L’indicazione preziosa del Popai Italia

EDITORIALE – La focalizzazione sull’alimentazione sana favorisce una progressiva crescita di valore

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Una recentissima indagine
commissionata da Popai Italia
merita in questo ambito un
richiamo, per le indicazioni indirette
che fornisce ai protagonisti
del mercato in generale e dell’imballaggio
in particolare. Nell’occasione
l’associazione - che si
propone come luogo di confronto
e approfondimento sulle tematiche
legate alla comunicazione
all’interno del punto di vendita
- ha provato a misurare su un
campione statisticamente rappresentativo
della popolazione
18-55 anni (1.000 e rotti individui)
il grado di attenzione nei
confronti di marca e logo. Il tutto
sottraendo all’immagine complessiva
il minimo indispensabile
per non renderla immediatamente
esplicita, chiedendo poi
agli intervistati di riconoscerla.
I risultati sono di estrema soddisfazione
solo per pochissimi marchi
noti. Per la grande maggioranza
si constata un’incisiva caduta
di ricordo/riconoscimento
sino a limiti infinitesimali. Il lavoro
ha riguardato nello specifico
pubblicità circolanti su stampa e
televisione. Ma la valenza dei risultati
può essere estesa, poiché
si riscontrano (e qui i ricercatori
guidati da Daniele Tirelli, presidente
Popai Italia, sono stati
particolarmente fini) indicazioni
comparabili anche tra i fruitori
dei singoli prodotti: non è
sufficiente avere nella borsa della
spesa o in credenza/frigorifero
un prodotto perché esso conquisti
spazi nel ricordo del consumatore.
Quindi sarà complesso imporre all’attenzione del consumatore
particolari meno incisivi della
marca o del logo di un produttore,
per di più se veicolati non attraverso
un programma di comunicazione
completo e multimediale
ma limitatamente al solo
packaging.
Una controprova arriva dai livelli
di individuazione legati a loghi
e riferimenti supplementari quali
sono, per esempio, i marchi Dop
e Igp nonché i riferimenti ai certificatori
del biologico: è proprio
il basso tasso di riconoscimento
che li rende inefficaci in funzioni
di marketing, limitandone l’utilità
alla salvaguardia nei mercati
d’export. Anche in questo caso
la notorietà di partenza (seppur di
nicchia) aiuta: vanno meglio i segni
distintivi del biodinamico, del
vegetariano e delle intolleranze rispetto
a quelli più generici della
territorialità. E sempre restiamo
nel campo di marchi supportati
anche dalla comunicazione.
È allora con attenzione e senza
intraprendere scorciatoie che
vanno impostate strategie di
aiuto al consumatore sul versante
della seconda vita di un
packaging. Ritenersi al di là
del guado con una serie di simboli
e una manciata di codici
colore, quand’anche uniformati
su tutto il territorio nazionale,
nell’impostare programmi di
recupero e riciclo degli imballaggi
potrebbe rivelarsi velleitario.
Probabilmente neppure una
sporadica campagna pubblicitaria
di supporto modificherebbe
l’anonimato finale.

Allegati

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