Neurovendite: il ritmo degli acquisti

Vi sono teorie psicologiche e comportamentali a supporto del ruolo della musica nelle vendite. Personalizzare la musica per il proprio brand influisce sui comportamenti dei clienti nello shopping

In questi giorni in cui l’Italia intera è concentrata su quel rito nazional-popolare che è Sanremo, vale la pena esplorare, nel filone delle neurovendite, l’impatto della musica negli acquisiti. Anzitutto, per neurovendite s’intende quella disciplina che vede l’applicazione dei concetti fondamentali della neuroscienza alle strategie di vendita, e che sottolinea  l’importanza della dimensione sensoriale quando si tratta di esperienze d’acquisto. In questa cornice, la musica risulta parte integrante della strategia, e non un semplice elemento passivo.

Già da diversi anni è noto come elementi che potrebbero essere considerati di corredo – musica inclusa – in realtà hanno un impatto fondamentale. In un articolo del 1973 per il Journal of RetailingPhilip Kotler, considerato il padre del marketing moderno, aveva specificato come “in alcuni casi, il luogo o l’atmosfera del luogo, è più influente del prodotto stesso nella decisione di acquisto. In alcuni casi, l’atmosfera è il prodotto principale” (“Atmospherics as a Marketing Tool”, Kotler). Di fatto, quindi, il tempo della musica, per il suo ritmo e il suo stile, condiziona l’attitudine all’acquisto, influendo sull’affluenza, sulla velocità di consumo, sulla permanenza in store – fisico o virtuale che sia  –  e sulla facilitazione delle relazioni all’interno. Il tempo della musica, con le sue pause e le sue battute, si sincronizza con il comportamento dei consumatori, scandendolo. A supporto di questa tesi, sempre tra le pagine del Journal of Retailing, nel 2016 i ricercatori Adrian C. North, Lorraine P. Sheridan e Charles S. Areni avanzato l’ipotesi a supporto  di come le scelte musicali potessero essere adattate per produrre comportamenti di acquisto altamente indirizzati, richiamando memorie specifiche nel cervello degli acquirenti. Non è un caso, quindi, che il settore del music design sia molto in voga al momento, aiutando a valorizzare la customer experience.

I brand dovrebbero, allora, non lasciare al caso la musica che passa nei propri spazzi, personalizzandola e rendendola quanto più funzionale al marchio. Come è riportato nel blog post “Musica, cervello e vendite” di Neurovendita Lab, diretto da Lorenzo Dornetti, “Il parametro fondamentale per amplificare gli effetti associati all’elemento sonoro è la coerenza con l’identità commerciale. La selezione del sottofondo musicale deve essere scientifica”. Per associare adeguatamente musica al marchio occorre comprendere nel dettaglio quale comportamento il business è in grado di generare nei clienti: se è in grado di “trattenerli” e di restare memorabile nel tempo, la musica migliore sarà probabilmente classica, tendenzialmente tranquilla e a bassa velocità; invece, se l’attività prevede un elevato turnover di clienti e un ambiente energico, i brani più veloci e più popolari saranno più funzionali.

Interessante, pure, notare come il volume giochi un ruolo in queste dinamiche. Infatti,  il comportamento di acquisto al dettaglio non sembra essere influenzato dal fatto che i clienti notino la musica.  L’audio della musica che tipicamente sortisce l’effetto migliore è abbastanza basso e quasi inconscio per l’acquirente.

L’attenzione dei consumatori aumenta esponenzialmente, però, quando sentono una melodia caratteristica mentre vedono un’immagine/logo riconoscibili, ovvero quando sono abbinati melodia brandizzata (un jingle) e un logo famoso: il brand verrà ricordato meglio. Un alleato a questo proposito possono essere le InStore radio, con la loro rotazione musicale fatta su misura.

In definitiva, bisogna riconoscere come i suoni siano tra le vie di comunicazione a più alto contenuto emotivo, capace di creare associazioni fortissime. Sarà interessante vedere come le canzoni di Sanremo 2021 impatteranno in tal senso.

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