Novel food, se ne sta occupando l’Unione europea

Lo spartiacque è maggio 1997: gli alimenti entrati in scena successivamente sono nuovi e approvati solo dopo la loro iscrizione nel registro ufficiale (da Mark Up n. 268)

La cronaca degli ultimi mesi si è molto occupata di novel food, annunciando l’arrivo di insetti nei piatti dei cittadini europei. Al di là del fatto che il ministero della Salute ha chiarito che in Italia “al momento nessuna specie di insetto (o suo derivato) è autorizzata”, di davvero importante c’è la completa riforma del quadro normativo europeo sui “nuovi alimenti”. Con tre regolamenti, infatti, l’Ue ha abrogato i vecchi provvedimenti datati 1997 e ha riformulato molte cose in questa materia. Il nuovo riferimento legislativo è così il Regolamento 2283 del novembre 2015. Anche se risale a oltre due anni fa, e se formalmente è entrato in vigore alla pubblicazione sulla Guce nel dicembre 2015, la sua applicazione è scattata dal primo gennaio di quest’anno. È a questa norma -alla quale si aggiungono un paio di regolamenti applicativi, pubblicati a fine 2017- che da oggi in poi bisogna quindi richiamarsi in materia di novel food. A cominciare dalla loro definizione, che nel regolamento viene indicata come “qualunque alimento non utilizzato in misura significativa per il consumo umano nell’Unione prima del 15 maggio 1997”. Questa data è dunque lo spartiacque in Europa tra alimenti tradizionali e alimenti nuovi. Ovviamente, la definizione di un nuovo alimento non si esaurisce nel riferimento temporale. Per questo il regolamento tratteggia una classificazione in categorie di novel food, che vale la pena conoscere.

Innanzitutto si tratta dei prodotti di origine minerale, vegetale e animale non presenti tradizionalmente sulle nostre tavole. Poi si trovano cibi derivati da microorganismi, funghi o alghe; oppure alimenti con una struttura molecolare nuova o volutamente modificata. Sono considerati nuovi anche gli alimenti prodotti a partire da colture cellulari o risultanti da un nuovo processo di produzione che comporti cambiamenti significativi nella loro composizione o nella loro struttura; e infine i cibi costituiti da nanomateriali ingegnerizzati (per una formulazione completa delle categorie, si veda la tabella).

È anche importante acquisire -tanto che il regolamento lo esplicita- quali tipologie di prodotti non sono da considerarsi nuovi alimenti secondo questa normativa, in quanto regolati da altre disposizioni ad hoc. È il caso dei derivati da ogm, degli enzimi alimentari, degli additivi, degli aromi e dei “solventi da estrazione”.

Tutto ciò riguarda le categorie di nuovi alimenti, non i singoli nuovi alimenti. Per questi ultimi, i regolamenti prevedono un elenco dell’Unione, cioè un registro ufficiale nel quale trovare pubblicati i nuovi alimenti già in uso, approvati cioè dopo il 1997, e che verrà aggiornato inserendo quelli che man mano verranno autorizzati. Su questo aspetto le norme sono dettagliate e specificate: sono nuovi alimenti autorizzati, e dunque possono essere prodotti, lavorati e commercializzati solo quelli presenti, e dunque pubblicati ufficialmente, nell’elenco dell’Unione: una sorta di anagrafe dei novel food.

Non solo: ciascuna nuova autorizzazione deve passare per un apposito regolamento della Commissione europea (formalmente, un “atto di esecuzione”). Una procedura che testimonia l’attenzione elevata che l’Ue riserva a questa materia, partendo ovviamente da considerazioni di salubrità e sicurezza alimentare.

Un’attenzione che si ritrova, all’interno del Regolamento 2015/2283, nelle disposizioni dedicate alle condizioni fondamentali da riscontrare affinché un prodotto possa essere qualificato quale nuovo alimento. Si deve innanzitutto accertare che, in base alle prove scientifiche al momento disponibili, il prodotto non presenti un rischio in termini di sicurezza della salute umana; se su questo punto ci si trova in un caso di “incertezza scientifica”, è possibile applicare il principio di precauzione. Un’altra condizione non derogabile implica che l’uso di un nuovo alimento non induca in errore il consumatore. Soprattutto nel caso che il prodotto sia destinato a sostituire un altro alimento e, tra i due, vi sia una modifica significativa nel valore nutritivo. È infine non autorizzabile quell’alimento che, in quanto destinato a sostituirne un altro, risulti per il consumatore chiaramente svantaggioso sul piano nutrizionale.

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