimarcare l'applicabilità delle norme pro-concorrenziali in presenza di disposizioni legislative contrastanti, anche quando si tratti di norme riservate alla competenza esclusiva delle regioni. Ne consegue, afferma l'antitrust, l'obbligo di disapplicazione di tutta la regolamentazione regionale o locale contrastante con i principi concorrenziali. Una vera e propria guerra istituzionale si è così aperta tra antitrust e regioni, e oggi la giurisprudenza pare orientata a favore del principio affermato dallo Stato, attraverso l'antitrust. Il quadro regionale, tuttavia, non è monolitico, anche se prevale una tendenza restrittiva. Non molti mesi fa alcune regioni hanno aggiornato la propria disciplina riproponendo il criterio del contingente per zone, contingente peraltro esaurito quasi immediatamente. Altre hanno seguito un modello che affida la scelta localizzativa alla programmazione urbanistica locale e alla valutazione dell'impatto sovracomunale. In realtà il contingentamento, dopo quasi 40 anni di vita, non ha portato effetti positivi: lo sviluppo si è comunque avuto, anche se caratterizzato dall'accettazione di quel che passava il convento, con location discutibili o mix menomati, zone di saturazione e di carenza a seconda delle logiche politiche, e non, delle esigenze di mercato. La scarsa trasparenza nelle procedure e i tempi non accettabili hanno creato, in alcune aree, situazioni di oligopolio, quando non di vero e proprio monopolio. D'altro canto anche il modello della sostenibilità, almeno nella sua fase di esordio, pare creare qualche problema derivante dalla possibilità di monetizzazione degli impatti, che non riescono a risolvere le vere problematiche insediative per i territori e che, oggettivamente, costituiscono una barriera finanziaria all'entrata per i gruppi minori.

La ricerca della soluzione ottimale è dunque complessa: potrebbe essere, per esempio, importante la certificazione dei promotori dell'insediamento. È certo, comunque, che l'affermazione degli aspetti della disciplina che valorizzano la concorrenza, anche con i pronunciamenti giurisprudenziali, è condizione essenziale per raggiungere risultati positivi.

È guerra aperta tra antitrust e regioni

Al pronunciamento di censura dell'antitrust, le regioni hanno risposto con una dura presa di posizione nella quale si afferma che “non può accettarsi che l'antitrust, dotata dalla legge 287/90 di specifiche competenze (poteri di indagine, di diffida e di sanzione nei confronti delle imprese, di segnalazione al parlamento e al governo, nonché attività consultiva) svolga di fatto una funzione giurisdizionale o, addirittura, un sindacato di costituzionalità delle leggi regionali, rimarcandone supposti profili di incompetenza per materia e assuma formalmente posizioni che travalicano i propri compiti”. La parola ora spetta al governo.

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