Lo human game e le variabili virtuose

Grazie al riemergere della dimensione umana, prende nuovamente vita l'importanza del gioco. Attività che esprime sfida e condivisione (da Mark Up n.257)

L’appello allo human touch ha ormai superato il riferimento ossessivo al digitale di qualche tempo fa. Nel considerare i dispositivi digitali ormai parte integrante della nostra vita quotidiana, ecco che riemergono e vengono valorizzati tutti gli aspetti più squisitamente umani della vita e delle nostre relazioni. In questa prospettiva la dimensione del gioco rappresenta la condizione stessa dell’umano e delle sue dinamiche. Lo hanno raccontato mirabilmente Johan Huizinga in Homo ludens e Roger Caillois ne I giochi e gli uomini. I giochi sono stati descritti e analizzati come attività più o meno strutturate dell’umano che esprimono abilità, intelligenza, condivisione, sfida, divertimento. Del gioco in altre parole gli uomini non possono fare a meno: l’esistenza di ciascuno -privata dalla dimensione ludica che le è propria- sarebbe più triste, meno vitale e avvincente. Anche per questo il diritto al piacere del gioco deve essere difeso e protetto dalle sue possibili manipolazioni che spesso determinano la diffusione delle ludopatie. Per comprendere questo fondamentale passaggio torna utile uno dei classici dell’antropologia che abbiamo appena citato. Roger Caillois in I giochi e gli uomini, partendo da una dimensione psico-culturale, distingue quattro categorie di giochi: la categoria dell’agon, da cui discende la competizione agonistica; la categoria dell’ilinx, nel senso della vertigine tipica dei giochi di spaesamento come la giostra o la mosca cieca; la categoria della mimicry, che riguarda i giochi di mascheramento (l’esempio emblematico è costituito dal Carnevale e dalle feste in maschera) e di simulazione (come nei giochi di ruolo a cui sono ispirati anche molti videogames). La quarta e ultima categoria è rappresentata dall’alea, che comprende i giochi di fortuna e di azzardo, che hanno negli ultimi anni cannibalizzato le altre dimensioni. La logica emergente della gamification riguarda, infatti, soprattutto questa ultima categoria, se escludiamo una (minima) presenza anche nella categoria della mimicry e dei giochi di ruolo, che trasforma i giocatori in protagonisti di storie e avventure, come avviene per alcune attività promozionali rivolte soprattutto ai giovani consumatori. L’esperienza di gamification che ricade nella dimensione dell’alea richiede, oggi, una riflessione più profonda e articolata che si incrocia peraltro con variabili significative per una difesa dei diritti dei consumatori, come hanno ben intuito Massimiliano Dona e il team dell’Unione Nazionale Consumatori che ha scelto questo tema per la decima edizione del Premio Vincenzo Dona. Non possiamo, quindi, dimenticare che gravi forme di ludopatia -che nell’ambito delle dipendenze hanno ormai conquistato il triste primato, nel nostro Paese, della più rapida diffusione- riguardano ormai più di un milione di italiani. Cittadini che, con le loro famiglie, si trovano a fronteggiare una permanente “coazione a ripetere” che può risultare devastante dal punto di vista medico, sociale ed economico, con scarse strutture di welfare pubblico a supporto e sostegno. Anche nel mondo del retail e del consumo troppo spesso con l’alibi della gamification si tende a nascondere forzature al limite della truffa a spese dei consumatori/clienti/giocatori, non sufficientemente consapevoli e informati sulle condizioni di partenza delle loro sfide. Come ha raccontato Chiara Valerio nel suo recente libro Storia umana della matematica, la scienza della probabilità ha le sue regole che ad esempio possono essere svelate nella semplicità di un gioco che tutti prima o poi nella vita hanno praticato, tentando la fortuna: il lotto. Sulla base delle evidenze matematiche illustrate dall’autrice, il lotto come viene oggi proposto dallo Stato si fonda su un calcolo oggettivamente “disonesto”. Scrive Chiara Valerio: “In matematica si chiama onesto o equo un gioco che paga al giocatore, in caso di vittoria, una somma pari all’importo giocato moltiplicato per il reciproco della probabilità di vittoria.  La matematica del lotto è facile, bisogna solo saper contare: la probabilità di estrarre una cinquina è 1/43.949.268. Ci vuole fortuna! Se il lotto fosse un gioco equo, dovrebbe pagare esattamente 43.949.268, ma poiché è molto poco equo, paga circa 6 milioni. Il banco lotto, lo Stato, vince più del banco di un Casinò. La roulette è un gioco più onesto. Scommettendo 1 euro, in caso di vittoria, l’incasso dovrebbe essere circa 2,05 euro, il banco ne paga 2”. Fine della citazione che ci aiuta a cogliere il punto: da un lato informare con trasparenza il giocatore/consumatore sulle reali (minime) probabilità di vittoria, e dall’altro ridurre almeno in parte l’enorme squilibrio probabilistico che oggi è tutto a vantaggio dello Stato. Ma esiste invece una variabile “virtuosa” della gamification che si trasforma in educazione per i più piccoli e in motivazione per i più adulti verso comportamenti più sani. Proponiamo dunque due esempi che arrivano dal mondo delle banche e della salute: Klever Cash e Dietbet.

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