Shein si difende dalle accuse di sfruttamento e inquinamento

Il fast fashion cinese in continua ascesa, ma aumentano le polemiche sulla poca attenzione a ecologia e diritti dei lavoratori

Shein è l’azienda di fast fashion sulla bocca di tutti. Le controversie attorno a questa società si susseguono ormai da anni, ma l’ascesa è incessante. Il brand nasce nel 2008 dall’intuizione di Chris Xu che fonda l’eCommerce con sede a Nanchino. La prima vendita della società riguardava gli abiti da sposa, si è poi spostato sull’abbigliamento femminile con un target specifico per le adolescenti. Negli anni la crescita è esponenziale, riuscendo ad affermarsi tra i maggiori siti di vendita di abbigliamento online grazie al connubio tra prezzi bassissimi e prodotti di scarsa qualità, permettendo, così, un margine di guadagno particolarmente elevato. Ma non è tutto.
Se nei primi anni di successo Shein era “solo” un brand cinese, oggi vengono a galla realtà che, se confermate, sarebbero particolarmente inquietanti.
Shein ha raggiunto una valutazione di 100 miliardi di dollari, salendo nell’olimpo degli eCommerce prima e della moda poi. Un modello di business preciso in ogni dettaglio, dall’interfaccia dell’app particolarmente apprezzata, al catalogo di prodotti infinito e in continuo aggiornamento, passando per una costumer care particolarmente efficiente nonostante gli uffici si trovino all'estero, fino all’introduzione di giochi per vincere premi e, soprattutto, la spinta delle influencer. In Italia, per esempio, recentemente ha prestato il suo volto Cecilia Rodriguez, sorella di Belen, che conta su Instagram una platea di quasi 5 milioni di affezionati. Tuttavia, Shein è da anni nel mirino di ecologisti e di ong impegnati nella lotta per i diritti umani. E se i social come Instagram, ma soprattutto TikTok, hanno consacrato l’eCommerce con migliaia di video di cosiddetti haul (video in cui vengono indossati e recensiti i capi di un brand), le stesse piattaforme stanno veicolando messaggi importanti sul conto della società cinese.

I need your help

È degli ultimi mesi un nuovo trend su TikTok che riguarda proprio Shein. Moltissime ragazze avrebbero notato e filmato le etichette di alcuni capi acquistati in cui apparirebbero, tra le istruzioni per il lavaggio, richieste d’aiuto da parte dei dipendenti di Xu. “I need your help”. E non stupisce che il trend abbia preso piede con le aperture dei vari pop up del brand, tra cui quello di piazza Gae Aulenti, a Milano. Nonostante Snopes, sito specializzato nel confutare fake news, abbia negato la veridicità del fatto, cominciano a insinuarsi i dubbi nei consumatori.
Una pesante accusa arriva dall’Ong Public Eye, che denuncia lo sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche Shein. Secondo l’ente non governativo svizzero, le condizioni dei lavoratori sarebbero alla stregua della schiavitù: 10-14 ore di lavoro al giorno, fino a 75 alla settimana, un giorno libero al mese e stipendi bassi come i prezzi di vendita del sito. Inoltre, gli stabilimenti sarebbero sovraffollati e privi di sicurezza.
Shein ha risposto alle accuse, dichiarando di non avere lavoratori forzati né minori e che più del 60% del materiale usato per la realizzazione dei capi sarebbe riciclato.

inSostenibile

Non vanno meglio le notizie sul fronte sostenibilità. Va premesso che non ci sono prove su come l’azienda si comporti in fatto di emissioni, microplastiche e sostanze chimiche. Il sito edited.com ha paragonato i dati delle più famose industrie del fast fashion con Shein: l’azienda cinese introdurrebbe 314.877 nuove referenze all’anno, contro le 18.343 di Boohoo, 6.849 di Zara e 4.414 di H&M.
Secondo Or Foundation, ogni giorno in Ghana arrivano 15 milioni di indumenti scartati, di cui quasi la metà non trova vita nuova ed entra nel circolo dell’irriciclabile. Una vera e propria discarica a cielo aperto, in uno dei paesi più poveri del mondo che non possiede discariche o inceneritori. Shein si è detto responsabile di parte di questo processo, decidendo di donare 50 milioni in 5 anni, nonostante l'azienda abbia un fatturato che sfiora i 10 miliardi.
In un mondo in cui anche Zara abbandona il low cost, Shein diviene il primo punto di riferimento del fast fashion e la conseguenza di una società “obbligata” alla moda a tutti i costi, all’abito nuovo in ogni occasione, all’imitazione delle figure di riferimento del momento. Mentre i brand nella loro totalità devono alzare i prezzi per far fronte a tante problematiche, o semplicemente alla presa di coscienza di “meritare di più”, Shein colma il vuoto portando al limite il concetto di fast fashion.

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