L’esperienza è il driver del retailing futuro

Secondo studi di McKinsey, il punto di vendita evolve con una logica darwiniana spinta dalle tecnologie. Una store wars già cominciata (da Mark Up n. 255)

Lo  scenario  è  destinato  a  cambiare  radicalmente e nei prossimi anni è molto  probabile  che  alcuni  format  oggi  estesamente diffusi sul territorio, saranno ridimensionati da un nuovo approccio che il consumatore desidera instaurare con lo store. McKinsey ha effettuato diversi studi sul tema e Mark Up ha incontrato  Antonio  Achille,  senior  partner  McKinsey  &  C.  responsabile  area  consumer e lusso, per fare il punto della situazione.

Partiamo  subito  con  un  tema  forte:  come sarà il retail a medio termine?
Noi pensiamo che vi sarà una forte discontinuità  i  cui  segnali  si  vedono  già  ora. La struttura fisica del retail vedrà sparire alcuni formati che non sono più rilevanti per il consumatore. Ci sono diversi esempi all’estero di insegne che fino a pochi anni fa sommavano volumi di  affari  da  posizione  di  vertice  e  che  oggi sono usciti dal mercato a causa di una mancata comprensione di ciò che è importante  per  il  consumatore.  In  Uk,  negli  ultimi  anni,  insegne  leader  stanno soffrendo; in Italia basti pensare agli ipermercati che non intercettano ne flussi ne preferenze del consumatore.

Entriamo nel merito del largo consumo. Come evolverà?
Il  fenomeno  in  atto  è  quello  del  “darwinismo” dei formati. Il discount continuerà a crescere ma dovrà rivedere in parte  la  propria  value  proposition.  Il  prezzo, che sposa le aspettative del consumatore, è necessario ma non si potrà trascurare l’obiettivo di raggiungere un posizionamento più emozionale. Soprattutto sulle piazze dell’Europa meridionale.  Ciò  che  emerge  fin  da  ora  è  che  il  consumatore  non  vuole  più  “scatole  anonime”,  i  big  box  senza  anima,  ma  vuole un’esperienza di valore.

Voi definite il punto di vendita come soggetto  “fisso”  mentre  il  consumatore è dinamico. Entriamo nel merito
Un  negozio  è  un  luogo  fisico  con  un  inventario,  con  delle  persone,  con  degli allestimenti. Il pricing poi è costante nell’arco della giornata. Tutti elementi fissi. Tuttavia l’interazione con un soggetto tipicamente dinamico come la persona,  induce  il  retailer  a  dare  risposte  “non fisse”. Esistono già alcune esperienze che integrano l’online con l’offline e rendono  disponibili  al  consumatore  un  assortimento molto esteso pur rappresentando nel negozio fisico solo una frazione.  In  altri  termini  l’assortimento  esce  dalle  mura  del  negozio  fisico  e  prosegue online: negli Usa le proposte di questo tipo stanno emergendo rapidamente. Un  esempio  è  Hointer,  retailer  di  abbigliamento dove non è presente il personale, non solo per ridurre i costi ma anche  perché  i  millennials  non  gradiscono  che  vi  siano  degli  addetti  nel  punto  di  vendita  che  impongano  la  relazione.  L’interazione avviene con lo smartphone.

E il prezzo? Come cambia la gestione?
Indubbiamente il tema pricing è un fattore  di  grande  evoluzione.  Già  oggi  Amazon ha abituato i suoi clienti al dynamic  pricing,  ben  presto  anche  i  retailer  tradizionali dovranno ricorrere a questa modalità.  Ma  il  pricing  non  esaurisce  l’approccio  differenziante.  Conta  anche  il consumatore e le sue caratteristiche. Per un retailer, il valore del proprio business è la customer base, i propri clienti. Le persone non sono tutte uguali. Così, in funzione dell’orario del giorno e di altri parametri, i frequentatori del punto di vendita non rappresentano un target uniforme. E questa differenza può ripercuotersi  sul  business,  a  partire  proprio  dal  pricing, la conoscenza in profondità dei propri clienti è una delle prossime frontiere  del  retail  basato  anche  sull’analisi  dei big data.

Però  nel  largo  consumo  quest’ultimo  è un pensiero un po’ estremo: promozioni e prezzi “bassi e fissi” si combattono senza tregua..
Certo. Il prezzo dinamico nel largo consumo  è  un  concetto  oggi  non  ortodosso. Però guardiamo a ciò che è accaduto ad altri mercati. Fino a qualche anno fa, il prezzo di un biglietto di viaggio era  costante,  oggi  siamo  tutti  abituati  a  un  approccio  opposto.  E  il  consumatore  non  solo  lo  accetta  ma  se  lo  aspetta.  Nel grocery le cose sono diverse: ci saranno  sempre  player  dai  grandi  volumi  di sellout che avranno una value proposition che ricalca l’approccio attuale; ma questo non esclude che altri sapranno estrarre valore in modo diverso.

Non stiamo andando troppo il là?
Il punto è proprio questo. Se non si riesce a prevedere come avverrà il cambiamento e non si lavora per ricavarne delle opportunità, può essere un problema. L’analisi dei big data, la conoscenza della customer base, l’incrocio con elementi di contesto (di quel punto di vendita e di quella particolare giornata) non sono approcci ipotetici, auspicabili. Saranno il modo di lavorare del retail da qui a qualche anno. Inoltre vi è anche un altro importante aspetto. Oggi i grocery retailer calibrano  il  pricing  anche  e  soprattutto
nel confronto con i concorrenti di piazza. Quando domani il concorrente principale sarà Amazon (o altri soggetti online) che attuano il dynamic pricing, allora  l’input  al  cambiamento  sarà  ben  più  pressante.

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