Lo spazio per le marche è molto più ampio

Le opzioni di manovra a disposizione dell’idm sono cambiate, sintonizzarsi con il consumatore non è semplice. Ecco cosa ne pensa Luigi Bordoni, presidente di Centromarca (da Mark Up n. 255)

Mettersi  in  sintonia  con  il  consumatore  oggi  è  più difficile per l’impresa o per la marca? Abbiamo posto il quesito a Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, cercando di tratteggiare lo scenario in cui si muoveranno aziende e marche nei prossimi mesi. “La copertina dell’ultimo numero di Harvard Business Review pone una domanda perentoria, di portata globale, a tutte le imprese: What do customers really want? -risponde Bordoni-. Siamo in una fase storica di sovrabbondanza dell’offerta di prodotti e servizi;  le  alternative  di  scelta  si  moltiplicano  ogni  giorno in tutti i settori e gli autori dell’articolo vanno  dritti  al  punto,  invitando  le  aziende  a  guardarsi  dentro e a chiedersi se stanno realmente rispondendo alle esigenze attuali del consumatore”.

L’industria di marca lo sta facendo?
In un contesto competitivo come quello attuale non farlo sarebbe una scelta suicida. Certo mettere a punto  strategie  o  scelte  tattiche  vincenti  non  è  semplice. Chi cresce sta dando le risposte giuste al consumatore,  mentre  chi  non  incrementa  dovrebbe  porsi  qualche domanda e verificare i correttivi da adottare. La distillazione intelligente dei big data può offrire strumenti di supporto decisionale utili per aggiustare il tiro e rimettersi in sintonia con il consumatore. Ma attenzione: la tecnologia non è la panacea di tutti i mali. Il digital offre strumenti straordinari, ma illusori se, a monte, mancano analisi, strategie, giusti contenuti sotto forma di prodotti, marketing e comunicazione.

Sui mercati si vedono esercizi di brand stretching molto impegnativi, non trova?
Senza  dubbio  stiamo  assistendo  a  scelte  aziendali  che, fino a qualche anno, fa non sarebbero sembrate possibili.  Se  contestualizziamo  le  decisioni  dei  capi d’azienda e le mettiamo in relazione con le istanze del consumatore -che desidera prodotti contraddistinti da ricettazioni più semplici, funzionali a stili di vita più attivi e meno domestici, sostenibili, ecc. ci rendiamo conto che lo spazio di manovra a disposizione delle grandi marche è molto ampio. Anche la moderna  distribuzione,  del  resto,  sta  lavorando  per  differenziare la sua offerta, rivedendo logiche di canale, ridisegnando assortimenti, attualizzando il servizio sul punto di vendita. Basta pensare al fatto che Lidl, il primo discounter sbarcato in Italia nei primi anni Novanta, si è riposizionato assumendo l’identità pubblica di supermercato.

Si tratta di cavalcare meglio un consumatore alla ricerca di un benessere “ideologico”?
Alcuni comportamenti di consumo lasciano perplessi: ci sono prodotti destinati ai portatori di determinate patologie che sono consumati correntemente anche da persone che non ne soffrono. In altri casi, sono stati demonizzati in modo ingiustificato ingredienti o processi produttivi. Questi comportamenti ci dicono  che  ci  sono  delle  falle importanti  nell’educazione alimentare del consumatore, non a caso facilmente influenzabile anche da trasmissioni televisive od articoli che sembrano progettati per veicolare pregiudizi contro tutto ciò che è di origine industriale. All’industria, ma anche alla moderna distribuzione, spetta il compito di spiegare meglio al consumatore i prodotti, il “come si fa”, i perché di alcune scelte.

È più facile cambiare il prodotto che trovare un nuovo storytelling credibile?
Tutto è più difficile. Il ciclo di vita di una referenza sul mercato può essere molto breve. Non voglio dire che andiamo incontro a una fase storica in cui i prodotti  hanno  durate  limitate,  ma  che  il  successo  del  brand è legato alla sua capacità di riproporsi e riattualizzarsi in modo lineare e credibile per il consumatore. Significa lavorare sulla referenza e sulla strategia  complessiva  di  comunicazione  senza  perdere  di vista le radici del brand nè rinnegare le varie fasi della storia del prodotto, un punto di forza rispetto ad unbranded e private label, oltre che uno straordinario antidoto alla banalizzazione delle categorie.

Previsioni per il 2017?
Il pressing sul Governo ci ha consentito di evitare, per il secondo anno consecutivo, l’aumento dell’Iva, che avrebbe inciso pesantemente sui consumi. Nel sistema industriale sono prevedibili interventi di assestamento, acquisizioni, riposizionamenti, razionalizzazione dei portafogli prodotto e nuovi lanci. È auspicabile  un  intensificarsi  degli  investimenti  in  comunicazione, con un mix simile a quello del 2016. Molto è stato fatto in ambito digital, ma molto resta da fare -e forse da capire- in un’attività che mette il dialogo permanente con il consumatore al centro dei piani di marketing. Dialogo sempre più necessario a fronte della continua evoluzione dei comportamenti di acquisto, che ci costringe a ridefinire le logiche mass  market  cui  siamo  stati  a  lungo  ancorati.  I  retailer più dinamici continueranno ad impegnarsi in nuove aperture, ristrutturazioni, acquisizioni, attività di comunicazione con cui rafforzare la loro identità corporate. Non escluderei nuovi movimenti nelle alleanze di acquisto in Italia e all’estero. La direzione è la concentrazione.

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