L’opulenza è fin troppo visibile, così nasconde ripetute rinunce

I Consumi – I mancati acquisti degli italiani colpiscono principalmente la produzione interna e condannano in primis il sud del paese(da MARKUP 202)

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Ragionando di consumi e consumatori, quello che talvolta ci pare opulenza è, in concreto, frutto di altre rinunce. Alcuni esempi ovvi: è certamente vero che sulle nostre strade ci sono, spesso, più auto di quante potrebbero circolare dignitosamente (dal punto di vista di conducenti, passeggeri e ambiente circostante). È altrettanto vero che non conosciamo persone prive di almeno un cellulare né frequentiamo abitazioni con meno di due schermi televisivi. È vero, infine, che i nostri figli dispongono di un cospicuo numero di scarpe alla moda, molte delle quali da portare rigorosamente con i lacci sotto la linguetta (grazie ai super-poteri dei social network, viceversa non me lo spiego). Ma che ne è della qualità della nostra alimentazione? Della frequenza con cui acquistiamo capi d’abbigliamento classici o con cui ci rechiamo in vacanza? Cosa ne è stato delle vacanze lunghe di una volta o del cambio dei mobili? Quanti sacrifici facciamo per aggiustare il tempo di lavoro con il tempo libero, rinunciando a spettacoli, intrattenimenti e svaghi di altro genere? E la gioielleria per segnare le tappe importanti delle nostre vite?

Declino comune
Le medie, certo, nascondono molto. Qualcuno si è arricchito sempre di più, altri di meno, taluni hanno fatto a ritroso parecchi gradini nella scala sociale e nel livello di benessere fruito. Ma la sensazione e le evidenze empiriche dicono che, salvo eccezioni, è il paese tutto che rischia il declino. In primis, in termini di consumi. Gli ultimi dati confermano la stagnazione della spesa delle famiglie anche nel 2010. È molto grave, perché i consumi italiani si rivolgono per circa l’80% a produzione nazionale: senza la spinta proveniente dai consumi le nostre imprese non incrementeranno gli investimenti produttivi né svilupperanno l’occupazione.

Senza ricette
Dalle pieghe delle statistiche sui consumi emergono i riflessi dei pasticci strutturali italiani. Tra il 2008 e il 2010, c’è un solo aggregato di spesa che cresce (incurante della recessione): abitazione ed energia. Cioè: affitti, acqua, luce, gas per vari usi e altro. Voci che, più o meno, si riferiscono a beni e servizi offerti in regimi scarsamente concorrenziali, su mercati opachi e densi di asimmetrie tra acquirenti e fornitori. In una parola: mercati che necessitano di essere maggiormente liberalizzati.
Le conseguenze sono serie: la quota di spesa per questi consumi cresce, per la media delle famiglie, dal 32,2% del 2008 al 33,7% del 2010. E per gli anziani che vivono soli, l’Istat indica un’incidenza di queste spese pari al 47,8%. Si tratta di un ulteriore indice di vulnerabilità.
Di recente, qualche intellettuale particolarmente illuminato ha deciso che la crescita è inutile o addirittura dannosa. Io, invece, sto con il Presidente Draghi che scriveva qualche tempo fa: ”Una crescita sostenuta è base di benessere; è presupposto per la stabilità finanziaria (…); è futuro per i giovani, dignità per gli anziani”.
Come tornare a crescere? Non lo so e non è tempo di ricette (ne circolano troppe), ma si possono indicare delle priorità: rilancio del Mezzogiorno attraverso il turismo; riduzione della pressione fiscale investendo parte del gettito derivante dalla lotta all’evasione per la riduzione delle aliquote legali; liberalizzazioni seguendo le indicazioni dell’Antitrust e semplificazione burocratica rendendo effettivi i buoni principi del ministro Brunetta.

Sono (per ora) 200 € in meno
I dati aggregati per l’Italia nel complesso parlano chiaro. Il reddito medio disponibile per persona, al netto dell’inflazione, era 17.000 euro nel 2010, inferiore di 200 euro rispetto al 1990. La spesa per consumi nel 2010 è stata pari a 15.400 euro a testa, anch’essa inferiore di 200 euro rispetto a dieci anni prima. Da questi numeri non si può prescindere: i numeri della bassa crescita e dello sviluppo tradito, i numeri della mancata ricompensa per gli sforzi fatti per avere l’euro.

  Esiste un problema Mezzogiorno  
  La stretta correlazione esistente fra consumi e prodotto nazionale, rappresenta in assenza di una domanda vivace un problema particolarmente insidioso per il sud. L’indagine dell’Istat dice che le peggiori performance dei consumi per famiglia si riscontrano costantemente nel Mezzogiorno. In termini correnti, il nord nel 2010 è tornato ai livelli del 2007, ma il sud nello stesso periodo ha perso il 4,4%. Considerando poi che nel Mezzogiorno del paese non solo la popolazione è stabile o decrescente, in ragione di una forte ripresa dei flussi migratori da sud a nord, ma addirittura il numero di occupati dal 2004 a oggi si è ridotto di oltre 200.000 unità, dobbiamo concludere che i divari territoriali si acuiscono. È evidente il rischio per l’agibilità di un federalismo realmente efficiente e solidale.  
     

 

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