Le sfide dell’Italia dentro e oltre Industry 4.0

L'Italia deve definire un nuovo disegno di politica industriale, se vuole cogliere le opportunità della digitalizzazione del mondo industriale, la quale favorirà un ristretto numero di leader mondiali.

Industry 4.0 ha origine in Germania e rappresenta il programma più esteso ed ambizioso che sia stato messo a punto negli ultimi decenni a sostegno dell’industria manifatturiera di un singolo paese. Esso è stato avviato proprio all’apice del successo economico tedesco e della sua leadership nei mercati mondiali.

La ragione? Mantenere nel tempo questa posizione competitiva.

La quale potrebbe essere compromessa da due fenomeni che corrono paralleli fino ad un certo punto e poi iniziano ad incrociarsi. Da un lato la crescente aggressività cinese, destinatario primario dell’export tedesco.

Negli ultimi anni la Cina ha incrementato rapidamente la qualità e il contenuto tecnologico dei propri prodotti, tanto da divenire in alcuni comparti un concorrente diretto delle aziende tedesche. Spinta da questi successi ha iniziato a compiere investimenti diretti in Germania cercando non solo know how ma anche quote di mercato.

L’altro trend minaccioso per l’industria tedesca è rappresentato dall’estensione di Internet alla manifattura.

E in particolare da un aspetto di questa estensione: le web platform. Mentre la Germania ha tradizionalmente dominato le grandi reti di subfornitura a livello mondiale, le cosiddette global value chain, risulta ancora molto debole nel mondo delle web platform verso cui l’applicazione di Internet sta convertendo i vecchi sistemi gerarchici di relazione tra imprese. E su questo punto i due trend si intersecano: la Cina ha il più elevato numero di web platform al mondo, seguita dagli U.S.A.

Alibaba con una capitalizzazione di borsa di 448 miliardi di dollari è forse nota al grande pubblico soprattutto come concorrente di Amazon. In effetti Alibaba è nata come piattaforma B2B ed oggi è il più grande market place che dà accesso diretto ai produttori cinesi, consentendo di selezionare e richiedere motori, macchinari e qualsiasi altro tipo di prodotti industriali con le personalizzazioni e le specifiche richieste, senza la necessità di viaggiare, visitare aziende, selezionare in loco i partner con cui di volta in volta operare. Global Sources, sempre cinese, è specializzata nell’automotive e nell’elettronica. GlobalSpec e Grainger sono piattaforme americane che operano nello stesso modo. Non possono inoltre essere trascurati, in questo contesto, i fornitori di piattaforme e servizi di cloud. In termini di quote di mercato i più grandi sono AWS (Amazon), Microsoft Azure, Google Cloud Platform, IBM cloud e naturalmente, Alibaba. Sono essi che stabiliscono standard, livelli di servizio, direzioni di sviluppo tecnologico e pricing a cui gli utenti devono inevitabilmente adattarsi.

L’UE ha fatto propria Industry 4.0 sollecitandone l’estensione agli altri paesi membri. Questa partita infatti non è solo tedesca. Lavorare su scala continentale è il solo modo per raggiungere le masse critiche necessarie a creare e gestire piattaforme europee, presupposto chiave per difendersi dall’aggressività degli attuali colossi dell’era digitale.

E l’industria italiana? L’adozione del Piano nazionale Industria 4.0, che pure sta dando segni positivi, appare, rispetto a quello tedesco, solo un primo passo, ne servono altri, più mirati e incisivi. Nel caso italiano infatti, oltre a difendere alcune (troppo poche) eccellenze, si tratta di intervenire con decisione sulle (ahimè) numerose debolezze strutturali.

Nonostante sia al secondo posto in Europa dopo la Germania, l’impresa manifatturiera italiana ha ancora una troppo ampia presenza di piccole imprese (76,6% del totale, rispetto al 46.8% della Germania), una specializzazione produttiva tuttora in parte labour intensive e bassi investimenti in R&D (siamo tra gli ultimi in Europa e tra i paesi OCSE). Infine, salvo poche eccezioni, l’industria italiana è assai lontana dai livelli di investimento e di produttività pre -crisi.

Tutto ciò la rende molto vulnerabile a questa fase del progresso tecnologico. La digitalizzazione del mondo industriale sta incrementando le concentrazioni, favorendo il consolidamento di un ristretto numero di leader mondiali che controllano le tecnologie e i mercati. Per chi è troppo piccolo gli spazi tendono a chiudersi e prima ancora i margini economici.

Ecco perché si rende oggi indispensabile la definizione di un nuovo disegno di politica industriale. Al cui interno andranno inseriti temi non più rinviabili.

Il rafforzamento della specializzazione verso produzioni più technology – intensive, un percorso guidato di crescita dimensionale, il coinvolgimento dell’impresa pubblica per realizzare masse critiche nella R&D, nuove prospettive di localizzazione in cui si tenga conto del tessuto di competenze ancora presente nei “vecchi” distretti industriali accanto all’esigenza di far crescere dei centri metropolitani di livello internazionale, in grado di attrarre i digital workers.

Senza questi interventi la manifattura italiana e il paese potrebbero correre il rischio di perdere la vera sfida competitiva che sta dietro il passaggio al mondo digitale, dove il valore si accumula solo al centro dei network lasciando alle periferie ruoli sempre più marginali.

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