Neuromarketing: un’analisi degli attributi associati alla sicurezza alimentare

A livello inconscio, il cliente valuta la salubrità dei cibi più su elementi intangibili e meno sulle evidenze, come per esempio la tracciabilità del prodotto

Salutismo, biologico, sicurezza e autenticità: sono questi i nuovi trend che caratterizzano i consumi alimentari italiani ed europei degli ultimi anni (Coop, 2020). Un trend che si conferma anche nel 2020, alla luce dell’improvvisa situazione pandemica generata dal Covid-19, che ha contribuito ad accrescere il consumo di prodotti alimentari sani ed ha favorito una maggiore propensione a sperimentare nuovi cibi e ricette, migliorando le abitudini alimentari, anche di natura ecosostenibile (Crea, 2020). Accanto alla ricerca costante di prodotti salutari tipici della tradizione italiana e ad una crescente consapevolezza delle malattie legate all’uso sbagliato di cibo, si riscontra l’ulteriore tendenza ad utilizzare fonti informative autorevoli che contribuiscono ad aumentare le conoscenze in merito alla salubrità dei cibi (Censis-Conada, 2019). I consumatori moderni diventano, così, sempre più assidui ricercatori di prodotti alimentari sani e più attivi nel processo di valutazione dei prodotti che portano in tavola. Diviene perciò fondamentale, per gli attori del comparto alimentare, identificare gli strumenti più adeguati per comunicare il concetto di sicurezza associato ai prodotti offerti.

È all’interno di questo scenario che prende vita un progetto di ricerca realizzato dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) dell’Università di Urbino Carlo Bo, finalizzato ad identificare, da un lato, i principali attributi presi in considerazione dal consumatore nella valutazione di prodotti alimentari sicuri, e dall’altro, gli strumenti più adeguati per trasferire il concetto di sicurezza dal produttore al consumatore.
Il progetto, articolato in diversi fasi, ha già raggiunto il primo obiettivo mediante un’analisi desk della letteratura esistente che ha portato ad identificare nove categorie di attributi maggiormente associati al concetto di sicurezza alimentare.
Il secondo step, finalizzato all’identificazione degli strumenti più efficaci per trasferire tale concetto sul consumatore, è attualmente in fase di realizzazione e prevede lo svolgimento di batterie di Implicit Association Test (IAT), su un panel di 270 consumatori, finalizzati a misurare il tempo necessario che i consumatori impiegano per associare i vari cluster di attributi al polo della "sicurezza" o dell’"insicurezza" alimentare. Più rapida è la risposta, più forte è l'associazione.

L’analisi preliminare dei risultati ha già mostrato aspetti interessanti, e per alcuni versi inaspettati. L’andamento positivo del D-score (Nosek et al., 2014) rivela che tutte le categorie considerate mostrano un grado di associazione statisticamente significativo tra gli attributi positivi/sicuri e il target della sicurezza alimentare. Si osservano però differenze importanti in termini di forza associativa tra le singole categorie e il target della sicurezza. In particolare, emergono tre cluster caratterizzati da un livello di associazione forte, moderato e debole. Il primo cluster comprende gli “attributi di sostenibilità del processo” e gli “attributi intangibili del prodotto”. Seguono, con un livello di associazione moderato, le categorie relative agli “attributi percepibili del prodotto”, alle “certificazioni”, e agli altri elementi del marketing mix (“comunicazione e branding” e “distribuzione e prezzo”). Stranamente, gli attributi riguardanti la tracciabilità del prodotto risultano tra i meno rilevanti, insieme alla categoria degli “attributi generali di processo” riguardanti le produzioni bio, l’uso di fertilizzanti/pesticidi naturali e il livello di trasformazione del prodotto.

A livello inconscio, insomma, emerge la tendenza a valutare la sicurezza alimentare più sulla base degli attributi intangibili e difficili da verificare, che non di quelli percepibili attraverso i cinque sensi. Sul piano delle implicazioni, ne deriva la necessità per le imprese alimentari di investire su questi attributi intrinseci e di coinvolgere il più possibile il consumatore, rendendolo partecipe in azioni socialmente responsabili e sensibilizzandolo sotto il profilo ambientale e sociale. Le strategie di comunicazione, branding e distribuzione, di per sé, impattano mediamente sulla percezione di sicurezza, tuttavia potrebbero essere potenziate in chiave sinergica rispetto agli investimenti focalizzati sul prodotto e il processo che cercano di migliorare le dimensioni intangibili/intrinseche e di sostenibilità.
I risultati sono ancora parziali ed incompleti, ma sufficienti per evidenziare il potenziale delle neuroscienze applicate al marketing che, indagando i fenomeni che si sviluppano al di sotto della soglia di consapevolezza, rivelano insights altrimenti inaccessibili mediante le tradizionali tecniche di ricerca sociale, producendo nuove interessanti implicazioni manageriali.

Marco Cioppi* Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) - Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Ilaria Curina* Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) - Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Barbara Francioni* Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) - Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Elisabetta Savelli* Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) - Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome