L’inclusione riposiziona i brand: il caso della nuova strategia Unilever

Si chiama "Positive Beauty" e racchiude in una sola visione i temi caldi di oggi, cambiando non solo la comunicazione ma l'innovazione di prodotto

Il must per restare sul mercato è superare greenwashing e socialwashing, facendo di csr e civismo un vero e proprio modello di business. Mentre un retailer come Coop punta su una "rivoluzione della gender equality" interna ed esterna all'azienda Unilever continua a fare scuola, come già avvenuto con la "real beauty" di Dove, cercando di anticipare le nuove esigenze sociali e i posizionamenti vincenti per il futuro.

Da qui il lancio della nuova strategia omnicomprensiva "Positive Beauty", che parla di inclusione risultando a sua volta inclusiva nell'abbracciare tutto il portfolio di brand e diverse funzioni. Dalle disuguaglianze e iniquità sui vari fronti (genere, etnia, disabilità) ai problemi ambientali: il nuovo posizionamento di Unilever fa da ombrello a tutte le tematiche calde di oggi, come si evince dal video di presentazione sopra.

Si tratta ad esempio di rimuovere ciò che è "normalità stereotipante" da pubblicità e packaging, impegnandosi anche a porre fine a tutte le alterazioni digitali che modificano la forma del corpo, le dimensioni, le proporzioni o il colore della pelle di una persona, aumentando il numero di annunci che ritraggono persone da gruppi diversificati e sottorappresentati. Ma il cambiamento toccherà design e formulazione delle proprie referenze oltre l'aspetto della comunicazione, prevendendo in parallelo anche una serie di impegni di csr verso persone e pianeta.

Un modello che, sensatamente, si basa su un'insight mirata coinvolgente 10mila persone in 9 Paesi diversi. Da quest'ultima è infatti emerso che:

  • Per oltre la metà delle persone (56%) intervistate l'industria della bellezza e della cura della persona fa sentire le persone escluse.
  • Secondo sette persone su dieci il settore dovrebbe ampliare la propria definizione di bellezza e secondo sei su dieci quest'ultimo crea un ideale singolare di chi o cosa è "normale", facendo sentire di dover apparire in un certo modo.
  • Il 74% ha infine affermato di voler vedere il settore della bellezza e della cura della persona concentrarsi maggiormente sul far sentire meglio le persone a livello ampio, piuttosto che sul migliorare il loro aspetto.

"Sappiamo che rimuovere il 'normale' dai nostri prodotti e imballaggi non risolverà il problema da solo, ma è un importante passo avanti. È solo una delle numerose azioni che stiamo intraprendendo come parte della nostra visione di Positive Beauty, orientata non solo a fare meno danni, ma anche a fare meglio sia alle persone che al pianeta", sottolinea Sunny Jain, presidente di Unilever Beauty & Personal Care.

Tra gli impegni nei confronti del pianeta quello di proteggere e rigenerare 1,5 milioni di ettari di terra, foreste e oceani entro il 2030, ma anche, lato attivismo, il continuo sostegno a un divieto globale della sperimentazione animale per i cosmetici entro il 2023. Una visione, quella Positive Beauty di Unilever, che va quindi ben oltre un'estetica di marca e che, sempre in linea con "i nuovi must della rilevanza", vede l'azienda schierarsi anche sul fronte politico (l'esempio sopra è solo uno dei tanti in programma).

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