Digitale e Pmi: uno stato di profonda necessità anche nel retail

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Poche imprese riescono a investire e utilizzare fondi per crescere digitalmente. Ne trarrebbe grande vantaggio il commercio di prossimità con nuovi business model

Un accorto e creativo utilizzo delle tecnologie digitali ha un duplice valore: da un lato contribuisce ad innovare la proposta di valore dell’impresa (in termini di personalizzazione, ad esempio); dall’altro impatta sull’innovazione dei processi che, a monte e a valle della catena del valore, permettono la realizzazione e il posizionamento sul mercato di tale proposta. Ecco spiegato perché la digitalizzazione, specialmente nell’attuale contesto pandemico, rappresenta una tappa obbligata del processo di crescita per soggetti più a rischio dallo shock Covid-19, come lo sono le PMI.

Dalla crisi, però, sta emergendo una nuova consapevolezza sul tema da parte delle piccole imprese e pare che lo scossone della pandemia abbia accelerato la digitalizzazione, come dimostra lo studio del secondo Osservatorio Piccole Imprese Italiane di Credimi, focalizzato sulla digitalizzazione e realizzato da Nextplora. Infatti, dal campione di 1.200 aziende con fatturato fino a 10 milioni di euro, suddivise in parti uguali tra i settori di industria, commercio, edilizia e servizi e analizzate per forma giuridica (ditte individuali, società di persone, società di capitali) dal suddetto Osservatorio, la digitalizzazione risulta essere “una tappa fondamentale del processo di crescita” dell’azienda per il 43% delle imprese individuali, il 35% delle società di persone e il 30% delle società di capitali italiane.

La trasformazione digitale, a cui sono collegate la personalizzazione di prodotti e servizi, l’affermazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento delle opportunità di collaborazione per le PMI è ancora intralciata da mancanza di sufficienti risorse di capitali, sia umani (persone tech-savvy capaci di diffondere in know-how digitale in azienda) sia finanziari. A questo proposito basti pensare come gli investimenti spesso siano sostenuti con fondi propri, con un quasi nullo utilizzo di prestiti bancari o finanziamenti regionali, statali ed europei. Un cambio di rotta potrà forse arrivare dal Recovery Fund europeo (il nome “ufficioso” del Next Generation EU) che è stato costruito proprio per sostenere la trasformazione ambientale e digitale.

Ad oggi, permane il fatto che meno di un terzo dei piccoli imprenditori ricorre al credito bancario per sostenere questi processi e che in pochi sono a conoscenza degli incentivi regionali, statali ed europei: sempre secondo la suddetta fonte, il picco più alto di ricorso agli incentivi è dell’8% per le società di persone, mentre le ditte individuali e le società di capitali sono ferme rispettivamente al 3% e all’1%. Lo studio e l’approfondimento degli strumenti a disposizione degli imprenditori rappresenta, quindi, il punto di partenza di tutto l’iter trasformativo, anche in virtù delle specificità di ogni PMI.

Tuttavia le PMI necessitano di soluzioni e approcci specifici e non sono ricettive al mero trasferimento delle soluzioni ideate per le grandi imprese. Aspetti come la capacità di generare ed utilizzare in modo strategico gli insight (grazie all’elaborazione dei Big Data), la gestione del brand e delle sua reputation anche sui social media e alla luce degli user generated content e la misurazione dell’efficacia delle attività di marketing digitale, specie in termini economico-finanziari, rappresentano qualcosa di copernicano per le realtà più piccole, molto legate alla territorialità. In questo frangente, la sfida da giocare sta molto nella valorizzazione di quello che è il commercio di prossimità, capace di controbilanciare le incertezze (in questo momento più forti) dell’export.

In merito alla questione territorialità, è interessante andare a vedere i risultati dell’ICity Rank 2020, da cui emergono Firenze (primo posto), Bologna (secondo posto), e Milano (terzo posto) come le città più digitali d’Italia. In questo frangente, si nota come l’impatto dell’emergenza Covid-19 abbia accelerato la trasformazione digitale delle città italiane, ma non in modo uniforme. Le città metropolitane e del Nord risultano le più avanzate, con al quarto Roma Capitale, seguita poi Modena, Bergamo, Torino, Trento, Cagliari e Venezia. Indietro il Sud, con le eccezioni di Cagliari, Palermo, Lecce e Bari, nonostante abbia investito di più in termini di digitalizzazione: il 40% delle imprese del sud ha investito nel sito web e nei social (contro il 36% del Nord e il 23% del Centro Italia), il 22% in piattaforme e-commerce (contro il 13% di Centro e Nord), il 20% in marketing digitale (16% al Centro e solo 9% al Nord). Ciò è dovuto all’ampio divario, che, nonostante tutto, non è ancora colmato e su cui c’è molto da lavorare.

Da sottolineare è, inoltre, la reazione delle zone più pesantemente impattate dalla pandemia. Si evidenzia una “reazione digitale” di chi ha sofferto di più nell’emergenza: cinque tra le prime sette città per incremento di decessi si collocano nelle prime 30 posizioni della graduatoria. Troviamo Cremona (18° posto in classifica), Bergamo (6° posto), Piacenza (30° posto), Brescia (15° posto), Parma (11° posto), città intermedie, che duramente la pandemia hanno saputo proseguire il percorso di trasformazione digitale utilizzando gli strumenti che avevano costruito negli scorsi anni e introducendone di nuovi.

Prendendo in esame i diversi indicatori oggetto dell’indagine di ICity Rank 2020, si nota come le città siano a buon punto sulla digitalizzazione delle attività amministrative e sul rapporto con i cittadini, seppur con disparità territoriali. Si pone, però, il problema della diffusione di una cultura digitale, sia all’interno delle amministrazioni che tra i cittadini, e conseguentemente nelle realtà imprenditoriali, dove la percezione della rilevanza del digitale sul proprio business è molto frammentata.

Per quel che riguarda l’implementazione e l’interconnessione delle reti intelligenti nelle città, invece, si è ancora in fase embrionale per comprensione delle opportunità esistenti ed effettivo utilizzo. Questo percorso è, tuttavia, necessario per condurre le città verso i modelli più avanzati di Smart City, quelli delle cosiddette “Responsive and adaptive cities“, capaci di raccogliere e utilizzare al meglio le informazioni per gestire i servizi e prendere decisioni coinvolgendo tutti gli attori disponibili, risultando particolarmente strategico per quello che è il futuro delle PMI.

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