Lo stato dell’influencer marketing in Italia: più budget, emerge il creator

Foto courtesy di Gerd Altmann da Pixabay
Cresce il divario tra "dilettanti" e aziende più evolute, che implementano programmi di nurturing per trasformare gli influencer in brand lover

Un mercato in continua evoluzione ed ascesa anche nel nostro Paese, quello dell'influencer marketing. Le stime Upa ci dicono che gli investimenti in proposito nel 2021 in Italia si aggirano sui 272 milioni di euro, con un incremento a doppia cifra (+12%) rispetto al precedente anno destinato con grande probabilità ad aumentare ulteriormente. Si tratta di cambiamenti quantitativi che spostano il budget dai media tradizionali, arrivando a punte del 50% del totale spending in comunicazione, ma anche di cambiamenti qualitativi sia di performance sulle piattaforme che di approccio strategico su più fronti: processi, gestione degli influencer stessi e delle audience e così via.
A tracciare questo scenario è il nuovo report 2022 di Buzzoole, che ha intervistato diversi esperti sul tema allo scopo di ottenere un'analisi più critica dei dati.

Il gap tra modelli evoluti (che aumentano) e acerbi

I risultati del documento ci dicono innanzitutto che cresce il divario di gestione e competenze in ambito di influencer marketing tra aziende "più neofite" ed evolute (come peraltro sta avvenendo su altri temi quali lo smart working). Le realtà più all'avanguardia, pari a circa il 30% del mercato large account italiano, sono in crescita rispetto al 2020 (+5%) e strutturate con un team interno (dove si assumono stabilmente creator precedentemente coinvolti nelle campagne), tool tecnologici per agevolare l’operatività e delegando parti del workflow a fornitori esterni. Un modello dunque ibrido ma con una forte squadra in house (come quello descritto da Massimo Bellato, head of digital marketing di Esselunga, sul prossimo numero di Mark Up - novembre 2022). I brand nella fase “adolescenziale” (young), dall'altro lato, appaiono più che altro disorientati davanti ad un’offerta di mercato che percepiscono come frammentata e li porta ad affidarsi ad agenzie esterne per gestire l’intero processo. Tutte le aziende, d'altro canto, sembrano prestare bene o male maggiore attenzione ai dati e a una corretta lettura degli stessi, chiedendo ai fornitori supporto più o meno specializzato in tal senso.

Una nuova relazione con creator "competenti"

Polarizzato tra modelli maturi ed acerbi anche il rapporto con quelli che ormai si tende a definire creator, più che influencer. Come visto, in alcuni casi le aziende più evolute assumono, dopo una collaborazione, questi ultimi come parte del team. Molti manager tendono anche a sviluppare con i creator una relazione diretta, con programmi di nurturing che puntano a farli diventare brand lover. Come spiega il report, in sintesi, si cura maggiormente la relazione con gli stessi anche consci del fatto che si tratta altrimenti di figure con un certo potenziale di rischio e di difficile "controllo", in particolare su un canale in ascesa come TikTok.
In linea con quanto sopra una maggiore attenzione ai micro influencer, considerati leva strategica. Dai player più avvezzi all’influencer marketing, infatti, i micro influencer sono visti come esperti capaci di produrre contenuti autorevoli e credibili, portatori di pubblici attenti, anche se di nicchia, volti nuovi meno sfruttati commercialmente. In una campagna complessa, non a caso, si arriva a coinvolgerne anche centinaia (spesso sono meglio tantissimi "piccoli" capaci di rendere partecipe un target ricettivo, anziché un "grande" che si rivolge al mass market).
Non a caso, in futuro, secondo i brand, sul mercato resteranno solo "gli influencer che avranno qualcosa da dire" assumendo la connotazione appunto di competenti, divulgatori o talenti (laddove in ambito artistico). "In questa sua diversa dimensione, il creator è destinato ad entrare nell’orbita del brand attraverso collaborazioni più strette e di lungo periodo".

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