Smart working ai tempi del Covid-19: 1 donna su 3 lavora più di prima

Non solo. Secondo la ricerca #iolavorodacasa condotta da Valore D il carico famigliare continua a gravare principalmente su questo target

Dei tanti lati positivi dello smart working abbiamo parlato spesso, ma con l'impennata che la pratica ha subito di recente a causa dell'emergenza coronavirus Covid-19 arrivano anche i primi dati e riflessioni sul suo "lato oscuro". A rilevare alcune conseguenze negative del lavoro agile, in primis per il mondo femminile, è la ricerca #iolavorodacasa condotta da Valore D.

La prima conferma che arriva è che al momento il 93% degli intervistati (1300 lavoratori, dipendenti e non, di multinazionali e pmi) sta lavorando da casa. L’analisi racconta anche che il 60% del campione femminile dipendente era già abituato a lavorare in questa, con flessibilità di orario e spazi.

Ma lo smart working richiede una grande disciplina personale, la ricerca di una postazione di lavoro tranquilla e isolata, orari determinati - tutti aspetti non facili da mettere in atto in un momento di convivenza familiare forzata. Emerge quindi che, in questo periodo, 1 donna su 3 lavora più di prima e non riesce, o fa fatica, a mantenere un equilibrio tra il lavoro e la vita domestica. Tra gli uomini il rapporto è di 1 su 5.

La ricerca conferma che la responsabilità della cura famigliare continua a gravare in prevalenza sulle donne che, soprattutto in questa situazione di emergenza, fanno fatica a conciliare la vita professionale con quella personale. Sarebbe invece auspicabile che proprio momenti di crisi come questi potessero aiutare a sviluppare una maggiore corresponsabilità genitoriale che alleggerisca la donna dal duplice carico famigliare e professionale - Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D

Ciò nonostante, in merito a questa problematica, oltre il 60% delle donne ha espresso sentimenti “positivi e di rinnovamento”, mentre il restante 40% vive questo periodo con ansia, rabbia e confusione. Ciò è particolarmente vero nella generazione delle Millennial, che si sentono più confuse rispetto alla generazione delle Baby Boomer (22,8% le prime contro il 6% delle seconde).

La resilienza” è un aspetto che caratterizza in modo importante la fascia femminile sopra i 40 anni. Oltre il 48% di loro ha espresso una forte capacità  di affrontare e superare questo periodo di difficoltà, contro l’11% delle donne sotto i 30 anni. In compenso, la speranza” è un sentimento trasversale che in questo momento accomuna le donne di tutte le generazioni con un leggero incremento tra chi ha meno di 40 anni.

LE AZIENDE
E delle aziende, cosa si pensa?
Quasi la totalità degli intervistati (90%) ritiene che siano intervenute prontamente e che spesso abbiano “anticipato le disposizioni governative”. Le aziende si sono mosse su due fronti, quello tecnologico e quello relazionale, favorendo lo smart working in termini organizzativi con strumenti adeguati e supporto It, ma anche proponendo “attività di formazione in remoto”.

Il management fa sentire la sua vicinanza aumentando i contatti con i dipendenti con mail, web conference e telefonate motivazionali e di incoraggiamento, spesso “rispondendo live a tutte le domande sullo stato del business e rassicurandoci sulla solidità della filiale italiana”.

Anche la dimensione ludica aiuta a tenere alto il morale. Alcune aziende mantengono viva la Community attraverso il “gruppo Facebook aziendale o apposite piattaforme utilizzate per attività sia business che leisure (sport, cucina...)”. Importanti si rivelano anche le relazioni tra colleghi che, per condividere la difficoltà del momento e allentare la tensione, si ritrovano per “pause caffè e pranzi virtuali, video call di gruppo”.

 

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