L’impatto sociale di Conad

L’azienda deve generare valore economico e valore sociale basato sulla condivisione con la comunità. Ne parliamo con Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione (da Mark Up n. 271)

Sebbene le aziende della lista Fortune 500 spendano mediamente quasi 40 milioni di dollari all’anno per iniziative di Csr, non sempre ne traggono il beneficio che si attendono. Le ricerche scientifiche degli ultimi anni, infatti, hanno dimostrato che l’equazione tra impegno sociale e ritorno aziendale non è affatto lineare. Secondo uno studio pubblicato quest’anno sul Journal of Business Research, solo alcune aziende otterrebbero risultati positivi o molto positivi, mentre la gran parte non vedrebbe alcun ritorno sul proprio fatturato. A fronte di risultati impressionanti da parte di alcune aziende (Ibm ha comunicato che il suo programma “Corporate Service Corps” ha ottenuto un ritorno di 600 milioni di dollari con un investimento di 200 milioni di dollari e Unilever ha riportato una crescita a doppia cifra per diversi prodotti oggetto di campagne sociali e ambientali) per molte aziende socialmente attive l’effetto sarebbe trascurabile. I ricercatori, naturalmente, si sono anche prodigati per comprendere i fattori che determinano il successo delle campagne sociali individuando di volta in volta diversi elementi: livello di competitività del mercato, presenza di concorrenti socialmente attivi, capacità di corporate governance, sensibilità dei consumatori, rilevanza dell’attività sulle capacità dell’azienda. Un aspetto che emerge con continuità è la necessità di ragionare in un’ottica ampia evitando di considerare donazioni e progetti come attività a sé stanti, ma definendo strategie in grado di ottenere nel tempo un impatto più esteso sulla società. Per riuscirci, però, è fondamentale che l’impresa crei rapporti sempre più stretti con i beneficiari e individui i bisogni sui quali può agire con maggior efficacia.

Tra le aziende da tempo impegnate in campo sociale vi è Conad, che attraverso la collaborazione con gli enti no-profit intende superare la consueta dimensione commerciale determinando per i propri clienti anche un positivo impatto sociale. A spiegarcelo è Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione dell’azienda.

Una ricerca Gfk Eurisko rivela che i consumatori sono più propensi ad acquistare prodotti che devolvono parte del loro incasso a cause sociali. In un sondaggio Nielsen il 66% degli intervistati si è dichiarato disponibile a pagare un prezzo più elevato per brand più sostenibili, una percentuale in costante aumento negli ultimi anni. Possiamo dire che il sostegno al mondo non profit è anche uno strumento di marketing sociale?

Siamo consapevoli che per Conad la misura del valore da generare come azienda è fatta da due addendi: il valore economico, di mercato, generato dalla competizione e dalla gestione aziendale, e il valore sociale, che è invece basato sulla condivisione e sulla relazione con la comunità. Per Conad la donazione è, prima di tutto, un atto condiviso con i propri clienti; è dare concretezza all’essere “socialmente responsabili”. È distintività sociale e si esprime anche attraverso il sostegno a iniziative di solidarietà sia a livello nazionale e internazionale, realizzate da organizzazioni umanitarie, sia a favore delle comunità locali, promosse e realizzate dalle cooperative e dagli stessi soci-imprenditori. Un impegno che trova espressione anche nei programmi dedicati ai clienti in possesso della carta fedeltà. Un punto di vendita Conad è molto più di un insieme di scaffali ordinati, di prodotti in offerta, di qualità e convenienza: è la porta che si apre su un mondo fatto prima di tutto di relazione tra le persone.

In quest’ottica che iniziative sociali scegliete di intraprendere?

Abbiamo l’obiettivo di essere protagonisti nella vita delle comunità in cui operiamo.

Essere una grande azienda per noi significa essere dalla parte delle persone, dei clienti, per contribuire alla soddisfazione dei bisogni che caratterizzano la loro vita e quella delle tante comunità in cui siamo presenti. È un elemento di continuità con la nostra storia e ha come riferimento la comunità fatta di persone, di cittadini che sono anche clienti dei nostri punti di vendita. Molteplici sono le iniziative sociali che danno un senso a tutto questo e i progetti rappresentativi della nostra capacità di condivisione e relazione con le comunità in cui operiamo: siamo vicini, ad esempio, alle donne che subiscono violenza fisica sostenendo l’associazione D.i.Re - Donne in rete contro la violenza e i suoi 81 centri antiviolenza presenti su tutto il territorio nazionale. Un aiuto concreto che diamo da 4 anni a questa parte destinando risorse a progetti a favore delle donne che lottano per uscire dalla più terribile delle prigionie. C’è poi il progetto Resto al Sud, per garantire ai giovani l’accesso gratuito ai corsi di studio e alle nuove professioni proponendo un modello di sviluppo diverso per le zone del Mezzogiorno che versano in condizioni di maggiore criticità e precarietà, con l’obiettivo di evitarne lo spopolamento e combattere il degrado e le mafie. O, ancora, il sostegno alla ricerca clinica portata avanti da tre grandi ospedali pediatrici italiani: Meyer di Firenze, Bambino Gesù di Roma e Microcitemico di Cagliari.

Riguardo all’associazione D.i.Re: perché avete deciso di sostenere le donne e in particolare il tema della violenza contro le donne?

Abbiamo voluto dare vita a una forma di sostegno che non fosse solo delle donne ad altre donne. Questo perché crediamo che sia possibile vincere quella che è una piaga endemica dell’Italia anche attraverso gli uomini. Speravamo di essere seguiti da tanti clienti sensibili a questo tema, ma la realtà ha superato le attese. Il consenso che ci è venuto dalla clientela ci ha fatto capire di avere tracciato un sentiero, magari ancora impervio e non ben definito, ma di avere indicato una direzione rilevante e chiara. Continuare a limitarsi a dire che la violenza contro le donne è un fenomeno delle società più avanzate non aiuta a sensibilizzare e coinvolgere il maggior numero di persone. Soprattutto non aiuta a liberare anche una sola vita dalla violenza. A noi di Conad piace fare storydoing, piuttosto che storytelling.

Affinché le iniziative in ambito sociale possano esprimere tutto il proprio potenziale è necessario che vengano correttamente promosse. Secondo Porter, co-autore del concetto di “Valore condiviso”, le imprese “saranno spesso più efficaci di governi e organizzazioni no-profit nel motivare i consumatori ad adottare prodotti e servizi che creano benefici alla società”. Anche l’attività sociale di Conad viene accompagnata da investimenti pubblicitari e spazi dedicati alla sensibilizzazione. Perché avete deciso di affiancare anche un’attività di comunicazione?

Per noi di Conad comunicare è stare in relazione con le persone, è condividere non solo informazioni ma anche valori ed emozioni. Questo vale per i nostri negozi, i nostri prodotti e tutte le singole iniziative che animano la nostra attività quotidiana. Conad è portatore di valori radicati e la persona è uno dei principali.

Essere presenti in tutto il territorio nazionale è non solo un elemento capace di valorizzare la nostra presenza in tante comunità, ma è essere vicini al cliente, per conoscerlo meglio, interpretare i suoi comportamenti di consumo, capire quali siano gli elementi a cui attribuisce maggior importanza.

A lui vogliamo essere vicini anche con una nuova comunicazione, che faccia presa su valori sempre più disconosciuti, sulla valenza di quanti non hanno voce, sulla figura del socio Conad, vicino al cliente, sensibile alle sue esigenze e attento alla qualità non solo di ciò che vende ma anche della vita.

È dunque questo il senso del vostro pay off “Persone oltre le cose”?

Conad è fatto di valori, sono la sua storia e il suo futuro.

La persona è uno dei principali, frutto del radicamento in tantissime comunità e territori.

Non è solo un elemento distintivo capace di valorizzare la presenza di un’insegna Conad in tante comunità: è essere vicini al cliente, per ascoltarlo, conoscerlo meglio, interpretare i suoi comportamenti di consumo, capire quali siano gli elementi a cui attribuisce maggior importanza e come soddisfare le sue attese.

Un compito che non si esaurisce con la vendita di un prodotto o una spesa.

Al di là del banco di vendita ci sono persone disponibili, competenti e capaci di dare un senso a un mestiere antico eppure moderno.

In un caso e nell’altro, prima di tutto, “Persone oltre le cose”, appunto.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome