Se è vero che i Millennials anche quando si parla di lusso preferiscono un’esperienza qualitativa a un prodotto di alta gamma, il discorso per la successiva generazione Z, quella dei nati dopo il 1995, non potrà che progredire su questa scia. Le dinamiche di marketing devono conseguentemente calarsi in un contesto sempre più virtuale e immateriale, dove i dati sono la nuova moneta di scambio e la connessione uno stato permanente e intangibile.
Ai più giovani, sostanzialmente, i brand non interessano. Sono dei «technoholics» (tecno-alcolisti) completamente assorbiti dai loro mondi e dal loro flusso comunicativo
A spiegarlo nel corso di una conferenza sul tema è Dan Pankraz (in foto), esperto di youth marketing e partner strategico di Nike Europa.
La svolta, quindi, sta tutta nella capacità di scaldare la relazione con la marca attraverso fiammate di coinvolgimento, nel dare vita a frizioni con il mondo culturale e degli eventi più chiacchierati. È in atto il passaggio a un modello mentale di tipo open source. Come sottolinea Pankranz:
È tutta una questione di intimità, autenticità e spontaneità, ma anche di capacità di stupire sperimentando nuove formule. Un esempio calzante? La recente partnership tra Nike e Airbnb per annunciare l’arrivo di Kevin Durant nella squadra Golden State Warriors dell’Nba. Invece di lanciare una massiccia e più costosa campagna con il testimonial, Nike ha scelto la strada della collaborazione inusuale, lanciando un contest che ha permesso a un residente di San Francisco di passare una notte in un’esclusiva gallery artistica interamente dedicata al giocatore di basket.
L’iniziativa, evidentemente studiata in linea con il contesto d’interesse statunitense, ha avuto una grande risonanza e riscontro positivo soprattutto tra l’audience giovane.
