Le previsioni sul futuro di un qualsiasi settore sono un esercizio la cui complessità dipende dalla velocità con cui l’evoluzione corre, e dal grado di compenetrazione di settori disgiunti o lontani nel presente. Parlare del retail futuro a lungo raggio, sconta queste due condizioni. Siamo in un’era in cui, secondo gli esperti, le tecnologie sono esponenziali e stanno uscendo dall’ansa a bassa pendenza per entrare nel tratto ripido. Nei prossimi cinque anni, l’innovazione sarà maggiore dei precedenti cinquanta. Inoltre la digitalizzazione sta “fondendo” settori fino a ieri disgiunti. In queste pagine Mark Up ha raccolto le opinioni di esperti di vari settori che danno un quadro d’insieme da cui è possibile prendere spunto per una discussione. Da diversi anni Mark Up segue il cambiamento del mondo del retail e dell’industria del largo consumo. La seguente è una sintesi di quanto osservato finora proiettandola nel futuro distante. Le condizioni al contorno assunte sono che non si considerano eventi di sistema che possano bloccare l’evoluzione e addirittura farla arretrare. Fenomeni di rottura traumatici come l’esaurimento delle risorse ambientali, le crisi demografiche e migratorie o ancora il degrado ambientale e il surriscaldamento sono sopra tutti i fenomeni correnti, ma rendono lo scenario, come dicono i matematici, indecidibile. Per cui l’esercizio previsionale è al netto di questi fenomeni sistemici e si dà per assunto che l’innovazione tecnologica continui ad essere il drive di sviluppo e che possa dare soluzioni negli ambiti di crisi globale.
Uno dei fenomeni in atto destinato a consolidarsi ed accelerare è la convergenza. Il digitale sta facendo convergere non solo più funzioni in unico dispositivo ma anche più settori in unico spazio di variabilità. Basti pensare alla compenetrazione tra It e finanza e alla trasformazione di ogni processo in flusso digitale. Il retail è uno degli ambiti più convergenti, anche se con un percorso complesso. Le tecnologie digitali hanno consentito al consumatore di avere tutta l’offerta nello smartphone e di poter comparare in tempo reale le offerte. Questo ha generato un nomadismo e infedeltà. In una seconda fase, già iniziata, l’Ai sta alimentando le retail machine dei player più importanti che, grazie ad algoritmi sempre più affinati, sono e saranno in grado di relazionarsi con il consumatore in un rapporto personale. Questo trend proseguirà evidenziando il rischio di chiudere il consumatore in una “bolla” di offerte in cui ogni proposta è calibrata sul profilo del soggetto. Una delle criticità sarà quindi il confinamento del consumatore all’interno della sua history di profilo. Così l’accesso dai dispositivi personali ai maggiori hub commerciali produrrà delle offerte diverse dall’accesso indistinto. Una situazione che avvantaggerà i retailer e i big player del digitale che attraverso una “policy etica” spasmodicamente studiata incrementeranno le asimmetrie tra le condizioni contrattuali e la disponibilità delle persone di acquisirle. In altre parole, per godere dei servizi gratuiti che la rete digitale offre, il costo di utilizzo in termini di presidio delle condizioni sarà eccessivo per il consumatore generico. Questa fase, già in essere nei nostri giorni, non durerà a lungo perché l’arrivo di servizi sul lato utente di intelligenze artificiale e di mediazione restituirà il “power of control” al consumatore. Che attuerà delle condotte di acquisto molto più efficienti delle attuali, aumentando il potere di acquisto a parità di reddito grazie a sistemi di comparazione e selezione in background. I fenomeni di trading up e trading down saranno automatici con dinamiche simili a quelle dei listini di borsa. Il processo di convergenza potrebbe toccare una tappa importante quando il concetto di mercato si tramuterà in concetto di cluster di persone. Anche il largo consumo a valore si organizzerà per rispondere alla singola persona trasformando il main stream di prodotto in main stream di servizio in cui il prodotto è il risultato customizzato che discende, anche dal servizio di relazione. Un passaggio che rischia di essere epocale e che fa convergere le filiere da mercati disgiunti alle persone nella loro unicità. La persona, qualunque essa sia, sarà il terminale di tutte le azioni della filiera e sarà considerata senza distinzioni alcune. Un fenomeno che permetterà all’industria agroalimentare di scaricare a terra le potenzialità di produzione selettiva permesse dalla tecnologia e indurrà la distruzione a rapporti molto diversi a monte e a valle della filiera. Uno degli switch fondamentali del largo consumo sarà la distinzione tra categoria o prodotto a valore e commodity. Le prime saranno vendute nel canale fisico e proposte non solo in funzione dei profili di preferenza, ma anche biologici, demografici, metabolici e ambientali. L’efficienza del potere di spesa si rifletterà anche sull’efficienza di uso dei prodotti (usability) che sarà assoluta e orizzontale rispetto a tutti i cluster. I prodotti a valori saranno destinati sempre più ad essere associati a un’esperienza complessiva (shopping + customer) profonda. Sia nella fruizione del prodotto, sia nella gratificazione correlata ai risultati ottenuti. Uno spazio che si svilupperà sarà quello che, con abuso di linguaggio, si può definire “design nutrizionale”. La tecnologia permetterà di raccogliere da ogni persona una molteplicità di dati biochimici e attraverso di essi, assitant intelligenti indicheranno non solo i prodotti da acquistare, ma anche le modalità di combinazione e i tempi di consumo. Allo switch commodity/valore si aggiungerà lo switch possesso/servizio. Già oggi si assiste a questo cambiamento e il possesso dei beni è spesso soppiantato dal “service on demand”. Questa è una delle frontiere più difficili da inquadrare perché determina un cambio radicale dei business model, una trasformazione economica importante. Possesso/servizio, commodity/valore sono lo spazio in cui si muoverà il consumatore con il suo nome e la sua storia. Unica.
Il rapporto industria-distribuzione sarà strettamente collaborativo
Antonio Cellie, Ad di Fiere di Parma, ha le idee chiare sul futuro dell’industria e distribuzione alimentare. Mark Up lo ha incontrato.
Nel futuro quali cambiamenti impatteranno sul mondo dell’alimentare?
Ormai è chiaro che le mutazioni del consumatore stanno diventando la vera discontinuità nell’evoluzione storicamente lineare del largo consumo. A questo cambio di paradigma, dovranno rispondere insieme l’industria alimentare e la distribuzione moderna a livello mondiale. Cambieranno radicalmente prospettiva sviluppando nuove competenze nell’ambito di un category management che sarà sempre più qualitativo. Paradossalmente in Italia, dove sono sopravvissuti gli imprenditori sia nell’industria sia nella distribuzione altrove scomparsi a causa di radicali modernizzazioni organizzative e finanziarie, ci troveremo in una posizione di vantaggio in quanto allenati a lavorare su fattori qualitativi e simbolico-valoriali. In particolare sul cibo che per noi italiani significa rappresentazione olistica di comunicazione, relazione e (anche) alimentare. Per noi un cotechino non è junk food ma poesia autunnale, cosi come un radicchio non è una punizione ma una “amara gratificazione”.
E il ruolo di industria e distribuzione?
L’industria e la distribuzione, ognuna mantenendo distintamente il proprio ruolo, saranno chiamate a una collaborazione stretta per capire e soddisfare il consumatore. La contrattazione, perno centrale del rapporto, perderà di rilevanza. Il consumatore finora blandito solo con le leve della marca e del prezzo (spesso usate in modo combinato ma incoerente nella politica promozionale) dovrà essere ingaggiato ogni giorno -fisicamente e virtualmente- per risultare interessanti. Altrimenti sceglierà di spendere i propri soldi in altre forme di intrattenimento non importa se Netflix o Clash Of Clans, Per mangiare c’è già Just Eat.
Veniamo alle specificità dell’industria alimentare italiana.
Abbiamo un enorme vantaggio competitivo. Maggiore value (sostanziale e simbolico) for money in tutte le categorie. Dal vino ai ready meals passando per i sughi pronti e la pasta.
Per non parlare della nostra leadership nelle IG (Dop, Igp, ecc.) e nel Bio.
I nostri prodotti, non importa se venduti con la marca del produttore o del distributore, riescono ancora ad emozionare. I nostri retailer -grazie al coraggio di imprenditori sia industriali sia distributivi- sperimentano format sempre più coinvolgenti e per 1 Eataly Bologna che magari fatica (per location e non per format) ci sono 10 Viaggiator Golosi con una ottima Dpp.
Con un tessuto manifatturiero innovativo e una distribuzione in sintonia tutti ci auguriamo che riprendano anche i consumi interni (speriamo prima del 2038).
L’agroalimentare innoverà i paradigmi
L’industria agroalimentare consuma risorse ambientali e impatta a diversi livelli sulla società. Tra 20 anni i metodi di produzione saranno diversi così come il marketing. La vision di Francesco Iervolino, partner Monitor Deloitte.
Come possiamo proiettare i trend di innovazione attuali nel lungo periodo?
Sul lato produzione agroalimentare si vendono degli ambiti di impatto della tecnologia abbastanza precisi. In primis l’evoluzione della value chain. Dalla selezione e coltivazione delle materie prime con tecniche idroponiche e aeroponica, dalla logista alla distruzione fino al consumo con il social eating in cui il consumo del cibo passa attraverso pratiche sociali. Parliamo di home restaurant dove persone con interessi affini al cibo si trovano su piattaforme e si incontrano e instaurano relazioni sociali attraverso il cibo.
E riguardo le nuove tecnologie per la distribuzione?
Anche in questo caso l’impatto sarà profondo e cambierà molte delle abitudini attuali. Basti pensare al delivery con droni. Dal nostro punto di vista, il drone sarà l’elemento disruptive che farà sparire il frigorifero (o comunque limitare la diffusione rispetto a oggi). Se in futuro sarà possibile consegnare in pochi minuti il cibo, diverrà inutile conservarlo. Almeno per molti ingredienti.
I consumi non rimarranno immuni da un grande cambiamento. In che modo?
Oltre il social eating si vedranno altri trend come l’abbonamento al cibo in varie forme con un cambiamento anche dei modelli di profitto. Dalla possibilità di abbonarsi a delle cene con un cuoco che si reca nelle case dei consumatori per preparare taluni piatti, oppure alla consegna di una cena già pronta. O ancora alla possibilità di andare a consumare un pranzo/cena in punti di vendita predefiniti.
Una profonda trasformazione come quella descritta richiede un impegno notevole. Cosa si sta muovendo?
Nutrizione, food, distribuzione e cultura del cibo. Attorno a questi concetti vi sono una molteplicità di soggetti che stanno investendo a partire dai venture capitalist. Ogni anno registriamo la nascita di oltre 30-35 startup supportate da un ecosistema che mette in campo un approccio sempre più olistico, dalla singola tecnologia alla discussione sulle problematiche per sconfiggere la fame nel mondo.
L’era della #Now Age verso un futuro presente
Tutti gli esercizi previsionali richiedono la conoscenza dei trend e capacità di visione. Mark Up ha incontrato Giulia Ceriani, presidente di Baba Consulting e semiologa.
È possibile immaginare il futuro del retail con cognizione?
Oggi siamo già in una fase di trasformazione avanzata che si prolungherà che definiamo #Now Age. In altre parole siamo nell’era del presente assoluto. Ciò che le persone fanno è tendere a ricondurre tutto, sia il dato storico, il passato, sia una visione di futuro lontano al vissuto presente. Siamo al cospetto di un “grande presente” che ingloba tutto. Il consumatore è quindi anch’esso parte di questa era e può essere studiato e segmentato con questa accezione.
Nel concetto di presente assoluto, chi sono i consumatori?
Abbiamo individuato 4 grandi scenari denominati Inertia, Impulse, Infinity e Incidence. Il primo connota l’indifferenza sul piano emotivo in cui il tempo scorre senza reazioni. Il secondo, l’attrattività verso il momento, con il consumo subitaneo di ogni cosa. Si tratta di consumatori che devono essere sorpresi ma in definitiva sono passivi verso ciò che accade. Infinity è lo scenario popolato da soggetti con coscienza attiva ma che cercano di prolungare il presente all’infinito. L’ultima area, denominata Incidence, è popolata da soggetti attivi che desiderano interrompere il flusso temporale con proprie azioni.
Quali soggetti impatteranno maggiormente con il retailing?
Almeno sei tendenze di comportamento distribuite sugli scenari descritti sono da tenere sotto osservazione. Nello scenario Inertia la tendenza Retrotopia con la quale si intendono le persone che si attaccano alla tradizione di brand (vedi Taobao, app di Alibaba per l’e-commerce senior). Nello scenario Impulse sono da studiare i consumatori che appartengono alla tendenza Happening: desiderano essere sorpresi e consumano tutto nell’istante presente. Passando allo scenario Infinity, occorre fare i conti con le tendenze Fading e Virtuality. Nella prima troviamo i consumatori che amano smussare contorni e vivere di situazioni di consumo e di acquisto ibridizzate (vedi il diner Nando che consente sessioni di registrazione free). Con Virtuality ci si riconduce alla tendenza che vede il consumatore molto confidente con l’apporto tecnologico per moltiplicare all’infinito la propria relazione (Blue Leaf Café a Sendai, Giappone, offre l’esperienza virtuale della cena con una popstar). In queste due tendenze le marche sono inserite in un vortice in cui tutto si cancella. Infine, nello scenario Incidence sono le tendenze Anachronism (es. Glossier, online skin-care shop old fashioned ma fatto su misura per Instagram) ed Entropy che valgono per il retail. Quest’ultima tendenza richiama il caos e le energie che consentono di ri-vivificare un’esperienza ben nota (vedi l’esperimento al Marriott di docce con la cabina digital-screen), mentre Anachronism punta alla coabitazione tra passato e presente, alla loro paradossale copresenza.
Come sarà il retailing che risponderà a tale complessità?
Sarà continuo, sempre nel presente assoluto e in ogni luogo. Retail e vita non si distingueranno.
Gli atti del convegno:
La fedeltà del consumatore si giocherà sull’inclusione
Cosa significa avere delle politiche di marketing inclusive per i produttori di beni e servizi? E soprattutto cosa comporta ignorare questo nuovo paradigma? Lo spiega Sandro Castaldo.
Prof. Castaldo, recentemente avete divulgato uno studio su diversity e inclusion. Come si possono sintetizzare i risultati e come tenerne conto?
Con un concetto semplice. Se i brand vogliono migliorare il loro livello di reputazione e di valore assegnato dal consumatore, devono sforzarsi di essere inclusivi parlando a tutte le forme di diversity. Che sono disabilità, età, etnia, gender, orientamento sessuale, religione/credo e status socio-economico.
Proiettiamo questo risultato nel futuro.
I concetti chiave che la ricerca porta alla luce, avranno ancora più forza in futuro. Certe forme di diversità come la multi etnia, al netto di fenomeni oggi non prevedibili, sono destinate ad aumentare. Così come l’aging, la senilità. I dati di progressione demografica non lasciano adito a dubbi: la nostra società invecchia. Ma non solo. Anche la disparità di tipo reddituale è una prospettiva tutt’altra che scongiurata. Le marche, i distributori, i retailer dovranno essere molto più inclusivi di quanto lo siano oggi. Da questo punto di vista l’Italia è in posizione di svantaggio rispetto a molti altri Paesi europei.
Se non si coglie la sfida dell’inclusività cosa si rischia?
Se non si tiene conto della diversity, non solo si perde del business diretto nelle vendite (mancanza di offerta adeguata), ma si perde la fiducia del consumatore. Chi punta solo su promozioni, prezzo e sulle solite leve, dimostra di non conoscere il proprio cliente non soddisfando le esigenze particolari e deludendo le aspettative. Occorre sottolineare che il nomadismo della clientela è proprio agganciato alla scarsa fiducia che intercorre tra brand/insegna e consumatore.
Qual è quindi il passaggio in tema di inclusione tra il mercato odierno e futuro?
Oggi è un’opportunità, domani un obbligo. Chi non dimostrerà sensibilità su questo tema è destinato con tutta probabilità a uscire dal mercato. Nasceranno addirittura dei format commerciali che si specializzeranno su alcune forme di diversity.
Ma l’inclusività è real business oppure un’operazione reputazionale legata solo a un giusto obbligo morale ?
Sicuramente è business. Le persone che rientrano in uno dei cluster della diversity sono anche consumatori e utilizzano i prodotti sul mercato. Faccio un esempio. Henkel inserisce delle informazioni in braille sulle confezioni di detersivo. Ora è evidente che questo tipo di inclusività non solo è una dimostrazione di sensibilità ma anche la risoluzione di un’esigenza, quella dei non vendenti, e quindi la generazione di un meccanismo di trust. Quindi business.
Il futuro del retailing è nel futuro della società
Architetti e designers con le loro opere possono influire sul modo di vivere e di pensare delle persone. Mark Up ha incontrato Paolo Lucchetta, architetto che ha, partendo da questa considerazione, “praticato” molto il mondo del retail.
Veniamo subito al dunque. Come sarà il retail del 2038?
Una premessa. Qualunque cosa sarà il retail del futuro, saranno ancora le persone a fare la differenza nell’era della rivoluzione tecnologica e a determinare la qualità del nostro vivere civile.
I grandi visionari ritengono inevitabile, con saggio ottimismo, che non possiederemo quasi nulla, ma quando ci servirà qualcosa, potremo accedervi facilmente. Per esempio, non avremo un’auto di proprietà. Pagheremo per per abbonarci ad un servizio di mobilità all’occorrenza. Dialogheremo con tutti i nostri dispositivi grazie ad una serie predefinita di gesti, e tutte le superfici saranno coperte di schermi interattivi, ognuno dei quali ricambierà puntualmente i nostri sguardi.
Ma allora cosa compreremo?
Non è tanto cosa compreremo ma come lo compreremo. Sarà innanzitutto possibile utilizzare le tecnologie per fidelizzarci con l’onestà e la trasparenza della filiera e per rendere il rapporto qualità/convenienza più accessibile e facilitato. Si progetteranno spazi consacrati dove celebrare il passato, il presente ed il futuro dell’insegna attraverso il learning by shopping per trasformare il percorso d’acquisto anche in percorso di empowerment e trasmissione di conoscenza.
Non le pare una minaccia per il retailing?
Non necessariamente se si capirà l’importanza del brand che rimarrà il cuore della relazione con le persone. Per catturare la loro attenzione i retailer dovranno praticare il loro ruolo in maniera olistica; dovranno essere in grado di essere ubiqui, incontrando le persone là dove nasce la loro esigenza di consumo, accompagnandolo in una user experience appagante e senza frizioni tra le varie piattaforme comprese quelle di pagamento e logistiche.
Quale sarà il ruolo della tecnologia per il retail del futuro?
Le forze tecnologiche che stanno riplasmando la società sono già attive nel concepire un nuovo modo di lavorare, apprendere, giocare, comprare, comunicare. Sembra quasi inutile opporsi, quanto invece importante predisporci ad accogliere la stupefacente convergenza tra umanità e macchine, una sinergia che spezzerà ogni confine, che porterà non solo conflitti ma anche benefici individuali e sociali, non solo una maggiore disponibilità di strumenti ma anche una più ampia ricchezza di alternative, di strade da percorrere, di libertà.