L’Italia del vino orfana del Vinitaly: quali soluzioni?

I produttori, da Masi a Banfi, da Frescobaldi a Santa Cristina, a Enoitalia, fanno il conto delle perdite su mercato interno ed export e s’interrogano su quali iniziative intraprendere per far ripartire il sistema

Niente Vinitaly 2020. Se ne riparlerà il 18-21 aprile 2021. Ma come rilanciare il settore in sofferenza, in quest’anno di incertezze? Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere,  ha parlato di rinascita. L’ente continuerà a sostenere il business delle aziende italiane sui mercati nella seconda parte dell’anno 2020 con tutta una serie di eventi internazionali, dal Wine South America (23-25 settembre 2020), al Vinitaly Russia (26 e 28 ottobre 2020), al  Wine To Asia (9-11 novembre 2020). Si cerca di pensare positivo. Ma basterà alla luce di una perdita di 39 miliardi di euro di export generati dalle rassegne internazionali per le Pmi europee (compreso indotto) per risollevare il comparto? Secondo un report Ismea il vino è stato tra quelli più in sofferenza, a causa soprattutto della chiusura del canale horeca. Eppure il 2019 era stato positivo con una crescita dell’export del 3,2% per un valore di 6,4 miliardi.

Matilde Poggi è presidente della Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti, che conta oltre 1.300 produttori associati per un totale di circa 13 mila ettari di vigneto. Quasi 95 milioni di bottiglie commercializzate, per un valore in termini di export di 330 milioni di euro. “Vinitaly è cruciale per il business del vino, soprattutto per le aziende più piccole che non possono permettersi di stare via mesi a visitare clienti. Non averlo è una grossa perdita. Ma non c’è solo la sua mancanza a pesare. Tutto dipende da quando il comparto si riprenderà: a fine anno potremmo avere un 30% in meno, essendo ottimisti, ma anche arrivare a perdite del 50% di fatturato. Sarà un anno difficile: il mercato interno dipende tantissimo dall’andamento turistico e il mercato estero era già partito male a inizio anno, nell’attesa di sapere se Trump avrebbe messo i dazi sul vino italiano. Una volta che si è sbloccata quella situazione, e abbiamo potuto spedire negli Usa, è arrivato il Coronavirus”.

Masi, quasi 12 milioni di bottiglie l’anno, nel cuore della Valpolicella, è tra le realtà enologiche più importanti d’Italia, guidata da Sandro Boscaini. “L’annullamento della fiera scaligera lascia un buco enorme. Circa 80-90 Paesi sono presenti con i propri buyer e un terzo dei visitatori è rappresentato da insider del vino che vengono da tutto il mondo.  Una grande opportunità di promozione e negoziazione unica e irripetibile e un volano incredibile”.

Quanto si perde con l’annullamento del Vinitaly? “Secondo l’Osservatorio della Bocconi sulle fiere, l’indotto generato dagli organizzatori è pari a 10-15 volte il fatturato. Veronafiere genera in media oltre 1 miliardo di euro l’anno, dei quali almeno un quarto sono prodotti da Vinitaly -entra nel dettaglio Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere. A questo si aggiunga tutto il resto, compreso il sacrificio di una fiera che ha dovuto posticipare o riprogrammare tutte le proprie manifestazioni primaverili. Lo stop forzato del sistema fieristico in questi mesi ha determinato in Europa non solo un danno, finora, di 6 miliardi di euro al settore, ma anche mancati affari per 39 miliardi di euro per le aziende partecipanti causati dall’annullamento o dal posticipo di oltre 200 fiere a carattere internazionale. Su 20 milioni di imprese attive in Europa, 18 milioni sono Pmi: per il 50% di esse l’export passa dalle fiere internazionali e per il 75% le fiere sono l’unico strumento di marketing”.

In merito alla distribuzione dei vini italiani, il danno pesante è stato accusato dall’Horeca: oltretutto è questo il canale in cui si concentra la vendita delle etichette più pregiate della fascia prezzo superiore e la perdita di questo segmento costituisce un aggravio. Nella gdo c’è stata un’impennata di vendite quando è scattato il lockdown, in linea con  altri prodotti alimentari. Poi una stabilizzazione. “Nei mercati esteri si continua con una certa regolarità a spedire le nostre bottiglie. In molti di essi si ripete lo stesso fenomeno di casa nostra: più vendita in distribuzione, meno nell’Horeca”.

Enoitalia è la prima azienda vinicola privata in Italia per numero di bottiglie prodotte e da anni fra le top 10 del settore per fatturato: “Da sempre partecipiamo agli eventi internazionali del mondo del vino -spiega il presidente Giorgio Pizzolo-.  L’escalation degli annullamenti delle manifestazioni fieristiche è stato repentino e ha colpito tutte le kermesse mondiali del settore. Nel  breve termine ha sicuramente un impatto economico per tutti gli operatori, anche per chi è più proiettato sui mercati internazionali come Enoitalia”.

“Il 2020 non sarà facile: inutile nascondersi dietro alcune belle parole  -sottolinea il marchese Lamberto Frescobaldi della storica e blasonata cantina che produce  in sette tenute e pluripremiata per il suo Chianti Rufina Nipozzano-. Abbiamo però tutti il dovere di irrobustirci, reggere il colpo, avere grinta e non abbassare mai la qualità.  Noi siamo pronti, carichi a molla con tante idee per far stare bene e divertire i nostri affezionati clienti”.

Ci sono anche opinioni meno pessimistiche sulle ricadute. “L’annullamento di una fiera di valenza internazionale come il Vinitaly è sempre una triste notizia per il mondo produttivo -commenta Rodolfo Maralli, Banfi Sales & Marketing Director-. A conti fatti la decisione di annullare la fiera, per taluni anche tardiva nella tempistica, è stata però addirittura salutare e ben accolta dalla stragrande maggioranza dei produttori, noi per primi. Non avrebbe avuto senso farla a giugno, in un periodo ancora incerto per la salute. Inoltre il contemporaneo annullamento di ProWein e di London Wine Fair renderanno ancor più digeribile e comprensibile la scelta di Verona, senza che nessun altro polo fieristico internazionale possa avvantaggiarsi di questo imprevisto stop italiano. Alla fine non ritengo che un simile annullamento possa avere particolari effetti economici, né tanto meno, ripercussioni sul made in Italy. Diciamo che rappresenterà uno dei tanti fattori di criticità, non certamente il più importante”.

Santa Cristina, 80 anni di storia e sede a Cortona, produce 8 milioni di bottiglie, l’80% va in gdo, con l’export che incide per il 60%, dagli Usa a tutta Europa. “Noi lavoriamo fondamentalmente per la grande distribuzione -fa notare Enrico Chiavacci, direttore marketing-: per noi il Vinitaly è un momento di incontro con i buyer ma essendo un’azienda strutturata, non ha alla fine un grande impatto”.

Come ripartire? Dal taglio dell’Iva alle agevolazioni fiscali, e il Coronavirus ha sdoganato l’eCommerce. Bisognerà intervenire anche sull’enoturismo. “Noi vignaioli -afferma Poggi-, grazie alle nostre cantine e agriturismo, siamo tra gli attori principali di questo comparto che dovrà trovare al più presto nuovi sistemi distributivi per ripartire e che potrebbero coinvolgere l’eCommerce. Da diverso tempo sosteniamo, poi, la necessità di avere un ente unico che si occupi della promozione del vino sui mercati esteri: abbiamo bisogno di non disperdere le forze ma di coordinarci  tutti insieme con un immagine forte evocativa del nostro Paese”.

“Sul lato del business -sottolinea Boscaini di Federvini- è di grande interesse agevolare le iniziative di road show del vino italiano all’estero che tra settembre e ottobre sono già programmate. Oltre a Vinitaly, anche quelle del Gambero Rosso e di altre organizzazioni. Certamente c’è bisogno di sognare e di vedere il bicchiere mezzo pieno: dopo l’estate ci auguriamo si possa fare qualcosa”.

“La temporanea chiusura del settore Horeca ha arrecato danni importanti a tutta la filiera dell’agroalimentare italiano, con il vino, ahimè, che pagherà un prezzo salatissimo, specie per quelle aziende, come Banfi, da sempre orientate sul consumo on-trade, che rappresenta il 70% del business italiano e oltre il 50% di quello estero -ricorda Maralli-. Sta tenendo, e per certi versi crescendo, tuttavia, il mondo della gdo e di molto la vendita online”.

“L’inizio dell’anno è stato positivo. Poi con il passare delle settimane la situazione è diventata sempre più complicata ma -sottolinea Chiavacci- come tutti i brand più conosciuti e attrezzati con la gdo, Santa Cristina non è tra quelli più penalizzati. La ripartenza ce la immaginiamo lenta nei consumi e potrebbe durare nel tempo. Gli scenari potrebbero cambiare nel livello di prezzo medio di acquisto. La gdo è certamente pressatissima dalle aziende che hanno giacenze: sarà importante non cadere nella tappola dell’eccessiva promozionalità che, a parità di consumi globali, ridurrerebbe le marginalità dell’industria e della distribuzione”.

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Il mondo del vino (lo bevono quotidianamente il 18,2% degli italiani, dati Istat) è in fermento, sospinto dalle nuove generazioni che cambiano le carte in tavola. E chiedono una beva più easy e responsabile, attratta dalla sperimentazione. La riscoperta dei vitigni autoctoni, l’esplosione delle bollicine, la crescita a doppia cifra dei vini bio (mercato che salirà del 14% entro il 2022 secondo un’indagine condotta da Reuters) il nuovo appeal dei rosati, la novità dei vini arancioni, sono solo alcuni uno dei tratti di questa rivoluzione che guarda anche alle possibilità offerte dalla digitalizzazione in chiave di new experience. Com’è cambiato il consumatore di vino negli anni? “Vinitaly è da sempre un incubatore di tendenze. Tra le sue funzioni c’è anche quella di fare da talent scout dei produttori che emergeranno -spiega ancora Mantovani-. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’evoluzione del consumatore, passato dalla quantità alla qualità, anche se non necessariamente a denominazione di origine. Questa tendenza si riflette anche negli acquisti nella grande distribuzione. Inoltre, siamo di fronte a un cambio generazionale dei consumatori, che stanno portando anche nel mondo del vino nuovi gusti. Conseguentemente le insegne commerciali stanno prestando sempre più attenzione alle richieste dei propri clienti, con un’attenzione particolare anche al packaging, perché i prodotti non devono essere solo qualitativamente adatti, ma anche attrarre il consumatore”.

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Come vengono riorganizzati gli spazi  a scaffale per intercettare una domanda che si fa sempre più segmentata?  La risposta dei retailer è semplice: si alza la qualità e lo scaffale si fa più articolato.

Prima della pandemia era in atto un tentativo anche deciso di incrementare la socialità legata al consumo specifico di vino. Degustazione in store, aiuto per gli abbinamenti, corsi di sommelier per un’offerta sempre più professionale. Se il grocery  dovesse riprendere il suo percorso verso forme ibride di grocerestaurant, diventare mercato e ritrovo sociale, sarà necessario che il vino si apra a quella dimensione comunitaria. La degustazione trasferisce conoscenze al consumatore finale così come i sistema informativi consentono la mappatura delle caratteristiche organolettiche dei vini, il corretto abbinamento e l’indicazione delle temperature di servizio in modo tale da creare un ‘frontalino parlante’, che a colpo d’occhio agevoli la scelta consapevole del consumatore.

Intanto la mdd cresce e guarda anche al bio. La quota di mercato del vino mdd è arrivata in condizioni normali preCovid al 14% di tutto il vino venduto nella gdo per un valore di 156 milioni di euro (circa il 10%). Ha dimostrato di saper crescere di più del prodotto di marca pur non disponendo di spazio dedicato . I vini mdd rientrano per ora sempre all’interno della zona cantina, nella divisione degli spazi in base alla Regione geografica, per mantenere il più possibile una sola chiave di lettura per tutti i moduli.

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