Non è soltanto la crisi a far calare i consumi

Editoriale – Nei giorni scorsi l'Adnkronos, elaborando i dati contenuti nelle tabelle Istat, ha sottolineato come la spesa alimentare delle famiglie italiane sia tornata ai livelli del 1992.(da MARKUP 220)

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In particolare l'inversione di tendenza si è verificata a partire dal 2008, anno di inizio della crisi economica dalla quale stiamo ancora cercando di emergere.

Proprio a fine 2008, e più precisamente a partire dalla metà del mese di settembre in seguito al fallimento di Lehman Brothers, abbiamo infatti assistito al maggiore sconvolgimento di ogni epoca a carico del settore industriale, con una riduzione della produzione del 25% in soli sei mesi: e per di più in modo sincrono in oltre cento Paesi.
Che la crisi sia iniziata lì, non ci sono dubbi. Che i comportamenti dei consumatori si siano rapidamente modificati proprio dopo quell'avvenimento, capace di un fortissimo impatto psicologico sulla quasi totalità della popolazione, altrettanto.
Per interpretare al meglio il dato sulla spesa alimentare, tuttavia, occorre sottolineare almeno due punti.
Il primo è relativo alla trasformazione che, negli ultimi vent'anni, ha di fatto ridisegnato la mappa della distribuzione del nostro Paese.
A inizio anni '90 i negozi vivevano una fase decisamente più florida di quella attuale e la concorrenza della grande distribuzione non aveva ancora determinato gli equilibri attuali, fatti di (molti) meno negozi proprio a favore di quelli comunemente definiti supermercati.
Questo diverso bilanciamento non è trasparente rispetto al dato sulla spesa alimentare, perché con un peso maggiore degli acquisti effettuati presso i negozi la spesa media, nel 1992, era sicuramente maggiore di quella attuale: è fuori da ogni dubbio, infatti, che la grande distribuzione abbia esercitato una forte azione di contenimento dei prezzi, svolgendo negli ultimi anni di crisi quasi una funzione da "ammortizzatore sociale" aggiunto consentendo alle fasce più deboli della popolazione di acquisire beni alimentari di prima necessità a prezzi bassissimi. Se potessimo bilanciare correttamente questo elemento, probabilmente scopriremmo che non siamo tornati al 1992, pur avendo perso molto rispetto al picco del 2007.
Il secondo punto, che è ancora più rilevante, riguarda il mutato atteggiamento dei consumatori verso un genere di prodotto, quello alimentare, che per anni ha costituito uno dei maggiori elementi di spreco nelle famiglie italiane. La crisi ha fortemente ridotto la bulimia all'acquisto in surplus rispetto alle effettive necessità, riportando i consumatori al buon senso non del 1992, ma addirittura a quello dei nostri padri e dei nostri nonni.
Sarebbe quindi errato attribuire tutto il calo di spesa alle difficoltà economiche, perché un ruolo forse decisivo lo ha giocato la consapevolezza di non voler sprecare a occhi chiusi come accadeva nel periodo pre-crisi.
Il vero problema, che non riguarda solo l'industria alimentare ma molte altri comparti a partire da quello dell'auto, è che le aziende si erano ormai strutturate per un mercato ipertrofico e irreale.
Al punto che ancora oggi, crisi o non crisi, le stime parlano di un 20-25% della spesa alimentare che finisce nella spazzatura. Spazio per la razionalità, a quanto pare, ne esiste ancora.

ml@ilsole24ore.com

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