Noi italiani siamo ancora capaci di sognare?

Cristina Lazzati, direttore responsabile di Mark Up e Gdoweek

Noi italiani siamo ancora capaci di sognare? Di pensare al futuro come qualcosa di bello dove sarà possibile realizzare i nostri sogni? Il sogno è democratico, non costa nulla, eppure, da alcuni anni, sembra che gli italiani si siano impediti di sognare; presi dalla paura, dalle preoccupazioni, ci siamo via via disabituati e nel tempo siamo diventati il popolo più pessimista del mondo. All’incapacità di sognare va, secondo il giornalista Federico Rampini, in parte la colpa di questo momento di fermo; fermi tutti: gli investimenti, i cambi della guardia e fermi soprattutto i sogni. Rampini suggerisce di emigrare per ricaricarsi in paesi più energetici, come gli Stati Uniti.

Eppure il nostro piccolo sogno, forse più casalingo, tutti, chi più o chi meno, l’abbiamo incontrato, l’abbiamo anche avuto. Quante piccole e medie imprese sono nate da un imprenditore, che all’inizio aveva solo un’idea e ha incontrato la fiducia di un Paese che gli ha offerto la possibilità di decollare. Poi la possibilità, la fiducia, l’azzardo nel tempo sono diventate cosa da pirati, la malversazione si è appropriata del sogno e l’ha trasformato in un incubo sociale; la mutualità, il reciproco rispetto sono diventati impicci, l’invidia e le ombre si sono impossessate dei più deboli e l’ingordigia dei più forti. Una crisi etica è stata quella italiana, una crisi di valori, cui è succeduta quella economica. Ma è tempo di invenzioni, di tornare a guardare alla realtà con occhi nuovi, credo che molti lo stiano già facendo, vedo segnali in questo senso, lo vedo nelle piccole catene retail così come nei grandi gruppi industriali. Spariscono i signori “non si può fare”, appaiono quelli del “proviamo”.

Stanno anche cambiando le unità di misura, lo racconta molto bene Diane Coyle, economista, consulente e autrice, in un libro di qualche anno fa “The Economics of Enough: How to Run the Economy as If the Future Matters”. Quali sono i valori economici dell’abbastanza? Secondo Coyle i pilastri sono: Felicità, Natura, Posterità, Equità, Fiducia. La tesi è che abbiamo agito per troppo tempo solo pensando al qui e ora, dimenticando un senso di responsabilità più ampio che riguardava le generazioni a venire come sottolinea Coyle in un’intervista all’Indipendent: “Abbiamo la necessità di internalizzare un senso di responsabilità verso il prossimo per poter restaurare la fibra morale necessaria perché l’economia di mercato possa restituire un benessere sociale”.

Ricominciamo a sognare, sogniamo un mondo migliore, dove si stia bene tutti. Tutti.

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